2023-10-26
Il gioco pericoloso di Erdogan. «Hamas? Dei liberatori». E gli ayatollah lo applaudono
Recep Tayyip Erdogan, (Ansa)
L’autocrate turco getta benzina sul fuoco. Dall’Iran Khamenei rincara la dose: «Difendono la patria». Il capo di Hezbollah si incontra con i boss della Striscia.La crisi mediorientale conferma la preoccupante saldatura tra Turchia, Iran e Qatar. Ieri, Recep Tayyip Erdogan, ha pronunciato parole in sostegno di Hamas. «Hamas non è un’organizzazione terroristica. È un gruppo di liberazione, un gruppo di mujaheddin che lotta per difendere le sue terre e il suo popolo», ha detto. Il presidente turco ha inoltre annullato una visita che aveva pianificato in Israele. «Non abbiamo problemi con lo Stato di Israele ma non abbiamo mai approvato le atrocità commesse da Israele», ha proseguito. «Hamas è una spregevole organizzazione terroristica peggiore dell’Isis», ha replicato il portavoce del ministero degli Esteri israeliano, Lior Haiat. A ben vedere, la posizione espressa dal Sultano su Hamas non è poi così nuova. Già nel 2018, si rifiutò di definire tale organizzazione come terroristica e, nel 2020, ne ricevette due leader a Istanbul. Come che sia, le parole del presidente turco hanno già avuto conseguenze sulla politica italiana. Il vicepremier, Matteo Salvini, ha definito le affermazioni di Erdogan «gravi e disgustose». «Proporrò al collega Tajani di inviare protesta formale e di convocare l’ambasciatore della Turchia», ha aggiunto. Sulla stessa linea di Erdogan si è collocato l’ayatollah Ali Khamenei. «Alcuni Paesi definiscono il movimento islamico di Hamas terrorista ma il movimento cerca semplicemente di difendere la sua madrepatria», ha dichiarato, bollando inoltre gli Usa come «complici certi» di Israele nelle «atrocità commesse dal regime sionista a Gaza». Non dimentichiamo d’altronde che, soprattutto a partire dal 2017, Teheran finanzia alacremente Hamas. Non solo. Proprio ieri, si è tenuto a Beirut un incontro tra il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, il vice capo di Hamas, Saleh Aruri, e il segretario generale della Jihad islamica, Ziyad Al Nakhalah. La stessa Hezbollah è un’organizzazione terroristica storicamente spalleggiata dal regime khomeinista. Tutto questo, mentre, appena lunedì scorso, il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, aveva avuto un colloquio con il capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, per discutere della crisi di Gaza. Senza infine trascurare che, secondo il Wall Street Journal, 500 miliziani di Hamas e della Jihad islamica sono stati addestrati dall'Iran nelle settimane precedenti al 7 ottobre. A tal proposito, vale la pena ricordare che, negli ultimi anni, Ankara si è avvicinata alla Repubblica islamica. A luglio 2022, Erdogan si è recato a Teheran, per incontrare il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, e quello russo, Vladimir Putin. Nell’occasione, Iran e Turchia firmarono otto memorandum d’intesa, auspicando inoltre di portare i loro scambi commerciali a un volume di 30 miliardi di dollari. E poi c’è il Qatar. Sulla mediazione dello Stato del Golfo si è espresso il primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, affermando: «Ci sono alcuni progressi e qualche svolta e restiamo fiduciosi». Eppure, come riportato da Al Monitor nel 2018, il Qatar intrattiene storicamente rapporti con Hamas e, dall’inizio della crisi in atto, ha espresso posizioni molto dure nei confronti dello Stato ebraico. Questa situazione rischia quindi di innescare un cortocircuito: il principale mediatore per la liberazione degli ostaggi intrattiene storici rapporti con quei rapitori che stanno trattenendo tali ostaggi per scongiurare un’offensiva di terra israeliana. Ricordiamo che Doha vanta solidi legami con la Turchia: entrambi sono storici sostenitori dei Fratelli musulmani. Inoltre, il Qatar gode di buone relazioni anche con Teheran e sta da tempo cercando di mediare per rilanciare il controverso accordo sul nucleare iraniano: quel Jcpoa che è sempre stato considerato da Israele come una minaccia alla propria sicurezza. Doha rappresenta quindi probabilmente il perno della saldatura tra Qatar, Turchia e Iran: una saldatura che l’Occidente dovrebbe impegnarsi a indebolire. Nel frattempo, è atteso oggi a Washington il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, con cui il segretario di Stato americano, Tony Blinken, ha detto di voler collaborare per scongiurare un allargamento del conflitto. Attenzione però: Pechino ha siglato un patto di cooperazione venticinquennale con Teheran nel 2021 e nel 2023 un accordo energetico con il Qatar nel settore del gas naturale liquefatto. Non sembra placarsi invece la tensione tra Israele e Antonio Guterres per le controverse parole da lui pronunciate martedì. «Sono scioccato dalle interpretazioni errate di alcune delle mie dichiarazioni di ieri al Consiglio di sicurezza, come se stessi giustificando atti di terrorismo di Hamas. Questo è falso», ha detto ieri il segretario generale dell’Onu. Dall’altra parte, oltre a chiedere nuovamente le sue dimissioni, Israele ha anche espresso l’intenzione di negare il rilascio dei visti ai rappresentanti delle Nazioni Unite. Infine, il presidente francese Emmanuel Macron si è incontrato ieri al Cairo con il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi, che ha invocato misure per evitare un’offensiva di terra a Gaza: offensiva che, secondo il Wall Street Journal, lo Stato ebraico - su richiesta degli Stati Uniti - avrebbe deciso di ritardare, in attesa che gli Usa dispieghino dei sistemi di difesa aerea nella regione. La Cnn ha frattanto riferito che Washington ha accettato di inviare in Israele due batterie Iron Dome, che erano state acquistate nel 2019.