2023-07-13
«Il fiuto dei “Detectives” risolve i crimini»
Il giornalista, ex inviato e autore di «Chi l’ha visto?», ritornerà nel 2024 con la nuova stagione del suo programma: «Ho conosciuto dei veri Maigret e Montalbano. Le tecnologie sono fondamentali, ma pure l’intuito di chi indaga. Oltre alle capacità, ci vuole fortuna».In Detectives, il programma andato in onda in varie serie su Rai 2, che ripartirà con nuove puntate nel gennaio 2024, Pino Rinaldi, all’anagrafe Giuseppe, voce inconfondibile, ha applicato il medesimo rigore investigativo utilizzato nei 27 anni di esperienza a Chi l’ha visto?, a Rai 3, di cui è stato inviato e autore. Nella trasmissione che conduce, in collaborazione con la polizia di Stato, il giornalista romano, classe 1961, che oggi vive in Umbria, ha impresso un’impronta moderna alla classica tradizione Rai dell’analisi a posteriori di casi di cronaca nera accaduti in Italia. Casi risolti o no, soprattutto omicidi, sono ricostruiti con giusta dose di pathos narrativo e cognizione di causa. Ogni puntata dura circa 60 minuti. Niente a che fare, dunque, con le tre ore, oggi improponibili, dello storico Telefono giallo di Corrado Augias. Rinaldi fa anche riflettere sulla roulette del destino. Dietro il volto di un insospettabile vicino di casa, un Mr. Hyde qualunque, potrebbe celarsi un Dr. Jekill dedito al male. Il risultato è che lo spettatore resta incollato al teleschermo. Talvolta l’assassino rimane incastrato da riprese di videocamere, analisi del Dna, tracce lasciate dai cellulari. L’autore di un crimine è consapevole che, rispetto al passato, la Squadra omicidi dispone di questi strumenti aggiuntivi? «Dipende dalla natura del delitto. Se è un delitto d’impeto, ad esempio passionale, il soggetto non si controlla e può commettere un reato sotto la telecamera dell’agenzia di una banca. Nel caso di un delitto premeditato, l’autore tiene in considerazione tutti gli elementi che potrebbero portarlo in galera».Alcuni casi restano insoluti. Quali i motivi ricorrenti? «Mi sono trovato di fronte a delitti e storie molto complesse, ho trovato inquirenti con grandi capacità e intuizione. Poi dobbiamo considerare la presenza di figure meno capaci. A volte, la responsabilità non è nemmeno delle forze dell’ordine. Ci sono magistrati che non sono all’altezza. Fortunatamente non esistono gli intoccabili. Il mio sogno resta sempre lo stesso: chi sbaglia, paga».Accanto alle nuove tecnologie, si osserva che l’intuito dell’inquirente è, non di rado, determinante. Il metodo logico-deduttivo di Sherlock Holmes è sempre valido, insomma… «Assolutamente sì. Ho conosciuto magistrati, poliziotti, carabinieri che, oltre a strumenti e tecnologie, hanno condotto indagini straordinarie, dei Maigret, dei Montalbano… Inoltre ho visto crescere negli anni maturità e intelligenza delle forze dell’ordine».Sovente i risultati del test del Dna forniscono la prova regina. Oggi, dunque, diminuisce la probabilità di processi indiziari ed errori giudiziari? «Un tempo ci si basava molto sulle impronte digitali. Ora l’analisi delle tracce biologiche è diventata fondamentale e, con questo strumento, è più difficile che si commettano errori giudiziari. Ma non dimentichiamoci che possono esistere, non per il Dna, ma per altre tecniche, margini di errore. A fianco delle tecnologie c’è sempre l’indagine tradizionale che cerca di comprendere il movente del delitto. Ma, oltre alle capacità, ci vuole fortuna. Se si perdono i primi momenti dopo un crimine, è difficile recuperarli».Accade anche che si abbia il Dna del possibile colpevole ma non se ne conosca l’identità. E se si avesse il Dna di tutti i cittadini? «Per quanto mi riguarda, la banca dati dovrebbe essere totale. Quando si va a fare la carta d’identità, oltre all’impronta digitale, metterei tranquillamente anche il Dna. Ma ci sono persone, movimenti politici e di pensiero che temono ciò, immaginando una società alla Orwell. Quando abbiamo dati così potenti il rischio c’è, ma come fermare un fiume? In una società sana, la banca dati sarebbe fondamentale. Ci sono reati che gridano vendetta. Mettiamoci nei panni di un fratello, un marito, un figlio, un padre di una vittima. Ho persone, famiglie, che mi chiedono sempre: “Pino, puoi fare qualcosa?”. In un mondo così ingiusto, così folle, la gente ha fame di giustizia».Le tracce biologiche dei reperti di un crimine impunito, commesso nel recente passato, possono essere ancor utili per riaprire un caso? «Qui c’è un dato ancora peggiore. In una delle storie più inquietanti, il delitto Lidia Macchi (studentessa di 21 anni assassinata a Varese, in un bosco, con 29 coltellate dopo un rapporto sessuale, nel gennaio 1987, ndr), si avevano i reperti del Dna dell’assassino: sono stati distrutti. Un soggetto ha dovuto subire un processo per poi essere assolto, quando sarebbe bastato il controllo del Dna. Per risparmiare 40 centimetri quadrati di spazio lo Stato italiano ha speso milioni tra intercettazioni, processi, distogliendo le forze su altri casi. Per cosa? E non è l’unico caso. Per reperti molto antichi, dipende da come sono stati conservati».Quegli scontri a fuoco degli anni Settanta, ad esempio, in occasione di blitz per liberare sequestrati, per fortuna sembrano pressoché scomparsi. «A parte che il sequestro di persona è scomparso, in Italia, perché hanno fatto la legge “geniale” del blocco dei beni e la famiglia del congiunto rapito non può gestire la propria disponibilità economica… Comunque, gli scontri a fuoco, tipo Milano violenta (film poliziesco di Mario Caiano, 1976, ndr), Roma a mano armata (regia di Umberto Lenzi, 1976, ndr), fanno parte di una storia che, fortunatamente, ci siamo messi un po’ alle spalle. Il numero di crimini è diminuito. Però, voglio dire, la cronaca nera va fatta in maniera seria. La mia filosofia è che se tratti il fattaccio con serietà, esso può essere una cartina al tornasole a livello sociale, valoriale, per capire chi siamo, come siamo cambiati. Se fai un collegamento su un delitto appena fatto, cosa vuoi aggiungere? C’è soltanto morbosità. Bisogna aspettare, far lavorare gli inquirenti, che prendono una cifra mensile irrisoria rispetto a quella di certi personaggi televisivi. Vogliamo rispettarle queste persone?».Angelo Izzo, il massacratore del Circeo, con due complici, 29 settembre 1975. Due ragazze violentate, torturate, una uccisa, l’altra salva per miracolo. Il 28 aprile 2005, 30 anni dopo, in semilibertà, in una villa vicino a Campobasso, replicò il crimine del 1975 con le stesse modalità. Due donne seviziate e assassinate. Come si è potuto concedergli la semilibertà? «Angelo Izzo è un personaggio pericoloso, violento, di un livello morale bassissimo. Quando a Chi l’ha visto? mi occupai del complice del Circeo, Andrea Ghira, latitante, ricercato dalle polizie di tutto il mondo, andai in Kenya e, dopo che il servizio andò in onda, un’intercettazione rivelò che è morto a Melilla. Izzo fu arrestato da un capo della Squadra mobile, contro tutto e tutti, politici, intellettuali che lo portavano in palmo di mano. Adesso sta di nuovo cercando di fare altre affermazioni, si dà spazio a questo cialtrone, mitomane folle, e c’è sempre qualche giornalista o magistrato che gli dà retta».In aula, con occhi demoniaci, ha raccontato compiaciuto macabri particolari. È stato considerato non infermo di mente. «Il problema reale è che siamo abituati a giustificare tutto e tutti. Il male, la cattiveria, la crudeltà, esistono. Non tutti devono essere considerati incapaci di intendere e di volere. L’uomo ha la libertà di agire e può cercare il male, godere del male. Izzo è uno che gode nel fare del male. Maurizio Minghella (serial killer di prostitute a Genova, 5 omicidi nel 1978, ndr) viveva la sessualità passando da eros a thanatos. Qualche prete disse: “Lo salvo dal diavolo” (don Andrea Gallo chiese la revisione del processo, ndr) . E questo qui, in semilibertà tra il 1997 e il 2011, violentava e ammazzava ancora povere donne in maniera brutale».Parliamo di Eleonora Scroppo. Detectives è tornato sul caso. Il 9 ottobre 1998, la donna, 50 anni, benestante, fu uccisa a colpi di pistola dalla finestra del giardino della bella casa a Roma nord, mentre cenava con marito e figlio. Un delitto perfetto o quasi? «La polizia, in seconda battuta, ha fatto indagini straordinarie. Probabilmente, nelle ore immediatamente successive al delitto, sarebbe bastato qualcosa in più per individuare l’assassino. Chiaro che, a bocce ferme, sono tutti bravi».Quella del mostro di Firenze è una vicenda irrisolta. «Sto scrivendo un libro, Il mostro è libero, se non è morto. A mio giudizio, la risultanza processuale che portò alla condanna dei “compagni di merende” è completamente sbagliata. Leggendo le carte, ho apprezzato le ricerche fatte da un colonnello dei carabinieri, all’epoca maggiore, Nunziato Torrisi, e da Mario Rotella, all’epoca giudice istruttore. Secondo me la verità si trova nella pista sarda. Pacciani era un mostro, ma non “il” mostro».Se le fosse proposto un programma puramente investigativo sull’omicidio di Aldo Moro? «Non direi di sì subito, vorrei avere tutte le carte possibili, usando la stessa procedura che utilizzo sempre, ossia fare un’indagine molto scientifica».Le è accaduto di subire minacce? «Mai. Per il caso Narducci mi hanno accusato di cose immonde, depistaggio, collusione con persone che non conoscevo, solo perché ho posto interrogativi. Poi sono stato prosciolto. Ma minacce di delinquenti, mai».Pensa, talvolta, magari a letto prima di addormentarsi, che in quel momento potrebbe perpetrarsi un crimine? «La mia vita è così tanto complicata, ho tanti pensieri, tanti “cazzi”, come si dice a Roma. Quando chiudo gli occhi, magari spero che il Padreterno si ricordi di me e mi dia una mano a risolvere i miei problemi».
«The Iris Affair» (Sky Atlantic)
La nuova serie The Iris Affair, in onda su Sky Atlantic, intreccia azione e riflessione sul potere dell’Intelligenza Artificiale. Niamh Algar interpreta Iris Nixon, una programmatrice in fuga dopo aver scoperto i pericoli nascosti del suo stesso lavoro.