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L'amministratore delegato di «Repubblica», Monica Mondardini, e il presidente del gruppo editoriale «L'Espresso», Carlo De Benedetti (Ansa)
La truffa milionaria all’Inps costa solo cinque mesi a Monica Mondardini, braccio destro di Carlo De Benedetti. Pena definita «incongrua» dal gip che aveva rifiutato la proposta due anni fa. Accolta la richiesta per altri 15 imputati, risarciti quasi 20 milioni.
Ha dovuto attendere due anni, ma alla fine il braccio destro di Carlo De Benedetti, Monica Mondardini (oggi ad del gruppo Compagnie industriali riunite), ha ottenuto di patteggiare una pena di soli 5 mesi per la truffa milionaria ai danni dell’Inps perpetrata dal gruppo editoriale Gedi (che all’epoca controllava La Repubblica, L’Espresso, testate locali e diverse radio) quando era lei a guidarlo.
Hanno patteggiato anche altri 15 imputati, concordando pene che vanno da 5 mesi e 29 giorni a un anno. L’esecuzione è stata sospesa ed è stata garantita a tutti la non menzione sul casellario.
La pena più pesante (12 mesi) è toccata all’ex capo delle risorse umane di Gedi, Roberto Moro. Ma anche lui può tirare un sospiro di sollievo.
Due anni fa il gip Andrea Fanelli del tribunale di Roma aveva rigettato l’istanza di patteggiamento di alcuni imputati eccellenti, tra cui Mondardini e Moro, proposta che era stata approvata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dalla pm Claudia Terracina. L’inchiesta era quella sui prepensionamenti truccati del gruppo Gedi (i requisiti venivano raggiunti in vari modi, modificando i libretti di lavoro o demansionando i dirigenti o spostando i dipendenti da un’azienda all’altra), ossia della casa editrice all’epoca di proprietà di De Benedetti, e Fanelli aveva ritenuto che l’offerta di Mondardini e Moro e delle cinque società (Gedi Gruppo editoriale Spa, Gedi news network Spa, Gedi printing Spa, A. Manzoni & C. Spa ed Elemedia Spa) che si sono offerte di patteggiare fossero davvero troppo morbide.
La pena concordata con la pm Terracina dalla Mondardini (difesa dall’ex Guardasigilli Paola Severino e da Maurizio Bellacosa) e da Moro (assistito da Francesco Dottore), era di cinque mesi e dieci giorni di reclusione con pena sospesa.
Ma Fanelli nella sua decisione aveva scritto che non erano concedibili le attenuanti «in quanto il vantaggio ricavato non è “minimo” come richiesto dalla norma (essendo - anche a voler accogliere la tesi degli istanti in ordine alla quantificazione del profitto conseguito - superiore a un milione e mezzo di euro) e, soprattutto, in quanto non può assolutamente definirsi “particolarmente tenue” il danno cagionato all’Inps (pari a oltre 15 milioni)». Il gip aveva definito la pena concordata con la Procura da Mondardini e Moro «manifestamente incongrua per difetto rispetto al disvalore dei fatti loro contestati e al ruolo dagli stessi rivestito nell’ambito dell’attività delittuosa». Non basta. Per il giudice «le loro condotte avevano consentito agli enti del gruppo Gedi di conseguire un consistente profitto e, soprattutto, avevano cagionato all’Inps di entità assai rilevante». Inoltre, sempre per Fanelli, «gli stessi avevano rivestito un ruolo di primo piano nell’ambito della realizzazione della complessa truffa ordita in danno dell’Inps». Il 13 ottobre scorso (ma la notizia ha iniziato a circolare solo ieri), il giudice del dibattimento, Giulia Cortoni, non ha ritenuto di fare propria la linea intransigente del collega e ha considerato le attenuanti generiche equivalenti per i due imputati Vip e prevalenti per la maggior parte degli altri ex dipendenti del gruppo che hanno patteggiato.
Alla fine la Mondardini, che per Fanelli era una delle menti della truffa, ha dovuto aggiungere solo 19 giorni rispetto alla proposta rigettata due anni fa, mentre a Moro è andata un po’ peggio. A entrambi è stata inflitta una multa da 900 euro.
Hanno patteggiato, tra gli altri, anche un ex sindacalista della Cgil e l’ex segretaria del direttore dell’Espresso.
Alla fine la Procura di Roma ha disposto come risarcimento in favore dell’Inps la somma complessiva di 16.107.539 euro (compresi 639.894 euro a titolo di interessi legali).
All’inizio dell’inchiesta la Guardia di finanza aveva valutato che il danno per l’Inps fosse di circa 22 milioni per le pensioni erogate sulla base di documentazione fasulla a un’ottantina di dirigenti e impiegati che avevano usufruito dello scivolo quando erano poco più che cinquantenni. All’epoca l’ingiusto profitto ottenuto da Gedi, gruppo che aveva evitato di pagare contributi previdenziali e stipendi, era stato valutato in circa 38,9 milioni. Per questo nel dicembre del 2021, dopo tre anni di indagini, era stato deciso un sequestro preventivo di pari importo. A ottobre il giudice Contorni ha disposto la restituzione di 19,2 milioni al gruppo editoriale, dopo avere ordinato «la confisca e la devoluzione all’erario» della somma di ulteriori 3,5 milioni.
Il giudice, nell’udienza dello scorso 13 ottobre, dopo avere preso atto che l’ente previdenziale era stato integralmente risarcito dalle società sotto inchiesta, ha autorizzato la sospensione del procedimento con messa alla prova nei confronti di 7 imputati fra cui Romeo Marrocchio (che ha versato 15.000 euro), ex manager del gruppo Gedi e, successivamente, capo del personale del gruppo Sole 24 ore, l’ex dirigente Giovanni Dotta e Felicita Mornata.
Quello della Mornata era considerato uno dei casi più emblematici, come hanno scritto in un’annotazione le Fiamme gialle: «L’imponente truffa posta in essere ai danni dell’Inps, a parere di questa polizia giudiziaria, è stata finalizzata non a scongiurare un ipotetico stato di crisi aziendale (che poteva portare a una eventuale vertenza tesa al licenziamento di personale), ma alla massimizzazione dei profitti. In tal senso, come detto, è paradigmatica la vicenda di Felicita Mornata che, pur essendosi proposta per essere impiegata come collaboratrice esterna della Somedia Spa (per la quale era stata espressamente richiesta), è stata deliberatamente e fittiziamente assunta dalla A. Manzoni & c. Spa e da quest’ultima poco tempo dopo prepensionata, per continuare la propria attività come consulente esterno della stessa Somedia Spa».
Il processo prosegue con rito ordinario per una sessantina di ex dipendenti.
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Carlo De Benedetti (Ansa)
Bocciato l’accordo con la Procura sui prepensionamenti farlocchi del gruppo, che prevedeva 5 mesi di detenzione. Il danno da 16 milioni all’Inps per il giudice non può essere considerato «tenue». Ma i media presenti all’udienza scelgono il silenzio.
Non ci era mai capitato di assistere a una simile congiura del silenzio. E qualche anno di esperienza alle spalle lo abbiamo. Ieri non ha meritato, sino dopo le 21, neppure un lancio di agenzia la notizia che il gip Andrea Fanelli del tribunale di Roma (e non di Isernia) aveva rigettato l’istanza di patteggiamento di alcuni imputati eccellenti e che era stata approvata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo (presente personalmente in udienza) e dalla pm Claudia Terracina. L’inchiesta era quella sui prepensionamenti farlocchi del gruppo Gedi, ossia della casa editrice della famiglia Agnelli-Elkann. E non è che l’udienza in Camera di consiglio per valutare la richiesta di applicazione delle pene fosse segreta. L’avevamo anticipata nei giorni scorsi e ieri, davanti alla stanza del giudice, c’era un capannello di cronisti che non ha scritto un rigo. Forse si aspettavano l’accoglimento dell’istanza.
Tutto doveva concludersi nel più assoluto riserbo, senza alcun clamore sui giornali, né quelli di destra, né quelli di sinistra. E qui sta la clamorosa novità. Infatti le notizie in Italia, solitamente escono tutte: quelle che i media progressisti nascondono vengono diffuse da quelli conservatori e viceversa. Ma in questo caso vanno tutti d’amore e d’accordo, forse perché la questione dei prepensionamenti ottenuti con fondi statali e accollati all’Inps sono una pratica diffusa. E così sulla clamorosa inchiesta è caduto il silenzio, nonostante gli oltre 100 indagati, l’importanza del gruppo coinvolto e l’accusa di truffa aggravata ai danni dell’Inps. Ovvero di tutti noi.
Ma il tentativo di chiudere l’imbarazzante procedimento a tarallucci e vino è fallito miseramente. Il giudice Fanelli, considerato da tutti un magistrato perbene, oltre che una toga preparata ed esterno al sistema delle correnti (quando è entrato nel consiglio giudiziario come indipendente nelle liste dei conservatori di Mi non ha fatto sconti a nessun collega), ha ritenuto che la proposta dei due indagati (Monica Mondardini, ex amministratore delegato di Gedi, oggi alla guida della Cir di Carlo De Benedetti, e Maurizio Moro, ex capo del personale) e delle cinque società (Gedi Gruppo editoriale Spa, Gedi news network Spa, Gedi printing Spa, A. Manzoni & C. Spa ed Elemedia Spa) che si sono offerte di patteggiare fossero davvero troppo morbide.
La pena concordata con la pm Terracina dalla Mondardini (difesa dall’ex Guardasigilli Paola Severino e da Maurizio Bellicasa) e da Moro (assistito da Francesco Dottore), era di cinque mesi e dieci giorni di reclusione con pena sospesa.
Gli accordi con le società (difese da Eloisa Scaroina) per la responsabilità amministrativa prevista dall’articolo 24 del decreto legislativo 231 del 2001 (indebita percezione di erogazioni pubblica e truffa a un ente pubblico) prevedevano il pagamento di 44 quote del valore di 22.000 euro per ciascuna azienda per un totale di 110.000 euro; il risarcimento del danno in favore dell’Inps per un totale di circa 16 milioni, operato mediante dissequestro parziale (già disposto dalla Procura) di parte delle somme già congelate due anni fa; messa a disposizione da parte della società di ulteriori 1,8 milioni, quale somma determinata come profitto connesso ai reati contestati.
Peccato che all’inizio dell’inchiesta la Guardia di finanza aveva valutato che il danno per l’Inps fosse di circa 22 milioni per le pensioni erogate sulla base di documentazione fasulla a un’ottantina di dirigenti e impiegati che avevano usufruito dello scivolo quando erano poco più che cinquantenni. All’epoca l’ingiusto profitto ottenuto da Gedi, gruppo che aveva evitato di pagare contributi previdenziali e stipendi, era stato valutato in circa 38,9 milioni e non 1,8. Per questo nel dicembre del 2021, dopo tre anni di indagini, era stato deciso un sequestro preventivo di pari importo. Anche allora i giornalisti preferivano ignorare la notizia, per occuparsi magari, con entusiasmo, di reati bagatellari.
Come detto, davanti al gip Fanelli si è presentato Ielo in persona, mentre l’Inps era rappresentata dagli avvocati Edoardo Urso e Aldo Tagliente. Il giudice ha ritenuto irricevibili le richieste perché l’istanza di patteggiamento concordata è stata considerata troppo mite per i due manager rispetto alla gravità dei fatti contestati, mentre per le società non ricorrerebbero i presupposti per riconoscere la richiesta di attenuante per danno patrimoniale tenue. Avete letto bene: per la Procura di Roma sottrarre 16 milioni all’Inps sarebbe un danno patrimoniale tenue, quando magari un ladro finisce in galera per avere rubato una mela.
Però, nella motivazione del rigetto del patteggiamento, il gip non è entrato in considerazioni che riguardavano la correttezza o meno dei calcoli dell’illecito profitto o del risarcimento del danno. Non è servito. Le pene proposte sono state considerate manifestamente sproporzionate per difetto. Ma anche la considerazione del danno come particolarmente tenue è stata ritenuta incongrua e non accoglibile.
Alla fine Fanelli ha disposto la restituzione degli atti al pm. Adesso l’istanza di patteggiamento potrà essere riproposta a condizioni diverse. I festeggiamenti di Gedi e dei loro legali, ma anche dei giornalisti, sono rimandati a tempi migliori.
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Monica Mondardini (Ansa)
Cinque società, Roberto Moro e Monica Mondardini pronti a chiudere la partita con la Procura nell’inchiesta sui prepensionamenti nei giornali.
La truffa sui prepensionamenti farlocchi organizzati con artifizi dal gruppo editoriale Gedi (che pubblica quotidiani come La Repubblica, La Stampa e Il Secolo XIX) negli anni in cui la holding apparteneva alla famiglia De Benedetti, è arrivata a un punto di svolta, dopo lunghe e laboriose indagini. Due imputati eccellenti e cinque società della holding hanno deciso di patteggiare, come già anticipato dalla Verità, e tra pochi giorni si presenteranno davanti al giudice di Roma per chiudere la partita. Un successo per la Procura guidata da Giuseppe Lo Voi che sembra sia riuscita a portare a casa una sorta di ammissione di colpevolezza (anche se i puristi del garantismo inorridiranno per questa semplificazione) da parte degli imputati. Non è noto, però, quanto società e imputati abbiano concordato di pagare come contropartita in denaro e in mesi di detenzione per il danno cagionato e l’ingiusto guadagno, così da ottenere il via libera dei pm al patteggiamento. Tutti gli altri indagati (una settantina se si escludono i 31 ex dipendenti per cui è stata chiesta l’archiviazione) sono in attesa della fissazione dell’udienza preliminare propedeutica al rinvio al giudizio per la truffa aggravata ai danni dell’Inps, che la Procura di Roma aveva quantificato in 38,9 milioni di euro di risparmi (l’ingiusto profitto del reato) per la holding realizzati grazie a prepensionamenti fittizi di un centinaio di dipendenti tutti inizialmente indagati. Il 29 novembre il procuratore aggiunto Paolo Ielo ha firmato l’esecuzione del provvedimento di dissequestro di parte dei milioni congelati a Gedi per risarcire l’Inps del danno subito, inizialmente quantificato in 22 milioni, poi in 15,4. Il provvedimento di «sequestro parziale con restituzione al soggetto danneggiato dal reato» era del 5 luglio scorso, ma è diventato esecutivo solo ora.
La pm Claudia Terracina, dopo aver letto le note dell’Inps del 31 maggio e dell’1 giugno a firma di Vincenzo Ciriaco, responsabile antifrode dell’istituto, che quantificava il danno patrimoniale subito per la frode, ordinava il dissequestro di 15,7 milioni, di cui 252.000 di interessi calcolati tra febbraio e maggio 2023. Ma gli ultimi riconteggi hanno portato a un aumento dell’importo, salito a 16.207.539,28, da stornare ai 38,9 milioni sequestrati nel dicembre del 2021 alla casa editrice di proprietà della famiglia Elkann-Agnelli, precedentemente controllata dall’ingegner Carlo De Benedetti attraverso la propria finanziaria Compagnie industriali riunite spa. E proprio l’attuale amministratrice della Cir (e allora in Gedi con lo stesso incarico) Monica Mondardini ha chiesto di patteggiare. Il 14 novembre è stato inviato l’avviso di fissazione della Camera di consiglio davanti al giudice Andrea Fanelli alla manager e a Roberto Moro, ex capo delle risorse umane dell’azienda, oltre che alle società Gedi Gruppo editoriale spa, Gedi news network spa (per il cui amministratore delegato e direttore generale Corrado Corradi è stata chiesta, invece l’archiviazione), Gedi printing spa, A. Manzoni & C. spa, Elemedia spa, coinvolte nella vicenda. L’udienza è convocata per il 5 dicembre. L’eventuale accoglimento dell’istanza di patteggiamento ha come condizione ineludibile l’avvenuto risarcimento dei danni subiti dall’Inps e conseguenti alle azioni fraudolente contenute nei capi di imputazione. Le società sono indagate per la responsabilità amministrativa delle imprese.L’Inps potrà costituirsi parte civile nei confronti di coloro che non hanno patteggiato. Due dipendenti dell’ente previdenziale, considerati complici della banda Gedi, hanno beneficiato della prescrizione, maturata nell’aprile di quest’anno, nelle more di un procedimento avviato nel 2018 e, probabilmente, arrivato a giudizio non proprio in tempi stretti. Le approfondite indagini svolte dalla Guardia di finanza avevano portato all’avviso di chiusura delle indagini per 101 persone. Nella recente richiesta di archiviazione la pm Terracina ricorda che «la prima e più significativa modalità fraudolenta cui il gruppo aveva fatto ricorso era quella di disporre fittizi “demansionamenti” da dirigente a quadro di taluni soggetti, curando la risoluzione del rapporto contrattuale e poi riassumendo il dirigente nella Manzoni &C spa o altre aziende del gruppo con qualifica di quadro. Le indagini hanno dimostrato come in alcune situazioni, come quella di un dirigente citata nella ordinanza, che ha continuato a svolgere le medesime mansioni anche esercitando poteri direttivi sulla collega che aveva formalmente assunto la sua posizione direttiva, la fittizietà della operazione di demansionamento fosse evidente».Vi sono poi dipendenti per i quali, secondo le indagini, il gruppo Gedi avrebbe operato un fittizio trasferimento a società che potevano usufruire degli aiuti statali per lo scivolo. Alcuni dipendenti hanno reso interrogatorio presentando delle memorie difensive, dove hanno evidenziato di aver subito il meccanismo inconsapevoli che la situazione di una società del gruppo fosse diversa da un’altra e di aver ritenuto, proprio per i collegamenti continui tra le società, indifferente quale fosse formalmente la datrice di lavoro. Una clamorosa truffa da decine di milioni di euro che è pronta a finire nel dimenticatoio senza che alcun giornale o tv ne abbia mai parlato. Forse perché così facevano tutti.
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