2022-10-03
Il fisco strozza le imprese: valanga di tasse in arrivo
Lo Stato torna a battere cassa. Le cartelle esattoriali sospese dal fisco a causa del Covid saranno infatti presentate all’incasso entro la fine dell’anno e l’inizio del 2023. Così per lo meno assicura Federcontribuenti, secondo cui ai sette milioni di notifiche fiscali già inviate entro luglio di quest’anno, se ne aggiungeranno altri 13. Ma non è finita: perché oltre a queste, sono in arrivo 2,5-3 milioni di cartelle che gli enti locali affideranno all’Agenzia delle entrate per la riscossione. In altre parole, sugli italiani provati dalle maxi bollette si sta per scaricare una maxi-valanga di tasse, comprensive di arretrati e sanzioni, che rischia di travolgere la fragile economia di famiglie e imprese.Già questo basta e avanza per un titolo a tutta pagina, perché, se lo Stato ci mette del suo per spazzare via aziende che faticano a resistere alla congiuntura, non c’è speranza. Mentre altri Paesi stanziano aiuti per venire incontro a chi non ce la fa a causa della crisi provocata dalla guerra in Ucraina e dallo shock energetico, da noi il fisco pare voler fare di tutto per mettere i bastoni fra le ruote ai contribuenti, con adempimenti e pretese che non vanno a caccia dei veri evasori, ma di chi le tasse le pagherebbe volentieri se solo potesse. Come sa chiunque faccia l’imprenditore, a un creditore in difficoltà per effetto di una situazione transitoria non puoi tirare il collo, perché rischi di farlo fallire e di perdere pure ciò che ti potrebbe liquidare seppure a rate. Ma lo Stato non è un imprenditore e se da un lato si mostra debole con i furbi, dall’altro fa la voce grossa con le persone per bene, avviandole non di rado verso il fallimento.Di quanto sia privo di senso pratico l’atteggiamento del fisco e quanto sia poco logico se confrontato al comportamento dei regimi fiscali di altri Paesi, lo dimostra poi un altro fattore, ovvero i debiti della Pubblica amministrazione nei confronti delle imprese. Infatti, mentre lo Stato alza la voce e pretende, pena una raffica di sanzioni, il pagamento degli arretrati fiscali, dall’altro è lo stesso Stato a infischiarmene delle scadenze e a non saldare i conti accumulati nei confronti delle aziende. A segnalarlo è uno studio della Cgia di Mestre, secondo cui i debiti della Pubblica amministrazione nei confronti dei privati hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 55,6 miliardi di euro, un debito che, nonostante le difficoltà del sistema produttivo per finanziare la normale attività, nessuno sembra intenzionato a ridurre. È dai tempi di Matteo Renzi, cioè dal 2014, che si discute di come smaltire lo stock creditizio vantato dalle imprese nei confronti di ministeri e enti locali, ma a quanto pare la questione non si risolve. L’ex Rottamatore, in una storica puntata di Porta a porta, promise di andare in processione a piedi da Firenze a Monte Senario se in pochi mesi non fosse riuscito a ridurre i debiti dello Stato verso le aziende. Ovviamente perse la scommessa e ancor oggi Bruno Vespa se la ride. Ma se il fondatore di Italia viva, in due anni al governo ha mancato nell’impresa, pur riuscendo a ridurre un poco lo stock, chi è venuto dopo di lui neppure ci ha provato. Da Gentiloni a Conte e da questi a Draghi, i ritardi nella liquidazione delle fatture sono diventati patologici. A questo proposito, vale la pena di ricordare un caso clamoroso, ovvero la vicenda delle Acciaierie d’Italia, fabbrica controllata dallo Stato per tramite di Invitalia e di cui è azionista un gigante multimiliardario (e multi utile) come Arcelor Mittal. Il governo ha da poco sganciato un assegno da 1 miliardo per ricapitalizzare la società, che tuttavia non paga le piccole e medie imprese pugliesi, accumulando un centinaio di milioni di debiti. L’ex Ilva ha un arretrato per bollette d’acqua non saldate nei confronti dell’Ente per lo sviluppo e l’irrigazione della Puglia che sfiora i 400.000 euro. Ma c’è da giurare che mentre una controllata pubblica non salda i suoi debiti, il fisco pretenderà da quelle stesse aziende pugliesi che onorino i loro con l’Agenzia delle entrate. Perché la mano sinistra del fisco non parla con quella di destra della Pubblica amministrazione, ma tutte e due contribuiscono a strangolare quelle stesse imprese che hanno scambiato per vacche da mungere fino all’ultima goccia.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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