
Gabriella Di Michele ai dipendenti: «Un giornale diffonde notizie nient'affatto corrispondenti alla Verità...». E chiede di levarci dalla mazzetta.«Si può dire che provengo dal territorio profondo, dove bisogna imparare ad affrontare grandi e piccole avversità. Da allora, mi sono distinta per verve e determinazione». Con queste sobrie parole Gabriella Di Michele, direttore generale dell'Inps, si presentava nel maggio scorso sul mensile di Federmanager. Ed è con le stesse «verve e determinazione» che l'ex braccio destro dell'archipresident Tito Boeri, fratello dell'archistar Stefano Boeri, ha deciso di lasciare il segno nella storia dell'ente e della gestione illuminata delle relazioni con i dipendenti, raccomandando di non curarsi della Verità e, anzi, dandosi da fare per togliere il nostro giornale dalla rassegna stampa interna. Un grande favore, perché così venderemo ancora più copie tra i dipendenti di «lady pensioni», come la chiamava con un po' di piaggeria la stampa di settore. Il problema con La Verità è che all'Inps ci sono le nomine in corso e su questo giornale abbiamo raccontato tanti retroscena, scoperto qualche altarino e, lo ammettiamo, non siamo mai stati dei fan di Boeri e dei suoi allarmi su quota 100. Ma non tanto perché a gennaio del 2017 abbia scelto la Di Michele come dg, e neppure perché la sua nomina fosse stata «consigliata» da Carlo De Benedetti a Matteo Renzi. Il problema di Boeri è che fin dal suo insediamento ha pensato di essere stato nominato ministro del Welfare e quindi voleva dettare la riforma delle pensioni tanto al governo quanto al Parlamento, senza che i giornaloni gli ricordassero che i vertici dell'Inps le riforme le applicano, non le decidono. In ogni caso, quando Boeri propose la nomina della Di Michele, aquilana, 60 anni in questi giorni, l'allora ministro Giuliano Poletti ratificò senza colpo ferire, nonostante non ci avesse mai giocato a calcetto. Ora, mentre il governo si muove per la nuova governance, ecco che Lady Verve (e determinazione) risponde così agli auguri di compleanno dei colleghi: «Vi ringrazio molto per gli auguri. Vi ringrazio soprattutto per il lavoro che state svolgendo quotidianamente con ottimi risultati, in un periodo che non ha visto ancora definita compiutamente la nuova governance». E il messaggino prosegue così: «Inutile commentare le attenzioni che ci riserva continuamente un giornale che aspira forse a essere l'house organ dell'Inps, ma che diffonde notizie nient'affatto corrispondenti alla Verità». Segue la versione emoticon dei tre puntini, dopo il nome della nostra testata. Facciamo ben di peggio: diffondiamo anche i messaggi della signora direttora ai dipendenti, dai quali si può apprezzare la sua capacità di discernimento tra un giornale che ha le notizie e un house organ dove lodarsi e imbrodarsi a piacere. In ogni caso, per levarsi il fastidio di avere a che fare con quella sgradevole perdita di tempo che è la libera informazione, pare che l'illuminato dirigente abbia chiesto di levare La Verità dalla rassegna stampa interna. Buon compleanno e lunga vita, oltre che alla signora Di Michele, alle nostre amate edicole. Nel frattempo però bisognerà continuare a seguire gli sviluppi della ridistribuzione delle deleghe. Da qualche giorno si discute al ministero del Lavoro sull'opportunità di lasciare nelle mani di Luciano Busacca, a capo della segreteria unica, quelle di supporto e coordinamento del presidente. Togliendogliele, invece, e riportando i dirigenti promossi da Boeri, senza gara, agli incarichi precedenti, si otterrebbe un risparmio di almeno 250.000 euro. Che potrebbe coprire il costo aggiuntivo del nuovo consiglio di amministrazione.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.