2020-07-11
Il Csm assolse il pm corrotto caro ai Renzi. Le prove contro di lui ridotte a «equivoci»
Il Consiglio superiore della magistratura stroncò parte dell'inchiesta che ora ha portato a una condanna a dieci anni per Antonio Savasta. Luigi Dagostino, amico di babbo Tiziano, lo invitò a una cena con Giovanni Legnini «per far vedere che frequentavo gente di un certo livello».Antonio Savasta, l'ex pubblico ministero di Trani condannato a dieci anni insieme all'imprenditore amico di babbo Tiziano Renzi Luigi Dagostino (condannato a quattro anni), quando venne giudicato dalla sezione disciplinare del Csm, invece, si salvò. E se le ricostruzioni della Procura di Bari devono essere sembrata acqua fresca alle toghe della disciplinare, Savasta è stato punito dal giudice di Lecce (con rito abbreviato) per diversi episodi finalizzati a pilotare procedimenti in cambio di denaro e altre utilità versati da imprenditori. Gli stessi imprenditori per i quali finì davanti al Csm.Il collegio giudicante, presieduto da Antonio Leone (in sostituzione del vicepresidente del Csm Giovanni Legnini), e composto da Maria Elisabetta Alberti Casellati, Maria Rosaria San Giorgio, Lorenzo Pontecorvo, Nicola Clivio e Luca Palamara, nelle motivazioni fece le pulci alle segnalazioni inviate al Csm dalla Procura generale di Bari. Alcune ricostruzioni dell'accusa diventarono per la disciplinare addirittura «equivoci» o prodotto di «dati erronei». Nelle incolpazioni Savasta era accusato di aver inoltrato al gip, che rigettò il provvedimento, una richiesta di sequestro preventivo del valore di 7.600.000 euro (su denuncia degli imprenditori D'Introno) senza il previo assenso scritto del procuratore e di aver sequestrato delle cartelle esattoriali per 30 milioni di euro, impedendone la riscossione e avvantaggiando gli imprenditori D'Introno. Secondo i pm di Bari Savasta era rientrato dalle ferie nell'agosto 2015 proprio per disporre il sequestro degli oltre 7 milioni di euro. Ma la disciplinare valutò: «Deve anzitutto sgomberarsi il terreno da un equivoco, che si annida in un dato erroneo, contenuto nella nota della Procura di Trani che, richiesta dal pg di Bari e relativa al periodo di ferie goduto dall'incolpato nel mese di agosto 2015, ebbe a rispondere che in detto periodo Savasta era in congedo ordinario, laddove emerge dagli atti che quella risposta si riferiva all'agosto 2014. Un banale scambio di date, dunque, che, tuttavia, dovette generare addirittura il sospetto che l'incolpato, pur essendo in ferie, si fosse attivato, rientrando in sede al precipuo scopo di inoltrare la richiesta di sequestro». Insomma, per la disciplinare Savasta era in servizio. E fece anche il suo dovere di pm. Per le cartelle esattoriali, poi, il pg di Bari ipotizzava che il sequestro mirasse a paralizzare la procedura tributaria: «Nella sostanza», scrisse il pg, «si è utilizzato il più agile strumento del sequestro probatorio per non sottoporre la richiesta al giudice con il sequestro preventivo». Una furbata giuridica per aiutare i D'Introno, insomma. La disciplinare, però, sostenne che, siccome Savasta poi «procedette a contestare il delitto di usura in riferimento alla pretesa tributaria di Equitalia [...], tale circostanza dà ampiamente conto della plausibilità della finalizzazione del sequestro a fini probatori e della esclusione dello scopo di paralizzare la procedura tributaria». I giudici, in attesa che si esprimesse la Cassazione sulla vicenda, e con l'azione tributaria congelata, decisero che Savasta andava assolto «per esclusione degli addebiti». Ovviamente i due tipi di giudizio, quello penale e quello disciplinare, seguono strade diverse, che spesso non coincidono. E il 6 novembre 2017, tre anni prima del processo in abbreviato, la disciplinare del Csm chiuse la partita, ma depositò le motivazioni nel giugno 2018 (sette mesi dopo la decisione). Nel frattempo Savasta, a proposito di strade, ne cercò un paio per risolvere i suoi guai disciplinari. La procedura si aprì a fine 2016 e il fascicolo arrivò in prima commissione, quella che si occupa delle incompatibilità dei magistrati. L'udienza era fissata per il 2 dicembre. Ma Savasta anticipò tutti e l'11 novembre 2016 chiese il trasferimento a Roma. La commissione che valutò la richiesta fu la terza, il cui presidente era Valerio Fracassi, mentre la vice era Paola Balducci. La delibera venne approvata il 18 gennaio 2017 dal plenum presieduto da Legnini. Ma c'è un'ulteriore strada percorsa da Savasta, che non è entrata nel capo d'accusa del processo penale: un'occasione conviviale favorita da Dagostino proprio mentre il Csm discuteva il suo trasferimento. Dagostino, poco prima del Natale 2016, portò il magistrato a cena a casa di un suo dipendente, Luciano Tancredi, che aveva come ospiti Legnini e altri membri del Csm. A raccontarlo alla pm di Firenze Christine von Borries fu lo stesso Dagostino. Spiegò che a organizzarla era stato il giornalista Tancredi, che prima di lavorare per Dagostino era il responsabile della comunicazione di Legnini ai tempi in cui era sottosegretario del governo Letta e poi in quello di Matteo Renzi. Dunque il giornalista avrebbe dovuto conoscere molto bene sia alcuni consiglieri del Csm, sia Dagostino. E non a caso, secondo la pm fiorentina, tra gli invitati c'era anche Savasta. La pm domandò a Dagostino chi incontrò e l'indagato rispose: «Tancredi mi presentò Legnini e una donna che si chiama Balducci». Proprio la vicepresidente della terza commissione. La pm chiese conto anche a Tancredi. Lui sembrò tergiversare. Pure quando la toga gli ricordò che stava deponendo davanti a un pm. E Tancredi, a proposito di Savasta, la liquidò così: «Se c'è stato non mi è stato presentato».Legnini, invece, provò imbarazzo di fronte all'inaspettato commensale: «Mi fu presentato Savasta […] Non ricordo se chiesi a Tancredi perché lo avesse invitato». Legnini spiegò anche che ebbe l'impressione che quella presenza fosse legata al disciplinare e che qualora l'avesse saputo non avrebbe partecipato. E infine precisò: «Ma poi Savasta non mi chiese nulla né mi intrattenni a parlare con lui, se non genericamente, ma certamente non del disciplinare». Savasta, infine, spiegò così alla Verità la sua presenza alla cena: «Mi avevano detto che c'erano delle persone che, visto che in quel momento ero sotto disciplinare, erano di un certo livello. “Fai vedere che magari frequenti gente così…". Ma non è che ci sono andato con strani intenti. Speravo semplicemente che mi vedessero e che mi potessero ascoltare». E i membri del Csm? «Furono molto freddi, probabilmente perché il mio procedimento era pendente».
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