2020-11-29
Bergoglio blinda la successione a sé stesso
Con i nuovi 13 cardinali, il Papa controlla 73 votanti su 128: il successore al soglio pontificio sarà a sua immagine e somiglianza. Promossi pure lo storico nemico di Donald Trump, il «prete dei rom» e l'arcivescovo che tifa per l'apertura della Chiesa ai gay.Il messaggio di don Bosco su politica e religione nella ripubblicata Storia d'Italia.Lo speciale contiene due articoli.Il pasto consegnato alla porta della loro stanza a Santa Marta, così i neo cardinali hanno atteso in questi giorni la consegna della berretta rossa in periodo Covid. Il concistoro di ieri pomeriggio all'Altare della Cattedra della basilica di San Pietro è unico nella storia della chiesa, mai si erano visti i candidati in quarantena, ma così è in tempo di pandemia. E due candidati, l'ambasciatore del Vaticano in Brunei, Cornelius Sim, e l'arcivescovo di Capiz, Filippine, Jose Advincula, hanno ricevuto la berretta via streaming perché il viaggio è stato ritenuto troppo rischioso.Sono tredici le nuove porpore del settimo concistoro di papa Francesco (quattro non elettori in quanto ultraottantenni) e ora, con l'infornata di ieri, il pontefice argentino ha già nominato il 57% dei cardinali partecipanti a un eventuale prossimo conclave. Su 128 elettori in carica, ben 73 sono stati scelti da papa Bergoglio. Volendo usare criteri politici è chiaro che il pontefice argentino governa la sua successione garantendosi una maggioranza con un orientamento ben preciso. Pastori con l'odore delle pecore, si dice, ma i ben informati sanno che Francesco quando deve decidere chi nominare, vescovo o cardinale che sia, esprime il desiderio che siano «avanzati». «Non gli piace il termine «progressisti»», sussurra alla Verità un uomo delle sacre stanze, «ma dice appunto di volere uomini «avanzati», poi la storia e la personalità delle sue nomine racconta di uomini pastoralmente e dottrinalmente «aperti» e «liberal», in una parola: progressisti». Il simbolo più forte di questa linea di Francesco è il neo cardinale Wilton Gregory, arcivescovo di Washington, prima berretta rossa afroamericana degli Stati Uniti. Gregory è tassello importante delle nomine di Bergoglio nell'episcopato statunitense, fedele alla linea inaugurata con il cardinale di Chicago Blase Cupich e poi proseguita ad esempio a Newark con il cardinale Joseph Tobin. Il neo cardinale è noto per la sua pubblica opposizione al presidente Donald Trump, espressa in modo netto quando il presidente, in piene proteste del Black lives matter, si era fatto fotografare con una Bibbia in mano davanti alla statua di Giovanni Paolo II, nel santuario nazionale di Washington. «Trovo sconcertante e riprovevole», aveva tuonato Gregory, «che qualsiasi istituzione cattolica accetti di essere manipolata e che di essa si faccia cattivo uso in maniera da violare i nostri principi religiosi, che invece ci chiamano a difendere i diritti di tutte le persone». Peraltro, l'episcopato americano con le nomine di Bergoglio di fatto è ulteriormente diviso, prova ne è la discussione sull'atteggiamento da assumere nei confronti di Joe Biden per le sue posizioni da «cattolico adulto» in tema di aborto e matrimonio gay. L'arcivescovo José Gomez di Los Angeles, presidente della conferenza dei vescovi degli Stati Uniti, ha detto che Biden è un problema perché «sosterrà politiche contrarie ad alcuni valori fondamentali a cui siamo cari come cattolici». C'è da ritenere però che non tutti i vescovi Usa la pensino così, di certo non i vescovi nominati in questi anni da papa Francesco, tutti con profilo soft power e aperti alla prospettiva politica del «cattolico adulto».Vicina alle istanze del mondo Lgbt come quella di Gregory c'è anche la pesante nomina a cardinale di monsignor Marcello Semeraro, uomo di fiducia di papa Bergoglio, da poco nuovo prefetto della Congregazione per le cause dei santi al posto del silurato cardinale Angelo Becciu. Già pastore della diocesi di Albano, Semeraro copre anche il ruolo cruciale nella geopolitica ecclesiale di papa Bergoglio di segretario del Consiglio di cardinali (il cosiddetto C6). Impegnato a sostenere l'agenda del pontefice durante il doppio sinodo sulla famiglia del 2014 e 2015, Semeraro è un vero e proprio ultras della pastorale di accoglienza per le persone omosessuali. Più in generale questa nomina si colloca nella scia di un'altra importante nomina cardinalizia italiana di Francesco, quella dell'arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, che molti indicano come il più papabile in un futuro conclave (più del filippino Antonio Tagle, altra stella nel firmamento della chiesa di papa Bergoglio). Gli altri italiani creati cardinali ieri sono il vescovo di Siena, monsignor Augusto Paolo Lojudice, conosciuto anche come «il prete dei rom», il francescano Mauro Gambetti, custode del Sacro convento di Assisi, entrambi futuri elettori, e poi gli over 80: monsignor Silvano Tomasi, a lungo osservatore permanente alle Nazioni unite di Ginevra; il predicatore della Casa pontificia, il cappuccino Raniero Cantalamessa; infine don Enrico Feroci, parroco a Santa Maria del Divino amore a Castel di Leva.Altra nomina importante nella geopolitica ecclesiale è quella del maltese Mario Grech, emerito di Gozo e segretario generale del sinodo dei Vescovi, personalità «avanzata» secondo il volere di Francesco. Dalle cosiddette «periferie» arrivano Celestino Aós Braco, arcivescovo di Santiago del Cile, Antoine Kambanda, arcivescovo di Kigali, in Ruanda. Tra i non elettori Felipe Arizmendi Esquivel, vescovo emerito di San Cristóbal de las Casas in Messico.Papa Francesco continua la sua legittima scelta di orientare in modo netto il futuro conclave. Così però potrebbe mancare un po' di quella parresia che lo stesso Francesco ha sempre invocato, a meno che non ci pensi lo Spirito santo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-conclave-lottizzato-dai-bergoglio-boys-2649070525.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-nazionalismo-cattolico-censurato-ma-la-fede-e-in-accordo-con-la-patria" data-post-id="2649070525" data-published-at="1606593675" data-use-pagination="False"> Il nazionalismo cattolico censurato. Ma la fede è in accordo con la patria Un tempo erano i comunisti e le sinistre più estreme ad essere contrari al nazionalismo. Ora invece pare che il concetto sia divenuto inaccettabile anche in Vaticano. La storia del patriottismo cattolico però è una storia vasta, cospicua, interessante e ricca di insegnamenti per l'attualità. Su di essa però è caduto l'oblio e da vari decenni viene sistematicamente censurata, sia da parte dei teologi ufficiali, che da parte dello stesso laicato cattolico. Il quale, spesso e volentieri, identifica il Vangelo con l'Onu, la Chiesa con l'Unicef, e l'amor di patria con la violenza e il razzismo. Eppure, il Maestro di tutti i cristiani disse nel momento culminante della sua missione: «Ammaestrate tutte le nazioni» (Mt 28,19). Fissando il concetto di nazione come concetto naturale e non contingente. E mostrando in modo indelebile che l'amore universale che si deve a tutti gli uomini - nemici inclusi - va coniugato con l'identità, con la vocazione e le particolarità che ogni popolo detiene, nell'incessante fluire della storia. L'Ottocento, il secolo della sospirata Unità, vede nella nostra Penisola delle figure che unirono in modo mirabile la fede cristiana - che è universale e va diffusa presso ogni stirpe, sino ai confini della terra - con l'amore viscerale per la propria patria, la propria lingua, la propria nazione e la propria cultura di appartenenza. Si pensi, tra i tanti nomi che potrebbero citarsi, allo scrittore Alessandro Manzoni (1785-1873), il cantore della Provvidenza nella storia, al teologo Antonio Rosmini (1797-1855) e allo scrittore Cesare Cantù (1804-1895), autore di una celebre Storia degli italiani. E perfino al dimenticato Silvio Pellico (1789-1854), il quale dopo l'esilio e la carcerazione, riscoprì la fede avita, senza rinnegare in nulla l'amore preferenziale per la propria gente. Uomini, un tempo veneratissimi nei licei, che potrebbero definirsi tranquillamente cattolici e nazionalisti. Pur con le attitudini pacifiche che sempre ebbero verso gli altri Stati e popoli del mondo, continuando e riprendendo l'eredità dantesca in pieno XIX secolo. Oggi però, nell'epidemico secolo XXI, segnato da globalizzazione selvaggia, interconnessioni obbligate e migrazioni planetarie, certi discorsi non si fanno più. E soprattutto non si vogliono più né sentire né ricordare. Cancellando ciò che per i padri della Chiesa, come Agostino e Tommaso d'Aquino, era chiaro e limpido. Ovvero: come debbo onorare mio padre e mia madre in modo speciale e unico - senza pregiudizio per nessuno - così sono chiamato ad amare e difendere la madre patria, fino a sacrificarmi per essa. Gli stessi pontefici recenti, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, hanno mostrato un amore peculiare per le loro patrie native della Polonia e della Germania, da rendere evidente la congruenza tra amor di Dio e amor di patria, autentico spirito nazionale e apertura all'umanità. Ma una verità si impone, lapalissiana quanto dimenticata: amare la propria famiglia più della altre, non è incompatibile con l'etica della Bibbia. E non lo è neppure la difesa della nazione, della patria, della cultura grazie a cui siamo ciò che siamo. Questa verità ce la ricorda ora un grandissimo e santo patriota: don Giovanni Bosco (1815-1888), la cui Storia d'Italia è appena stata ripubblicata (Radio Spada, 2020). Il testo mostra in un modo toccante che è possibile passare una vita intera, come fece l'immenso piemontese, a educare giovani, recuperare discoli e portare ovunque la parola di pace, di fraternità e di benedizione. Considerando però che «non vi sia paese più del nostro fecondo di avvenimenti e ricco di uomini illustri per coraggio e per ingegno».