2019-08-05
«Il Comitato di bioetica sbaglia a equiparare i pro vita ai pro morte»
Il giurista del Cnb, Francesco D'Agostino, contesta il parere dell'organo consultivo sul suicidio assistito: «La tentazione è di sopprimere i malati».Ha votato contro il documento approvato dal Comitato nazionale per la bioetica (Cnb) e in una delle tre postille alle Riflessioni bioetiche sul suicidio medicalmente assistito, il professor Francesco D'Agostino sintetizza le ragioni del voto negativo. Il Parlamento dovrebbe prendere posizione entro il prossimo 24 settembre sull'articolo 580 del codice penale, quello che sanziona l'istigazione e l'aiuto al suicidio. Difficilmente rispetterà la scadenza imposta dalla Corte costituzionale. In ogni caso, il parere espresso non sarà servito a fare chiarezza al legislatore, ai deputati, tantomeno al cittadino comune, come spiega D'Agostino, 73 anni, presidente emerito del Cnb, dopo una premessa che ritiene indispensabile: «Non ritenevo così urgente e così necessario che il Cnb entrasse in un'argomentazione che va invece affidata all'università, all'accademia, alla saggistica, ai filosofi morali».Professore, usando le sue parole, il comitato si sarebbe mosso con «tanta lodevole e gelida attenzione dottrinale», ma senza offrire un orientamento utile.«Ho fatto due critiche al documento. La prima, per la pretesa di esporre in modo neutrale le diverse posizioni in campo, in nome di un pluralismo che in astratto condivido ma che in questo caso funziona male. A mio parere, il Comitato nazionale di bioetica non deve prefiggersi come compito quello di illustrare le dottrine controverse in campo, già da tempo sviscerate e approfondite. Non deve fornire una bibliografia, deve dare una direttiva, una valutazione operativa sui temi che tratta. Metodo più rischioso, certo».Il parere doveva fare chiarezza, invece sembra non volere scontentare nessuno.«Infatti. La seconda postilla, quella di Assuntina Portesi, inizia con una frase che non mi è piaciuta: “Un documento elaborato da un comitato pluralista come il nostro, che raccoglie riflessioni bioetiche su tematiche complesse, non potrà mai essere scritto come ciascun componente farebbe se ne fosse l'unico autore". Un conto è riconoscere che ciascuno dei 30 componenti ha la propria personale visione dei problemi bioetici, altra cosa è pensare che si possa risolvere questa diversità limitandosi a descrivere le opinioni in gioco».Il Cnb ha dichiarato che sulla questione suicidio assistito non è possibile dare una risposta univoca: salvaguardia della vita da un lato, autodeterminazione del soggetto dall'altro. È d'accordo? «È evidente che in tutte le questioni di carattere morale, dottrinale, filosofico sarebbe un'ingenuità sperare di trovare un'assoluta convergenza di opinioni. Accade anche nella critica d'arte. Il vero problema è che ci dobbiamo compromettere, non si può dire: “scegliete voi", lasciando le valutazioni all'arbitrio di chi legge i nostri pareri. Altrimenti a che cosa serve un Comitato nazionale di bioetica?La seconda critica?«Nel giuramento di Ippocrate il medico dichiara che non toglierà mai la vita a un malato, nemmeno se è il paziente a chiederlo. Il riferimento al suicidio assistito era preciso, anche se con altre parole, già 400 anni prima della nascita di Cristo. Il medico ha un potere immenso, conosce come guarire e sa in quale modo uccidere. La competenza è sempre molto ambigua, per questo con il giuramento gli si chiede di operare sempre per il bene. La tradizione plurimillenaria della medicina dice al medico che deve essere sempre in favore della vita, eppure nel documento del Cnb per la prima volta la posizione per la morte è presentata come eticamente equivalente a quella per la vita. Al lettore viene detto scegli tu, se ti vuoi mettere dalla parte pro life o dalla parte opposta, in favore del suicidio». Accade anche nel dibattito sull'aborto.«I sostenitori dell'aborto molto spesso se la cavano dicendo che la vita del nascituro non è vita umana a pieno titolo. Oppure sostengono che ha più valore la vita della madre. In questo modo, provano a eludere l'accusa di essere portatori di morte. Nel caso del suicidio assistito, invece, chi si schiera a favore non si rende conto che è difficilissimo capire se la domanda è autentica, razionale o se invece nasce da una disperazione psicologica, come è frequentissimo nelle situazioni di fine vita».La medicina palliativa riesce quasi sempre ad aiutare i malati a non soffrire, la persona che chiede di morire non necessariamente sta così male fisicamente.«In situazioni di solitudine esistenziale atroce, si può invocare la morte. Nella seconda parte della mia postilla ho detto: stiamo attenti, perché i fautori del suicidio assistito ribadiscono che bisogna avere la certezza che sia una richiesta meditata. Ma come facciamo ad acquisirla? Chi ce la darà mai? La vita media degli uomini ha superato gli 80 anni, in Italia abbiamo tantissimi centenari, il guaio è che arriviamo male a questo traguardo perché più andiamo avanti nell'età, inevitabilmente aumentano la confusione mentale, le turbe neurologiche, il senso di abbandono, dilaga l'Alzheimer. Basta passare qualche ora in una casa per anziani o in un cronicario per capire che gli ospiti sono tutte persone fragilissime psichicamente. Quelle che dicono “voglio morire, sono stanco di vivere" non manifestano un'intenzione lucida, razionale. Sono dichiarazioni di tipo emotivo, suscitano immensa pena ma non possono essere prese sul serio. Sarebbe pericolosissimo». Professore, faccia chiarezza per favore fra eutanasia e suicidio assistito, fra eutanasia attiva e passiva. «Fra eutanasia passiva e attiva la differenza è puramente formale, dipende dalla tecnica che uso per far morire il malato. Nel primo caso, gli tolgo un farmaco capace di farlo sopravvivere, nel secondo lo sopprimo direttamente. Notevole è invece la differenza fra eutanasia e suicidio assistito. La pratica eutanasica, conosciuta già dai greci in epoca precristiana, vuole dare una morte pietosa indipendentemente da una richiesta da parte del malato. Nel suicidio assistito è la persona che chiede espressamente di morire, ma non è detto che sia malato o soffra di particolari patologie. È una richiesta di morte per rivendicare l'autodeterminazione dell'individuo».Esiste un diritto al suicidio assistito?«Sono un giurista di formazione. La nostra Costituzione su questo punto è molto chiara, perché dice che non posso applicare terapie a un malato senza un suo consenso. Nemmeno terapie salvavita. Se un paziente non vuole curare la polmonite con antibiotici, la sua è una forma di suicidio costituzionalmente fondata. Se mi chiede un parere etico, non approvo il malato che rifiuta di curarsi e sono assolutamente contrario al suicidio assistito. Ma la definizione di suicidio è molto più complicata di quanto si possa credere».Dobbiamo accettare una cultura della morte senza barriere?«Si va verso una burocratizzazione della morte. L'immensa tentazione diventa quella di togliere i supporti vitali a soggetti molto anziani, non autosufficienti, privandoli non dell'alimentazione o dell'idratazione ma di quelle terapie che permettono di fronteggiare la loro degenerazione fisica. Nel Regno Unito questo processo è abbastanza avanzato, oltre una certa soglia di età i medici lasciano sopravvivere ma non curano più. Ho molta paura della burocratizzazione della morte perché rende gelida la vita, oggi già particolarmente aspra. Il Cnb non ha capito questo aspetto del problema, l'ha ignorato».Quale posizione avrebbe dovuto prendere?«Doveva mandare un messaggio chiaro, la bioetica accende l'opinione pubblica. Preferisco un comitato che dica che la vita degli anziani perde di valore e non c'è bisogno di investire risorse economiche per gli ultrasettantenni, piuttosto che un'esposizione serena, razionale, distaccata dalle complicazioni quotidiane della realtà. Con l'aumento della vita media, le patologie dell'anziano e le spese sanitarie sempre più onerose saranno fra i problemi prossimi venturi della bioetica. In Italia non ne vuole parlare nessuno, per evitare di impantanarsi. Ci è stata presentata la bozza di un documento che affronta la questione neonati estremamente prematuri, 22 o 23 settimane di gestazione. Ne sopravvivono pochissimi, non più del 10%. Quelli che ce la fanno, quasi sempre si portano appresso un handicap fisico o cerebrale pesantissimo. Bisogna sospendere le cure? I temi della neonatologia sono atroci. Ne discuteremo in autunno, temo che per non far litigare i membri del comitato uscirà un documento come quello sul suicidio: alcuni sono a favore della vita, altri della sospensione dei supporti vitali».Il suo parere quale sarà?«Sono pro life, ma anche molto convito che si debba usare bene il rifiuto dell'accanimento terapeutico. Molte volte le pratiche mediche estreme non dovrebbero essere poste in essere. Anche i motivi economici giustificano un no: ci si può indebitare per cure costose, provocando il tracollo economico in una famiglia? La bioetica è complicata».