2021-04-20
Il colpo basso dello sport globalizzato vuole azzerare tradizioni e identità
La formula partorita dall'élite pallonara uccide il merito di chi vince sul campo, al di là del blasone E impoverisce un sistema che genera profitti e lavoro. Ma la Borsa sorride: la Vecchia Signora fa +17%No trasversale dei milanisti Matteo Salvini e Enrico Letta. Freddo il numero uno qatariota del PsgIl modello Nba ha conquistato i bianconeri, provati dall'acquisto di CR7. I cinesi dell'Inter a caccia di 175 milioni di euro. Barca e Real Madrid fuoriclasse nei debitiLo speciale contiene tre articoliI colori sparati come spray, il pubblico digitale, le musichette marziali, ogni partita che diventa «evento». Ma dentro la cornice dorata, uno specchio buio resterà sempre uno specchio buio. E tuttavia, a essere onesti, il calcio né vive né muore con il golpe della Superlega. Saranno almeno 20 anni che il dio pallone è sempre più falso e drogato. Retorica e denaro, messi insieme, ucciderebbero qualunque sentimento. Ma se ci si aggiunge l'ipocrisia, la colpa non è tutta di Florentino Perez o di Andrea Agnelli, o di altri presidentissimi che stavano per portare i libri in tribunale. Parlare oggi di «Superlega dei ricchi», come stanno facendo i club che non sono riusciti a entrare nel salotto globale è pura mistificazione.Il simbolo dell'ipocrisia è il signor Aleksander Ceferin, presidente dell'Uefa, che ieri non si è limitato a parlare di «progetto orribile», ma ha affermato che «i pochi club sono mossi da avidità». Questo avvocato sloveno che da cinque anni guida il calcio (a questo punto, «lealista») del Vecchio continente, nell'ultimo ventennio forse seguiva il ping pong. Il progetto, più che «orribile», sembra infantile e meschino, ma «l'avidità» che divora il calcio non è certo nata a mezzanotte e dieci minuti di ieri, con il comunicato degli scissionisti miliardari. Sarà stato anche un contropiede, che forse non ci si aspettava nella notte tra il 18 e il 19 aprile 2021, però, stupirsene e strillare come aquile oggi è come prendere un gol da Cristiano Ronaldo e Kylian Mbappè ed essere increduli. Così, è davvero intollerabile sentire gli esclusi dal circoletto dei Rich Clubs piagnucolare che «contano solo i soldi», o «comandano le tv». Ciò detto, nella cosiddetta Nba del pallone ci sono tanti elementi veramente penosi. Compreso il +17,85% segnato a Piazza Affari dalla Juve, che fino a ieri vantava uno dei bilanci più imbarazzanti di Milano e un balzo del genere poteva sognarselo giusto se per caso avesse mai vinto la Champions. Denaro e retorica c'erano da tempo, ma ora si uniscono assoluto disprezzo del merito, distruzione economica e vittoria definitiva del pallone globalizzato. Dev'essere stato davvero seccante, in questi anni, per club dalle disponibilità finanziarie praticamente illimitate, investire centinaia di milioni, costruire stadi, quotarsi in Borsa e poi giocare con il Crotone, o il Benevento (match che gli sponsor e le tv non amano perché anche l'occhio vuole la sua parte) e poi magari perdere per un fallaccio il proprio top player. O peggio, perdere pure tre punti su un campo di patate e contro una rosa il cui costo totale arriva a metà della loro panchina. Ecco, con la Superlega, si gioca solo tra ricchi, fighi, sponsorizzati fino alle mutande e quando perdi, perdi con un tuo simile e quindi limiti la figuraccia. Lasciamo perdere la meritocrazia, ma chi gioca a poker sa che è bello non avere mai la certezza del punto più forte in mano. I Rich Clubs, invece, sono tutti scale reali di cuori, ma con la certezza che una scala reale minima di fiori che possa batterli, semplicemente, non esiste per contratto. Quanto al fatto che poi vada nella nuova finta Champions una squadra che magari non vince nulla da 10 anni, mentre resta fuori un'Atalanta, che tra l'altro gioca un calcio spettacolare, si commenta da solo. Una volta, del ragazzino poco sportivo, si diceva che si portava a casa il pallone, o lo sgonfiava, se non vinceva. Qui siamo oltre. I Rich Clubs danno anche fuoco ai giardinetti. Ossia, i campionati di serie «A», senza di loro o con le loro terze file, da un punto di vista commerciale diventano una mezza fregatura e che nessuno più guarderà. Una tv o uno sponsor che fino a ieri erano disposti a svenarsi per vedere giocare anche Lautaro Martinez o Zlatan Ibrahimovich, ovviamente vorranno un ricco sconto se gli lasci solo Simone Zaza o Antonio Mirante. E campioni come Andrea Belotti o Matteo Pessina come potranno restare a Torino o a Bergamo? Nel giro di tre anni, avremo un campionato di scamorze. Oppure, che dura 20 giorni, si gioca ad agosto a Dubai e con 60 gradi. Le nazionali di calcio sopravviveranno all'Nba del pallone? Forse sì, se gli sponsor ne avranno interesse. Ma i campionati come quello di Italia, Francia o Germania faranno la fine di quello olandese, che da 30 anni nessuno guarda perché o vince l'Ajax o vince il Feyenord (in Italia è così da 10 anni, Inter a parte). Poi non è che l'identità di una nazione sia custodita solo dal locale campionato di calcio. Però, un pallone globale con 20 squadre e 20 magliette, dove un cinese tifa per un centravanti olandese e un italiano si appassiona per un'ala giapponese, non è proprio una meraviglia. Ma se nessuno li ferma, rischiamo di vederci giocare stabilmente Milan-Inter a Madrid, o a Pechino. E che qualche idiota dica pure: «Domani c'è la stracittadina». Ok, ma dove?