2018-12-14
Il Colle stizzito: se va male, ci resta in mezzo
Dopo essersi speso molto dietro le quinte della trattativa Stato-Ue per far scendere il deficit, Sergio Mattarella non ha apprezzato l'uscita dell'ex ministro francese. Il quale ora appare più isolato. E all'Italia conviene che il varco tra lui e il filo tedesco Jean-Claude Juncker si allarghi.Nel capolavoro Fantozzi contro tutti (1980, regia di Neri Parenti e Paolo Villaggio) una delle tante scene finite dritte nell'archivio mentale d'Italia vede il ragionier Ugo aprire cassetti, dispense, forno, lavatrice e lavastoviglie di casa: tutti traboccano di pane in ogni forma e dimensione. A quel punto il protagonista, recita l'inconfondibile voce narrante, «venne colto da un leggero sospetto»: che la moglie potesse tradirlo con il panettiere.Sarebbe irrispettoso attribuire un atteggiamento simile dalle parti del Colle, ma a quanto risulta alla Verità ieri mattina, quando Pierre Moscovici ha detto che «ci sono ancora dei passi da fare» per l'Italia, la reazione sul Quirinale non è stata buona e un certo sospetto si è in effetti diffuso. Sergio Mattarella, come rimbalzava in diversi retroscena sui quotidiani di ieri, aveva messo in campo massicce dosi di moral suasion sul presidente del Consiglio e su Giovanni Tria (da lui accettato dopo il veto su Paolo Savona a fine maggio) perché si arrivasse a un cammino dall'esito condiviso. Le parole fatte trapelare da Jean Claude Juncker dopo l'annuncio furbino del 2,04% (mediamente lo scarto tra deficit previsto e reale è anche di un intero punto percentuale per tutti, figuriamoci l'attendibilità della seconda cifra decimale) erano parse sul colle istituzionalmente più alto il suggello sull'efficacia del pressing di Mattarella. Per questo l'uscita del commissario francese, pronunciata a margine del suo intervento alla commissione Affari economici del Senato transalpino, proprio mentre avallava lo sforamento di Parigi oltre il 3%, ha provocato sobbalzi nello staff del nostro capo di Stato.Ieri pomeriggio Moscovici ha visto ancora Tria, e ha poi detto - sibillino, ma apparentemente più dialogante - che «lo sforzo italiano è consistente e apprezzabile», precisando che necessita di altro «dialogo e chiarimenti». Non è dato sapere né se l'Italia farà ulteriori concessioni (si mormora di un 2%, con scostamento obiettivamente ridicolo rispetto al compromesso di mercoledì), né se ciò servirà a evitare la procedura d'infrazione e con quali tempi.Sta di fatto che il sospetto che ha sfiorato il Colle ieri mattina è il seguente: che la partita in corso con la Commissione Ue abbia poco o nulla a che fare con criteri contabili, e quasi tutto con un gioco politico che, qualora si aprisse un varco tra Juncker e Moscovici (cioè, semplificando, tra Germania e Francia), questo potrebbe far bene alla posizione italiana.È un sospetto che qualcuno potrà giudicare vagamente tardivo (com'era quello di Fantozzi); ma questo non ne attenua gli effetti sul prosieguo della manovra. Sempre ieri Marzio Breda sul Corriere e Goffredo De Marchis su Repubblica in due articoli di comune ispirazione, esaltavano il ruolo di mediazione indiretta del Colle (ruolo sottolineato anche dalla Stampa). Il quotidiano diretto da Mario Calabresi, per esempio, spiegava che Mattarella «considera trattativisti Juncker e Moscovici. Non impiccarsi ai decimali è del resto il messaggio che, attraverso i suoi canali, il Quirinale ha fatto arrivare anche ai vertici europei. Altrimenti il dialogo non ha senso. E se la procedura viene tenuta sospesa, una minaccia immanente, mai tolta dall'orizzonte italiano, beh allora il governo perché dovrebbe scendere verso il 2 per cento?». Poco oltre: «Quelle puntualizzazioni sui punti della manovra da affrontare lasciano intendere che un filo diretto tra il Colle e chi conta nell'Unione è costante. Con Mario Draghi, governatore della Banca Centrale. E con Juncker, il presidente della commissione. In questi ultimi giorni più con lui che con il commissario francese all'Economia Pierre Moscovici, indebolito dalla richiesta di sforamento del suo Paese. Gli Stati del Nord adesso guardano storto anche lui».Anche di qui arriva il sospetto che ha agitato ieri mattina il Quirinale: l'uscita dell'ex ministro del governo Ayrault è suonata quasi come una sconfessione del canale aperto da Mattarella, e un'avvisaglia di un tradimento. «Il presidente ci ha aiutato e ha fatto pressione perché arrivassimo fino a lì. Ora persino lui è rimasto esterrefatto», spiega una fonte governativa alla Verità in mattinata, malcelando una mezza soddisfazione. Perché l'effetto politico della discesa in campo del Colle nella «trattativa Stato-Ue» segna un punto di non ritorno: per il governo, che in qualche modo l'ha accettata acconsentendo a riduzioni di un deficit per settimane considerato intoccabile; ma anche e soprattutto per il capo dello Stato. Ora infatti un fallimento del percorso, cioè un'apertura della procedura d'infrazione di qui al 19 dicembre, non sarebbe solo una umiliazione per l'esecutivo gialloblù (e un potenziale costo aggiuntivo per tutti), ma anche per il Quirinale, il cui investimento di mediazione finirebbe dilapidato con grave scorno.Ormai è questione di giorni. Ma le ultime 48 ore hanno segnato un salto: Moscovici, facendo sobbalzare Mattarella, si è anche isolato, dando la sensazione di essere in conflitto di interessi (starebbe pianificando una candidatura con Macron) e contemporaneamente un'immagine di minor compattezza di tutto il team (uscente) di Juncker. «La gestione delle regole di finanza pubblica da parte della Commissione sembra pietosamente inconsistente», notava ieri senza understatement Wolfgang Munchau, editorialista del Financial Times commentando proprio le recenti uscite. Un giudizio che Mattarella potrebbe quasi condividere.