2021-07-27
Il cardinale alla sbarra Parte il processo agli affaristi vaticani
Cecilia Marogna e Angelo Becciu (Ansa)
Imputati Angelo Becciu e il gruppo dell'Obolo di San Pietro. Il Pontefice ha voluto un tribunale laico per giudicarliOggi alle 9:30 per la prima volta nella storia un cardinale, Angelo Becciu, si trova alla sbarra per difendersi dai reati a lui contestati dai pm del Papa. «Peculato, abuso d'ufficio, subornazione», cioè induzione di un testimone a dichiarare il falso, sono questi i capi d'accusa rivolti al porporato che il Papa ha disarcionato dal ruolo di prefetto della Cause dei santi in un pomeriggio di settembre e contemporaneamente «scardinalato», per così dire, nel senso che gli ha lasciato la berretta, ma gli ha tolto le prerogative che spettano appunto ai cardinali. Una mitragliata che ha tramortito Becciu, il quale, in una decina di minuti, si è visto passare da uomo di fiducia di Francesco ad essere defenestrato senza troppe spiegazioni.È la «Mani pulite» del Vaticano, si dice. Il processo Londra, con riferimento al noto acquisto dell'immobile ubicato in Sloane Avenue n. 60, che è costato alle sacre casse circa 350 milioni di euro secondo quanto dicono i magistrati e che rappresenta la punta dell'iceberg di un fitto intreccio di affari e affaristi. Con Becciu, che si dichiara «innocente» e si dice lieto di poterlo finalmente dimostrare, gli imputati al processo che si apre oggi sono dieci: monsignor Mauro Carlino, ex segretario dello stesso Becciu; Cecilia Marogna, cosiddetta «Lady Becciu» e sedicente esperta di relazioni internazionali; Enrico Crasso, banchiere di fiducia vaticano dagli anni Novanta; Fabrizio Tirabassi, economo della segreteria di Stato vaticana all'epoca in cui Becciu era sostituto per gli affari generali della segreteria di Stato; e poi gli ex vertici dell'Aif, l'antiriciclaggio vaticano, René Brülhart e Tommaso Di Ruzza (per solo abuso d'ufficio), l'avvocato d'affari Nicola Squillace, il broker Gianulugi Torzi e l'uomo d'affari Raffaele Mincione che i magistrati vaticani indicano come «dominus indiscusso delle politiche di investimento di una parte considerevole delle finanze della Segreteria di Stato». I reati contestati a vario titolo ai dieci imputati sono truffa, riciclaggio, peculato, corruzione. Quello che emerge da un'inchiesta partita nel luglio 2019, sarebbe secondo l'accusa «un intreccio quasi inestricabile tra persone fisiche e giuridiche, fondi di investimento, titoli finanziari», protagonisti di «vicende ordinate appositamente e variamente interessate ad attingere alle risorse economiche della Santa Sede, spesso senza alcuna considerazione delle finalità e dell'indole della realtà ecclesiale». In poche parole, un «marcio sistema predatorio e lucrativo» in cui corvi e corvacci ben estranei alla «natura ecclesiale» potevano però svolazzare tra i forzieri vaticani «grazie a limitate ma assai incisive complicità e connivenze interne». Una matassa difficile da districare, ma su cui appunto ci si è messo di buona lena il tribunale vaticano stesso. E, novità nella novità, lo scorso aprile con un motu proprio di Francesco cardinali e vescovi accusati di reati penali dai magistrati vaticani, se rinviati a giudizio, vengono appunto processati dal Tribunale dello Stato della Città del Vaticano. Come tutti gli altri, e non da una Corte di Cassazione presieduta da un cardinale, come avveniva prima. Becciu avrà davanti a sé il giudice Giuseppe Pignatone e non un suo confratello. Il cardinale sembra preoccupato della trasparenza di questo tribunale e, dopo essere stato fatto fuori in quattro e quattr'otto dal Papa, adesso teme che le carte di accuse siano un castello costruito sulle dichiarazioni di un solo pentito, quel monsignor Alberto Perlasca, già capo dell'Ufficio che gestisce l'Obolo di San Pietro, la carità del Papa, che sta raccontando anni di un «sistema» dietro le quinte e che per questo è stato graziato.Si celebra quindi un processo che potrebbe dire molto di più rispetto ai fatti contingenti, anche se in fondo potrebbe rivelare semplicemente l'acqua calda. Perché, come diceva già san Basilio Magno nel IV secolo, i soldi sono «lo sterco del demonio» e quindi seguire la legge del «follow the money» è molto utile per scoprire gli altarini. E restituire, si spera, le sacre casse al loro compito, a partire da quella carità del Papa che costituisce troppo spesso una manna dal cielo per ripianare le perdite della macchina vaticana. Che emerga allora una chiesa non da mettere in miseria, che tanti la vorrebbero «stracciona» e «senza soldi», ma lavi i panni sporchi e sia capace di dar gloria a Dio anche con i denari.