2024-10-06
Il campo largo è peggio dell’asilo. L’ombra di Renzi fa litigare tutti
Matteo Renzi e Elly Schlein (Ansa)
Giuseppe Conte diserta l’evento per il referendum, Angelo Bonelli pone il veto all’ex premier, la Elly Schlein come al solito tace. Intanto, in Campania, il Pd vuole stoppare il tris di Vincenzo De Luca, che spernacchia: «Io vado avanti, chi c’è, c’è».«Renzi a Elly non le fa neanche vedere il pallone»: così un esponente di primissimo piano del centrosinistra commenta con La Verità l’inspiegabile ossessione della Schlein per il ritorno di Matteo nell’alleanza, ossessione che sta mandando letteralmente in frantumi l’ex campo largo. «La Schlein», aggiunge il nostro interlocutore, «si è messa in testa di fare la presidente del Consiglio, Renzi le garantisce qualche aggancio internazionale purtroppo indispensabile per governare l’Italia e le riconosce il ruolo di leader al contrario di Giuseppe Conte. Inoltre, ricordiamo sempre che nel Pd i renziani sono ancora molti». Già: l’ennesimo sabato di passione del centrosinistra, ormai tornato a essere telecomandato da Renzi, fa registrare l’assenza di Giuseppe Conte all’assemblea nazionale del comitato referendario contro l’autonomia differenziata, che ha preso il via ieri al centro congressi Frentani di Roma. Tra i leader, presenti la Schlein e Angelo Bonelli di Avs. Assenti Conte, rappresentato da Alessandra Maiorino; Renzi, il leader di Iv (presente Maria Elena Boschi) e Nicola Fratoianni. Mi si nota di più se vado o se non vado? Conte ha scelto la seconda opzione: «C’è stato un breve preavviso», cerca di giustificare la Maiorino, «quindi il presidente Conte non ha potuto essere presente». Bonelli schiera anche Avs sul fronte del «no» al ritorno di Matteo: «L’alleanza di centrosinistra è in fase di costruzione. Se serve un chiarimento con il Pd e la Schlein sulla presenza di Renzi? Tutti noi dobbiamo far vincere i nostri candidati alle regionali. Dopo le elezioni regionali», aggiunge Bonelli, «credo sia opportuno avviare un chiarimento. La stagione del renzismo non ha rappresentato un elemento di credibilità ma di profonda lacerazione nel Paese». È paradossale che Elly Schlein non dica una sola parola sul tema, non spieghi perché sta facendo crollare la sua già sgangherata coalizione pur di riaccogliere quel Matteo Renzi che nel 2015, con le sue politiche da capo del governo, la spinse a lasciare il Pd, denunciando «le forzature costanti dell’ultimo anno», scrisse Elly il 9 maggio 2015, «le continue violenze verbali, l’indifferenza e l’irrisione verso ciascuna delle tante proposte, e le umiliazioni verso le minoranze». Per gli appassionati suggeriamo la lettura integrale del post di addio al Pd della Schlein: neanche Conte è arrivato a un livello così velenoso di attacchi a Renzi. Ma cosa è cambiato da allora? «È cambiata la Schlein», riflette con noi un esponente molto autorevole del M5s, «che ora sogna Palazzo Chigi, non certo Renzi, che è sempre lo stesso. Elly spera nei contatti internazionali di Renzi, forse ha ricevuto pressioni dall’estero, non possiamo saperlo. Quello che sappiamo è che Conte non è disposto a fare passi indietro». A questo punto è il caso di contattare una nostra fonte molto vicina a Renzi per capire cosa passa per la testa del rottamatore, mai così in forma come in queste settimane di rottamazione del centrosinistra: «Matteo», rivela il nostro interlocutore, «è convinto che nel 2027 il centrodestra perderà le elezioni. Qualche entratura nei ministeri ce l’ha, e sa che la prossima finanziaria sarà devastante per la Meloni, molto più di questa che già sta mettendo in difficoltà il governo. Con un 3% e qualche collegio maggioritario buono, Matteo riporterebbe in Parlamento tutti gli eletti e avrebbe anche posti di governo. La Schlein? Matteo è l’unico che le ha detto che sarà premier, non è cosa da poco». Siamo, come è evidente, di fronte a una specie di commedia dell’assurdo, tanto più che l’unico tema sul quale il centrosinistra (compreso Renzi) è compatto è la lotta a quella autonomia che il centrosinistra approvò nel 2001, ai tempi del governo guidato da Giuliano Amato, modificando la Costituzione e che l’allora presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, voleva fortemente. A proposito di Regioni: sembra ormai probabile la sconfitta anche in Campania, dove si vota il prossimo anno. Il commissario regionale del Pd Antonio Misiani dice no al terzo mandato per Vincenzo De Luca, l’europarlamentare Sandro Ruotolo sostiene sul Fatto Quotidiano che è tempo di dire addio al «partito delle fritture». «Io vado avanti a prescindere», replica De Luca, «anche se c’è sempre qualcuno che fa domande sulla base dell’imbecillità di qualche esponente del Pd. Mi ricandido, chi ci sta ci sta, chi non ci sta non ci sta. Non so più come dirlo». Una elezione a tre, con De Luca in campo contro il centrosinistra ufficiale, sarebbe manna dal cielo per il centrodestra.
Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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