
Il tribunale europeo annulla la decisione di Bruxelles contro la multinazionale: «Non fu avvantaggiata dallo Stato irlandese». È l'ennesima dimostrazione che il Recovery fund, da finanziare con una presunta tassazione comune, sarà una fregatura.La fiscalità per la Commissione Ue continua ad essere un campo minato. Non solo all'interno dell'Unione europea proliferano alcuni tra i più famosi paradisi fiscali al mondo, ma le poche decisioni prese contro di loro e le multinazionali che si avvantaggiando di schemi fiscali favorevoli, vengono spazzate via dopo qualche anno perché non considerate solide. A sferrare l'ultimo duro colpo ci si è messa ieri la sentenza del tribunale Ue nel caso Apple. Questa ha infatti dato ragione alla multinazionale e all'Irlanda, annullando la maxi multa data nel 2016 dalla Commissione Ue (13 miliardi) per accordi fiscali sottoscritti con Dublino, ritenuti al pari di aiuti di Stato illegittimi e lesivi del mercato unico. Il tribunale, analizzando in ricorso presentato dalla Apple e dall'Irlanda, ha deciso che la Commissione non è riuscita a dimostrare in modo giuridicamente adeguato come alla società «sia stato concesso un vantaggio economico selettivo». Ma non solo, il tribunale ritiene anche che «la Commissione abbia erroneamente concluso che le autorità fiscali irlandesi abbiano concesso alle filiali di Apple un vantaggio derivante dalla mancata assegnazione delle licenze di proprietà intellettuale del gruppo». La Commissione, secondo i giudici europei, «avrebbe (invece) dovuto dimostrare che questo reddito rappresentava il valore delle attività effettivamente svolte dalle stesse filiali irlandesi». Insomma, la tesi della Commissione contro l'Irlanda e il suo regime fiscale light è stata scardinata e non ritenuta adeguata dal tribunale europeo. Decisione che va a far compagnia a quella del 2018 dove McDonald's e il Lussemburgo sono state assolte, perché non ci sarebbe stato nessun genere di aiuto di Stato. Anche qui la tesi dell'Ue, nel confronto finale, non ha retto. Queste decisioni, da parte del tribunale, continuano però a sottolineare la debolezza che la Commissione ha nei confronti dei paradisi fiscali al suo interno e dei loro regimi fiscali particolarmente generosi. Situazione di svantaggio che in questo preciso momento storico ed economico sta pesando e non poco. In discussione c'è infatti il Recovery fund da 750 miliardi di euro che avrebbe come obiettivo di aiutare gli Stati membri a rialzarsi economicamente dopo il colpo inferto dal coronavirus. Una cifra che non ha precedenti negli interventi europei. Per reperire dunque questi fondi non si potrà fare affidamento solo sul bilancio dell'Ue, che è piuttosto esiguo (pari all'1% del Pil europeo), ma si prevede per il periodo 2021-2027 che l'Unione possa incrementare le risorse proprie arrivando fino al 2% del Pil. Queste verranno dunque prese dall'introduzione della plastic tax, della Web tax e dalla riforma dello European trading scheme (meccanismo che riguarda i permessi di inquinamento delle imprese). Da ricordare come sulla Web tax la Commissione ci abbia provato per diversi anni fallendo (e inizialmente l'obiettivo era anche quello di portare quanto ottenuto dalla tassazione dei colossi del Web direttamente dentro la Commissione, proprio per poter disporre di maggiori risorse in futuro). Non si è però mai riusciti a trovare un accordo con tutti gli Stati membri, dato che per le questioni fiscali c'è bisogno dell'ok di tutti i Paesi dell'Ue. Ad ostacolare i lavori sono stati: l'Irlanda, l'Olanda e il Lussemburgo. Ovviamente per loro una tassa comune Ue sulle multinazionali americane non sarebbe stata per niente vantaggiosa, dato che sarebbe andata a rosicchiare una buona parte delle loro entrate fiscale, fino ad oggi intascate sottraendole ad altri Stati membri. Fino ad ora la Commissione non è dunque mai riuscita a mettere al loro posto questi Stati membri ne tanto meno a fargli digerire determinate iniziative fiscali. E questa decisione da parte del tribunale Ue non fa altro che avvalorare i meccanismi elusivi di questi Paesi, dandogli ancora più forza. Ma dunque, come potrà fare la Commissione a reperire maggiori risorse proprie, se queste derivano da iniziative fiscali Ue che non hanno mai prodotto dei risultati concreti? Un indizio l'ha fornito proprio Paolo Gentiloni, Commissario Ue all'economia, dichiarando ieri: «Non si tratta di paradisi fiscali (Irlanda, Olanda, Ungheria, Malta e Cipro) ma del rischio che in alcuni paesi della Ue ci siano politiche di pianificazione fiscale aggressiva per attrarre imprese, un rischio che danneggia la parità di condizioni nel mercato unico (art.116 Trattato funzionamento Ue)». L'applicazione di questo articolo non è da sottovalutare, perché prevede che nel caso in cui si «scopra» l'esistenza di condizioni legislative o amministrative che danneggiano la concorrenza del mercato interno (regimi fiscali generosi), si debba procedere all'eliminazione, di queste, da parte degli Stati membri interessati. Se non si dovesse raggiungere un accordo per cancellarli, il Parlamento europeo e il Consiglio, possono agire secondo la procedura legislativa ordinaria (voto a maggioranza qualificata), stabilendo le direttive necessarie. Questo significa che si bypasserebbe l'ostacolo dell'unanimità, per quanto riguarda le decisioni fiscali, e la Commissione potrebbe riuscire a portare avanti diversi progetti fiscali, come la Web tax, per recuperare le risorse proprie necessarie a finanziarie il Recovery fund.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.