2023-11-25
Il bardiccio nobilita gli avanzi del maiale da oltre 150 anni
L’insaccato, da parente povero della salsiccia, è diventato oggi una specialità gourmet. Che si sposa con tutti i piatti. Pure i dolci.Che il tempo possa essere galantuomo è una scommessa che si para davanti periodicamente nei percorsi di vita di ciascuno. Così si potrebbe dire anche del bardiccio, una piccola creatura golosa frutto della sapienza materiale della Valdisieve, due colline oltre Firenze.Leggenda racconta che sia nato verso la metà dell’Ottocento quando la regola quotidiana era far di necessità virtù, in questo caso per conciliare il pranzo con la cena in quelle realtà rurali in cui, spesso, un singolo maialino veniva allevato come uno di famiglia, nelle cascine, per poi venire sacrificato in salami, prosciutti e poco altro. All’inizio la sua dieta era di necessità, ovvero con quanto avanzava dalla dispensa domestica come scarti di patate, frumento, fave secche. Poi, ma l’innocente creatura non poteva saperlo, avveniva il cambio di passo. Si passava al goloso ingrasso con castagne e ghiande raccolte sotto le querce, giusto per dare alle sue carni un’identità propria legata al territorio.Il seguito era conseguente. Il rito del suo sacrificio mobilitava la comunità. I norcini giravano «missionari» con i loro attrezzi per le aie e confezionavano ad arte quanto di meglio materia suina poteva offrire. Al loro fianco, discrete, le madri di famiglia provvedevano alla mensa in diretta, ad esempio preparando i roventini, bocconcini di sangue fritto con il pecorino. Le nonne pronte con i rotolini di spago confezionati pazientemente nelle notti d’inverno per avvolgere nel loro budello insaccati diversi. Quando, alla fine, sulla spianatoia della mattanza suina avanzava sempre qualcosa (polmone, cuore, rognone e ghiandolame vario) ecco l’insaccato della staffa, quello dell’ultima ora che, però, era il primo a esser consumato nei giorni a seguire anche perché, a quel tempo, poco adatto alle lunghe conservazioni, ovverossia il bardiccio. Lo si distingueva al volo. Era generalmente di una pezzatura più che doppia (venti centimetri) rispetto alle normali salsicce per un motivo molto semplice: essendo il polmone tra gli ingredienti principali, quando si asciugava, oppure in cottura, cedendo l’aria residua, si sgonfiava di tutta la sua apparente baldanza. Un tempo era il companatico dei cacciatori. Duttile al trasporto e lesto da preparare, arrostito nel bosco su un bastoncino, generalmente di ulivo. In macelleria era facile da notare. Spiccava non solo per le sue dimensioni, ma anche perché confezionato in coppia a formare lunghe collane che «decoravano le pareti come festoni da cerimonia».Molti entravano di soppiatto per farne provvista in quanto, nella realtà, cibarsi di bardiccio stava a significare non potersi permettere costate, filetti o prosciutti. Era la salsiccia dei poveri. L’utilizzo, tra le pareti domestiche, era quanto mai semplice. Alla griglia come avvolto in carta gialla e posto ad andare in temperatura sotto la cenere. Molto in voga tra chi, al lavoro nei campi, magari in tempo di brucatura (raccolta) delle olive, doveva conciliare panza e sostanza. Poi, nel Dopoguerra con il Boom economico, è arrivato il tempo dell’oblio, sostituito da una concorrenza altrettanto golosa ma meno economica. Il primo riscatto avviene nel 1976, con Bacco Artigiano, a Rufina, storica vetrina del miglior artigianato e della gastronomia locale della Valdisieve. Sono sorte poi altre resurrezioni, in cui il bardiccio è tornato a nuova vita, ora non più parente povero di più signorili cugini insaccati ma elevato a pari dignità tanto che, presentarsi dal beccaio di fiducia reclamando il bardiccio è segno di nobiltà (golosa). Come avviene in questi casi, negli ultimi anni si è verificato un rincorrersi di paternità iniziali. Se prima era figlio di nessuno, ora sono in molti a rivendicarne lo jus primae patriae, con la tipica vivacità toscana. Oltre ai tagli prescelti (notevolmente migliorati per qualità nel tempo), una caratteristica identitaria era la presenza del finocchietto selvatico che, più che a darne un cambio di passo organolettico, serviva a coprire piccoli peccatucci di origine. Finocchio che, comunque, non sempre viene usato perché, ad esempio, salendo di altura sempre nella stessa valle, come a San Godenzo, il finocchietto non lo si trova e la qualità della concia è garantita da Manuel Primarti. Uno dei testimonial della rinascita di questa piccola creatura golosa è Alessandro Sarti con il suo libro Il bardiccio. In copertina il tratto inconfondibile di Staino fa recitare al suo Bobo «Non fatevi infinocchiare», posto che il vero bardiccio bisogna saperlo riconoscere, ora che è diventato prodotto goloso e ricercato.Mete sicure sono Pontassieve, che dal 2016 organizza manifestazioni diverse con il bardiccio protagonista e il palio regolamentare assegnato a cuochi e macellai. Tra questi un posto di spicco lo meritano i fratelli Fabbrini, Antonio e Davide, testimoni di una attività di famiglia iniziata nel 1916. Un mestolo illuminato è quello di Stefano Frassineti il quale, con pazienza, ha saputo attualizzare il bardiccio, ad esempio con il risotto e le bruciate (castagne abbrustolite). Negli ultimi anni si è posta particolare attenzione alla materia prima valorizzando il grigio del Casentino, un maiale nato dall’incrocio tra le scrofe bianche locali e i maschi di cinta senese, che danno ulteriore sprint alle sue carni. Coniugare epoche diverse con il bardiccio protagonista è la sfida delle varie manifestazioni che si svolgono lungo la Valdisieve, andando anche oltre l’aspetto prettamente culinario. Ne è testimonianza la Sagra del fusigno a Londa. Qui, la vigilia di Natale, si allestiscono due grandi bracieri in piazza e, a ogni partecipante, si forniscono gratuitamente un bastone appuntito, un bardiccio e due fette di pane. Si rievocano riti antichi, allorquando ci si ritrovava in famiglia o tra conoscenti e, con il bardiccio testimone silenzioso, si rievocavano storie ed esperienze condivise. Laddove per «fusigno» si intende il mangiucchiare intorno al fuoco dopo cena. Il bardiccio finisce anche in tv con uno dei volti più noti della Rai, Elisa Isoardi.Elencare il ricettario che lo riguarda è una intrigante antologia a 360 gradi. Mentre un tempo ci si accontentava del bardiccio rifatto, ovvero ricotto il giorno dopo assieme a quanto si trovava in dispensa tra rape e pomodori, oggi abbiamo i fagioli all’uccelletto con il bardiccio, memoria senza tempo di mamma Sonia, quella che ha dato l’imprinting goloso al figlio Alessandro Sarti. La cuoca stellata Valeria Piccini lo spadella con i tortelli in brodo di razza e funghi mentre sulle rive dell’Arno, a Firenze, troviamo Filippo Germasi che lo introduce nei ravioli abbinati ad astice e crema di fagioli cannellini.Giusto per non negarsi niente, a Dicomano troviamo il coniglio in porchetta farcito al bardiccio. E che dire dell’hamburdiccio, una golosa rivisitazione del classico hamburger proposto da Claudio Zagli a Rufina, dove il bardiccio è protagonista. Ma, oramai, viviamo nel terzo millennio, cadono le barriere e in un menù c’è la pizza di Alberto Moretti, a Pontassieve, con bardiccio e rape. E pure al dessert prosegue il tocco d’artista con il gelato al bardiccio, felice intuizione di Vetulio Bondi o di Gianluca Sottani. Come ha giustamente sottolineato Francesco Sorelli, il bardiccio «oggi, da brutto anatroccolo della misera cucina contadina, si è fatto cigno e dimostra una grande versatilità in numerosi piatti» anche se, come ricorda la penna gourmet di Leonardo Romanelli, per fare un bardiccio come si deve occorrono due ingredienti principali: «Il cuore e la testa di chi lo prepara».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.