2023-11-28
Ma liberalizzare l’idroelettrico ci costerà ancora più caro per anni
L’articolo tolto lunedì dal decreto Energia difendeva il settore dalle aziende straniere.L’aumento delle bollette con il passaggio al mercato libero è un problema. Ci sono due guerre in corso e stressare i portafogli degli italiani non è bene. Si tratta però - passateci il termine -di un problema a valle. Delicato, ma limitato nel tempo. L’elemento più grave che pende tra Italia e Commissione Ue è la liberalizzazione del comparto idroelettrico. Che da solo pesa all’incirca il 40% di quanto il Paese produce nel perimetro delle rinnovabili. Secondo un rapporto dell’Aie, Agenzia internazionale dell’energia, dedicato al settore, nel 2020 questa tecnologia ha fornito un sesto della produzione mondiale di elettricità con quasi 4.500 Twh (terza fonte dopo carbone e gas naturale), il 55% in più rispetto al nucleare, attraverso una potenza impegnata di 1.330 Gw. Si tratta della più grande fonte mondiale di energia pulita che produce più di tutte le altre fonti rinnovabili messe assieme (eolico, solare fotovoltaico, bioenergia e geotermico). Qui sta la gravità della diatriba: il problema a monte. Per tutelare un asset strategico come l’idroelettrico, tutti i Paesi europei hanno previsto per gli operatori nazionali rinnovi delle concessioni senza procedure competitive, se non addirittura concessioni senza limiti temporali. Peraltro, nel settembre 2021, la Commissione europea ha archiviato le procedure di infrazione sulla concorrenza nelle concessioni idroelettriche nei confronti di vari Paesi europei, tra cui l’Italia. L’articolo espunto lunedì pomeriggio dal dl Sovranità energetica avrebbe permesso alle Regioni di chiedere ai concessionari in scadenza nuovi investimenti e quindi concedere proroghe fino a 20 anni. Solo in assenza di un piano convincente di investimenti si sarebbe messo l’asset a gara europea. Restiamo dell’idea che sia fondamentale invertire la rotta avviata dal governo di Mario Draghi. E procedere nella stessa direzione intrapresa dagli altri membri Ue, essendo il nostro il Paese del Vecchio Continente più dipendente dall’estero per gli approvvigionamenti energetici. «L’idroelettrico deve continuare ad essere un asset nazionale strategico per la sicurezza» è una frase ribadita da molti analisti. Questo per garantire l’indipendenza energetica dell’Italia, come ha rilevato più volte il Copasir nella precedente legislatura. Gli operatori italiani sono tra l’altro pronti a investire da subito una cifra vicina ai 15 miliardi. Sono aziende in gran parte partecipate dallo Stato e che per giunta contribuiscono a mettere a terra il Pnrr. Sviluppare il settore permette così da un lato di garantire stabilità dei prezzi e dall’altro l’efficacia del Pnrr. Altrimenti conta poco sventolare gli assegni del Pnrr, pure quelli extra, se non si ragiona sul lungo termine in tema di business regolato. Gli asset finanziati a fondo perduto non finiscono in bolletta. E quindi si avvia un percorso che non crea sostenibilità. L’insistenza dell’Ue e l’accordo preso dal precedente governo sono per certi versi sospetti. Non possiamo ignorare che Bruxelles spinge sul mercato unico. Vale per il gas, il gas naturale liquido e forse per il greggio. Non può valere per l’idroelettrico. Per un semplice motivo: esistono le barriere infrastrutturali e i limiti orografici. Insomma, i bacini idroelettrici sono per definizione regionali. Ecco che la liberalizzazione spinta (quella che ancora scongiuriamo) diventerebbe l’alter ego del mercato comune Ue. Visto che non si può condividere l’idroelettrico, lo diamo in mano alle aziende straniere. Il tutto mentre Francia e Germania fanno ogni cosa per creare la propria bolla di tutela energetica. Serve alle aziende per essere competitive in un mercato stressatissimo dalla fine della globalizzazione. Mollare all’estero questo prezioso asset significa pregiudicare 30 anni di sovranità nazionale. Abbiamo visto cosa è successo dopo l’invasione russa dell’Ucraina e al tempo stesso sappiamo che per i francesi l’Italia dovrebbe diventare un mercato di consumi. Possibilmente in via esclusiva per le aziende d’Oltralpe. Dovrebbe essere chiaro perché i nostri bacini idroelettrici interessano tanto ai francesi. Vada come vada la transizione green, l’energia che deriva dall’acqua sarà uno degli elementi fondamentali. E ora resta poco tempo. Alcune concessioni (A2a ed Edison) scadono a fine anno. Ma la gran parte delle attuali concessioni scadrà nel 2029, se passerà il modello Ue-Draghi gli operatori stessi avranno poche certezze, gli investimenti slitterebbero di almeno 10 anni da oggi. Cornuti e mazziati. Finiremo col ridurre il valore dei nostri asset così da renderli ancor meno costosi per quegli investitori stranieri che vorranno metterci le mani sopra.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)