
Quest’anno in Italia i visitatori supereranno i numeri già alti del 2023, portando denaro (62 miliardi tra giugno e agosto) e rivitalizzando i piccoli borghi. Parlare snobisticamente di «sovraffollamento» non ha alcun senso.Erano anni che lo aspettavamo e ora che il desiderio si è avverato, peraltro facendo ben poco perché ciò accadesse, ecco che sono partite le lamentele. Ora si parla di overtourism, con un tono di disappunto e un po’ snobistico. Chi si lagnava prima perché il potenziale turistico del nostro Paese non era sfruttato al massimo, ora che è scoppiata la passione per l’Italia, che vengono qui da ogni parte del mondo, si lamenta comunque. Una situazione paradossale. Come ha scritto sulla Verità, alcuni giorni fa, Paolo Del Debbio, sembra che le maggiori testate dei media facciano a gara nel colpevolizzare i turisti. Solo perché spesso, invece dei sandali alla moda, calzano ciabattine di plastica da pochi euro o perché invece di attovagliarsi nei ristoranti stellati preferiscono un panino, quindi perché sarebbero anti estetici e sotto le aspettative di chi, arricciando il naso, vorrebbe per i vicoli delle città d’arte vedere sfilare solo Chanel o Armani. Ma il turismo non è solo quello dei super ricchi, che pure contribuiscono al marketing delle nostre località. È il caso di Jeff Bezos, il patron di Amazon, pizzicato, con la sua futura moglie, mentre gettava una monetina nella fontana di Trevi. La maggioranza delle presenze nel nostro Paese è costituita da ceto medio, senza il dress code perfetto e con qualche decibel di troppo nella voce, ma che comunque, spint0 dalla smania di Italia, ha rivitalizzato perfino piccoli borghi snobbati dalle guide più gettonate e continua a portare ricchezza, movimentando denaro e contribuendo alla crescita del Pil. Quindi ci sarebbe poco da fare gli schizzinosi e invece di urlare all’overtourism, come se fosse una piaga biblica, bisognerebbe ringraziare ogni giorno chi, pur tra mille difficoltà, trasporti carenti, strutture ricettive vecchie, degrado urbano, si è intestardito a girare in lungo e in largo per l’Italia alla scoperta di bellezze che nonostante l’incuria continuano ad esercitare un fascino attrattivo unico. Difficile riconoscere che il problema è rappresentato dalle amministrazioni comunali incapaci di gestire questa ricchezza, una manna caduta dal cielo ma che non si sa raccogliere. Il fenomeno è mondiale come indicano i numeri e le cronache di questa estate. L’Unwto, l’organizzazione mondiale del turismo, un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite, ha stimato che entro il 2030 il numero dei turisti globali sarà pari a 1,8 miliardi, in crescita rispetto a 1,5 miliardi del 2019, e l’industria del turismo rappresenterà l’11,6% dell’economia globale.Questi dati macro hanno importanza per l’Italia in quanto il nostro Paese è il forziere del 60-70% del patrimonio artistico mondiale. Sono oltre 5.000 gli istituti museali e similari non statali distribuiti su tutto il territorio nazionale. Nel 2023 il turismo ha registrato numeri impressionanti: 134 milioni di arrivi e 451 milioni di presenze, superando i dati pre-pandemici. Questo risultato, certificato dall’Istat e dal ministero del Turismo, rappresenta un traguardo storico. Rispetto al 2019, si è registrato un aumento del 2,3% negli arrivi e del 3,3% nelle presenze. Per quest’anno, il bilancio di fine stagione sarà ancora migliore. Secondo la Fipe-Confcommercio, la federazione dei pubblici esercizi, l’estate 2024 si chiuderà con circa 215 milioni di presenze turistiche, segnando un incremento dell’1,6% rispetto al 2023. Per il trimestre estivo (giugno-agosto 2024), la spesa turistica complessiva viene stimata in 62 miliardi di euro. Di questi, circa 11,7 miliardi di euro saranno spesi per mangiare fuori casa. Il mese di agosto si prospetta come un’importante boccata d’ossigeno per la stagione estiva, con oltre 84 milioni di presenze attese e una spesa turistica complessiva di 24 miliardi di euro. Per colazioni, pranzi, cene, aperitivi, dolci e gelati, i turisti spenderanno in questo mese circa 4,8 miliardi di euro. L’incidenza dei viaggi estivi sul totale annuo sale al 45% (dal 41,8% del 2019) e quella dei pernottamenti al 61% (dal 57,6%). In crescita anche l’appeal dell’Italia tra le preferenze per gli spostamenti dei connazionali: il 79,3% dei viaggi per vacanza degli italiani ha come destinazione una località italiana, un dato in crescita rispetto al 76,3% del 2019.La Banca d’Italia ha rilevato che i primi cinque mesi del 2024 ben 31 milioni di turisti hanno visitato il nostro Paese spendendo la ragguardevole cifra di 17,4 miliardi di euro. Rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso la crescita delle presenze (si parla di 125 milioni di pernottamenti) è stata del 5,7%, mentre l’aumento della spesa dei turisti stranieri in Italia è stata superiore, pari al 12%. La percentuale maggiore di tale spesa va all’alloggio (44,3%), seguita da quella per ristoranti (21,7) e dallo shopping (16,3).Dal report della Banca d’Italia emerge anche che per la prima volta dal post Covid la crescita dei visitatori europei (+13%) supera quella dei turisti del resto del mondo (+10%).Per la settimana di Ferragosto sono stimati circa 4 miliardi di fatturato e crescita di tutti i segmenti dell’offerta.Si tratta di un’industria che, secondo il World travel and tourism council, conta 2,7 milioni di occupati ovvero l’11% della forza lavoro, e porta al Paese 255 miliardi di euro, contribuendo al Pil per il 13%. Significa che il posto di lavoro di un addetto su otto in Italia è legato al turismo. Per incidenza sul Pil, l’Italia si colloca davanti a Francia e Germania. Il tutto mentre l’Alta Velocità dei treni continua a marciare a singhiozzo, Roma è un cantiere per i lavori in vista del Giubileo e con le temperature torride la pulizia scarseggia. E a proposito del Giubileo, per il 2025 sono attese 105 milioni di presenze. Con questi numeri bisognerebbe solo brindare e non lamentarsi. E attrezzarsi a gestire questo «petrolio» che continua a fluire nelle nostre città in modo spontaneo.
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.






