2021-07-19
Guido Brera: «I sussidi sono il rifugio di chi non sa costruirsi un futuro»
Il finanziere scrittore: «Basta con i soldi a pioggia. Gli americani ne hanno ricevuti tanti e invece che investirli per creare valore li usano per scommettere in Borsa e nei bitcoin»Iniziare una conversazione con Guido Maria Brera significa non sapere bene dove ti porterà. In volo tra i massimi sistemi, ma pure tra le pieghe della tecnologia e della politica. E anche del linguaggio. Un po’ di tempo va speso a presentarlo. Chiede se ci diamo del tu, «perché mi viene più semplice». «Ma parliamo del Candido, vero?», si assicura prima di iniziare. Il Candido è il suo ultimo libro, un romanzo edito da La Nave di Teseo, firmato da lui ma anche da «i Diavoli». Che sono stati un libro e una serie tv, oggi sono un «collettivo», come ci racconterà Brera. Giusto definirti un uomo della grande finanza? «La finanza per me è come l’acqua. Di troppa acqua si muore, così come di poca. È una cinghia di trasmissione per portare soldi a chi ha le idee. Può essere un fantastico strumento di progresso». È un mondo di squali, direbbe qualcuno. «Quando con la finanza si possono fare i soldi con i soldi, allora è pura estrazione di valore, senza che se ne crei di nuovo, come diceva Luciano Gallino». Sei tra i fondatori di un gruppo che gestisce ricchezza - copio dal sito internet - dal 1999. Si chiama Kairos, in greco antico è il momento propizio. «È il tempo sospeso, fuggente, subito prima del minimo ritardo, subito dopo il gesto dettato dalla fretta. Questo è quello che cerca di cogliere la nostra società». Per i lettori dei rotocalchi rosa sei poi soprattutto il marito di Caterina Balivo… (Ride) «Beh, su questo non posso aggiungerti altro. Se non che Caterina è anche la madre del mio terzo figlio, di 9 anni, e della quarta, di 4». Hai fondato una compagnia di podcast, Chora Media. Ma questo è successo dopo che sei diventato uno scrittore di successo con I diavoli, nel 2014. Nella serie tv che hai diretto, ispirata al romanzo, c’erano pure Alessandro Borghi e Patrick Dempsey, divi del cinema. «Ho scritto quel libro perché ho sempre amato la scrittura. Poi mi hanno mosso due ragioni. Una vagamente altruistica: mi sembrava utile che le persone sapessero più cose possibili su questo mondo della finanza che determina le loro vite. La seconda ragione è di tipo autobiografico. A un certo punto sono entrato in crisi. E quando si sta male, scrivere può essere un ottimo antidoto». Perché hai deciso di fare finanza? «Il mio percorso è iniziato un po’ per esclusione. Prima avrei voluto insegnare. O scrivere, appunto. Non avevo una carriera definita davanti. Poi la laurea con il massimo dei voti alla Sapienza a Roma, e il mondo della finanza che premiava i talenti. Ai tempi era il settore che tirava di più, un po’ come lo è oggi quello della tecnologia. Sono stato arruolato nel loro “esercito”, ma mettilo tra virgolette». È un mestiere che ti porta a combattere? «È un po’ come fare surf da onda, puoi seguire l’onda o anticiparla. Rischiando anche di sbagliare, naturalmente. Perché in quel momento tutti cavalcano un’altra onda, magari, e tu vai in direzione ostinata e contraria. È un lavoro che ti fa conoscere la solitudine». Pura curiosità: come trovi il tempo di fare tutto? «La parte davvero importante è l’elaborazione di un’idea. Nella scrittura come nella finanza. Serve tempo per leggere e per capire, poi diventa forse più facile: scegli un investimento, o decidi di raccontare». Il tuo Candido diventerà un film, è in libreria da non molto e lo firmi con «i Diavoli». Si può spiegare chi siete in parole semplici? Ho letto è un laboratorio di narrazioni nato sul Web, «che spazia dalla fiction alla fact fiction, dal reportage narrativo alla saggistica disinvolta e pop». «È un collettivo di saperi, perché per guardare il mondo serve dibattere di fisica, filosofia, finanza, politica, geopolitica, tecnologia…». In pratica? «Siamo sette persone, che si riuniscono o in modalità smart working, oppure ancor meglio appena si può a Roma, a Testaccio, in uno dei pochi bar che non è stato intaccato dal tempo: al Giolitti, di fronte alla casa del nuovo segretario del Pd, tra l’altro. Si discute, tanto e a lungo, e si producono delle idee. Come questa del Candido». Non deve esser facile scrivere a 14 mani. «È un processo decisionale affascinante. Tra noi, uno vale uno. Nel collettivo funziona, in politica non molto a quanto pare». Il vostro Candido è un rider che pedala veloce in una inquietante città regolata da un algoritmo. «È un futuro tra cinque minuti, che è cioè dietro l’angolo. Già in Cina c’è un capitalismo della sorveglianza. Abbiamo scritto questo libro come monito: fermiamoci, in Occidente, prima che sia tardi». Dai maxischermi di questa città post-pandemica parla un filosofo che ripete: «Tutto è bene, tutto va bene». «Lo abbiamo chiamato Pangloss, è la metafora di quelli che hanno raccontato che vivevamo nel miglior mondo possibile, con pari opportunità per tutti, dove ciascuno sarebbe diventato imprenditore di se stesso, senza capi sopra di sé e decidendo quando e se lavorare. Un ottimismo forzato». Erano balle? Ma c’è chi voleva farcelo credere? «Ti fermo subito: non credo ai complotti. È una narrazione che ha avuto inizio negli anni 2000 e poi si è dimostrata sbagliata. Perché ha scambiato i diritti sociali con le merci a basso costo. Delocalizza in Cina, e potrai inquinare, non pagare i lavoratori, fare pure esperimenti sulla genetica: è questo che è successo per davvero. Non è la Cina il problema, ma è il dispositivo, il sistema che si è creato, a essere iniquo. E come beffa finale si è erosa la nostra privacy, perché più o meno inconsapevolmente abbiamo cominciato a regalare emozioni e saperi online, in uno scambio masochista». Il denaro per il vostro Candido non esiste, è sostituito da crediti: sociali, alimentari, ricreativi. C’è il reddito disciplinare di cittadinanza. «Non sono contrario a un reddito universale inteso in senso filosofico, che in qualche modo possa risarcire tutti coloro che inconsapevolmente hanno reso ricchi i giganti della tecnologia. Altro tema è però dare invece soldi a pioggia, se mi stai chiedendo del reddito di cittadinanza italiano». Quando diventa un problema? «Guarda l’America, dove né istruzione né sanità sono sicure. Non c’è un paracadute per rischiare e fare impresa: i tuoi figli, se fallisci, non hanno la possibilità di crearsi un futuro. E se ti ammali non ti curi. Gli americani, con i soldi statali, stanno così scommettendo sulle azioni in Borsa, sulle criptovalute ad esempio. Nessuno ha dato loro la possibilità di garantirsi un futuro, non è stato creato un moltiplicatore di valore. Si crea inflazione, non si produce». «Siamo la prima generazione a cui non solo è stato tolto il futuro, ma è stata rubata la possibilità stessa di poterlo anche solo immaginare», dice a un certo punto una ragazza a Candido. Da padre di quattro figli, sottoscrivi? «Serve uno Stato che funzioni, che permetta alle famiglie di rischiare, anche nel mettersi in proprio». Altrimenti? «Non ne risente solo il sistema. Io sono un po’ fissato, per deformazione professionale, con le correlazioni. Ne ho scoperta una tra l’andamento della Borsa americana, la produttività e i morti per abuso di psicofarmaci». Succederà anche da noi? «In questa correlazione ci leggo che dalle droghe dell’eccitazione dei colletti bianchi siamo passati ai farmaci che aiutano a dimenticare, ad accettare che la classe media declina nell’assenza di un futuro. È terrificante, perché dilaga una droga che cura l’assenza dei sogni». E allora bisogna tornare a un conflitto sociale? Candido parla, soprattutto, di lavoro. «E nel lavoro il problema è che ci sono aziende, la maggior parte, che assumono e pagano ai dipendenti ferie e maternità, e poi c’è un altro pezzo di economia, quello delle piattaforme, che può non assumere e distorce il mercato, incuneandosi in vuoti di legge. Qui la politica doveva agire da tempo». Hai detto più volte di essere deluso dalle sinistre. «Il vero tema è creare uguali condizioni e regole uguali per tutti». Scendendo in piazza? O con un nuovo patto sociale come quello proposto ad esempio da Renato Brunetta? «È essenziale non uccidere il dibattito. Credo che Brunetta abbia interpretato benissimo la necessità, con la sua proposta. Il Covid è stata la Chernobyl della globalizzazione, ora occorre un nuovo modello. Se prima l’Italia era condannata a una guerra di trincea, con un debito che ci assillava, ora abbiamo prospettive migliori. Grazie, anche, a una stabilità politica nata da una sorta di congiunzione astrale». Significa che non siamo più visti come la Cenerentola d’Europa? «Mi colpisce molto che in Italia non si sia parlato di un recente paper di uno come Lawrence Summers, che ha fatto la politica economica americana (accademico, ex segretario del Tesoro, ndr). L’ho letto e riletto varie volte, sembra mettere un punto di svolta nelle politiche economiche occidentali. Dice in sostanza che se vuoi migliorare il rapporto tra deficit e Pil devi aumentare il debito, ma a patto di crescere più dei tassi di interesse a cui ti stai finanziando. Che è poi “il debito buono” teorizzato da Mario Draghi ancor prima di lui. L’Italia può trovare la via, sono ottimista. In questo, non assomiglio al Candido del finale del libro».