2018-07-19
I sogni a 5 stelle su Alitalia. Un ministro punta all’estero l’altro vuole nazionalizzarla
Danilo Toninelli invoca l'italianità per la compagnia aerea. Luigi Di Maio è in cerca di investitori stranieri per rilanciarla. Il rischio è che a pagare siano i contribuenti.Il ministro Danilo Toninelli mira a far decollare Alitalia mantenendone l'italianità. Il titolare delle Infrastrutture e dei Trasporti, in un'intervista a Rai News24, ha dichiarato che «l'italianità è un punto fondamentale nel futuro» di Alitalia e quindi «torneremo a farla diventare compagnia di bandiera con il 51% in capo all'Italia e con un partner che la faccia volare». La memoria corre al 28 marzo del 2008 quando Silvio Berlusconi, allora presidente del Consiglio, diceva: «Bisogna mantenere l'italianità di Alitalia». Nacque così la cordata dei capitani coraggiosi che persero bei soldi nonostante il Parlamento stanziò circa 800 milioni a fondo perduto e «impose» il monopolio sulla tratta Roma-Milano. All'epoca Berlusconi sbarrò la strada alla cordata di Air France e Klm. Oggi all'orizzonte non c'è alcuna cordata pronta a sbarcare in Italia slavo l'ipotesi di comprare pezzi di compagnia, possibilmente a sconto. Come allora ci sono i soldi pubblici: circa 900 milioni stanziati dal Parlamento. Stavolta non sono a fondo perduto ma stando alle norme Ue dovranno essere restituiti. Il timore che il governo voglia di nuovo nazionalizzare Alitalia e spalmare per l'ennesima volta sulle nostre tasche i debiti accumulati è forte e ci spaventa. Già i dipendenti della compagnia godono di un welfare che nemmeno i dipendenti scandinavi osano immaginare. Ad aprile 1.300 lavoratori amministrativi di Alitalia si sono visti prolungare di una anno la cassa integrazione. Per 320 di essi è stato previsto l'accesso all'assegno di ricollocazione. In pratica continuano con la cig a zero ore ma fruiscono dell'assegno che va alle agenzie di collocamento. Per tutti gli altri lavoratori vale o il primo ammortizzatore o il secondo. Si tratta solo di un esempio di come negli ultimi anni l'ex compagnia di bandiera sia in cielo sia in terra ha goduto di extraterritorialità. Quella logica non vuole morire e le parole di Toninelli la riportano a galla con forza. Ad accendere le speranza di chi teme la nazionalizzazione delle perdite è l'interruzione logica che si è verificata ieri dentro il movimento dei grillini. Più o meno alla stessa ora dello speech di Toninelli, ieri mattina ha parlato di Alitalia anche il ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro, Luigi Di Maio, presente in Aula per un'informativa sui tavoli di crisi. «Sono in corso da parte di questo governo le interlocuzioni necessarie per assicurare un futuro a questa azienda, per tutelare al meglio le esigenze dei lavoratori e del gruppo e mi spenderò in prima persona con tutti i player internazionali per trovare un futuro all'azienda». I due ministri del governo Conte probabilmente non si sono parlati. Il primo si augura il ritorno alla compagnia di bandiera, il secondo assicura che farà tutto il possibile per rilanciare la livrea contattando gli investitori stranieri. Qualcosa non quadra. A meno che i due ministri si siano parlati e siano convinti che un investitore straniero possa accettare di mettere soldi in un calderone pubblico. é una strategia sbagliata.Perché un investitore straniero dovrebbe accettare di mettere soldi in una compagnia controllata dallo Stato al 51%, senza poter contare e prendere le decisioni strategiche del caso? Sembrerebbe invece più logico un tour di Di Maio in giro per il mondo nella speranza di trovare un investitore estero che punti sulla nostra compagnia, voglia affrontare il tema dei tagli e delle perdite e gestire una strategia di rilancio in prima persona. Sarebbe a quel punto interessante capire se la strategia privata possa conciliarsi con le necessità dell'Italia. Ad esempio avere un vettore in grado di coprire le zone turistiche e di risolvere il problema dei numerosi scali tricolore. Insomma, le due parti del cervello strategico dei 5 stelle non stanno dialogando a meno che una delle due non stia raccontando giusta. Speriamo che Di Maio nelle prossime ora dica forte e chiaro che non spetta ai contribuenti tappare i buchi di Alitalia. E al tempo stesso che non immagini una Cassa depositi e prestiti snaturata nel proprio statuto e disposta a buttare in un buco nero il denaro dei pensionati italiani. «Stiamo analizzando», ha aggiunto il ministro del Lavoro, «tutte le informazioni economiche e finanziarie per individuare i responsabili della situazione attuale». In realtà, c'è già una inchiesta in corso a Roma che coinvolge gli ultimi tre consigli di amministrazione. Ciò che sarebbe ancor più utile è farsi dare dai commissari la situazione esatta del bilancio. Serviranno per capire la data esatta di esaurimento dei fondi, i famosi 900 milioni sui quali anche l'Unione europea ha acceso un faro. Secondo Andrea Giuricin, ricercatore presso la Bicocca e grande esperto del mondo dei trasporti, la riserva iniettata in Alitalia dovrebbe esaurirsi il prossimo ottobre. A quel punto o la compagnia chiude i battenti o il Parlamento dice sì ad altri fondi pubblici. Giuseppe Guzzetti, presidente dell'associazione delle Fondazioni bancarie e socio al 14% di Cdp, la Cassa non dovrà in alcun modo mettere a rischio il risparmio degli italiani in un progetto che appare fallimentare già in partenza. Non è un caso se sulle nomine al vertice della Cassa, i partiti e i rappresentanti delle istituzioni si stiano azzuffando. Avere un amministratore e un presidente disposti a cambiare lo statuto toglierebbe molte castagne dal fuoco del governo e dalla pentola di problemi che Toninelli e Di Maio si troveranno a cucinare. Ci duole ripetere che la compagnia è costata in 42 anni 17,4 miliardi di euro. Di cui circa dieci in contributi indiretti e ammortizzatori e gli altri sette in denaro contante versato direttamente dallo Stato. C'è tempo fino a ottobre. A quel punto Infrastrutture, Mise e Lavoro dovranno parlarsi e trovare la quadra. Meglio se non con i soldi dei contribuenti.
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