Il calendario delle incombenze 2019 rischia di provocare un vero e proprio terremoto politico dalle parti di Bruxelles. Tra la Brexit e l'addio di Mario Draghi alla Bce, la grande incognita delle elezioni europee con gli schieramenti ancora da definire. Soprattutto in Italia.Quello appena iniziato sarà un anno fitto di appuntamenti decisivi per le istituzioni europee. Neanche il tempo di spegnere le candeline per il ventesimo compleanno dell'euro che all'orizzonte già si stagliano importanti sfide in grado di condizionare il futuro dell'Unione, se non addirittura la sua stessa sopravvivenza. L'esito delle incombenze in agenda per il 2019 rischia di provocare un vero e proprio terremoto politico dalle parti di Bruxelles. Da qui a una manciata di settimane ci aspetta la Brexit, fissata ufficialmente per il 29 marzo. In realtà, stando alle parole del ministro britannico del Commercio internazionale, il conservatore Liam Fox, nel caso in cui il Parlamento britannico respingesse il deal proposto da Theresa May, le probabilità dell'effettiva uscita del Regno Unito si ridurrebbero al 50%. La vera scadenza cruciale, in ogni caso, è rappresentata dalla elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, in programma nei giorni tra il 23 e il 26 maggio (in Italia si voterà solo domenica 26 maggio). Gli elettori dell'Unione sono chiamati a eleggere i 705 deputati che formeranno l'assemblea della IX legislatura continentale. Per ciò che concerne il nostro Paese, i deputati eletti saranno 76, scelti attraverso un meccanismo proporzionale con soglia di sbarramento al 4% e la possibilità di indicare un massimo di tre preferenze. Se l'ultima sessione del Parlamento è prevista per il 18 aprile prossimo, la campagna elettorale dovrebbe partire a fine marzo, per poi entrare nel vivo a partire dal mese successivo. In realtà, già dalla fine del 2018 i partiti europei si sono messi al lavoro per individuare gli Spitzenkandidaten (o candidati «lead»), vale a dire l'esponente candidato a ricoprire la carica di presidente della Commissione europea in caso di vittoria elettorale. Su questo versante, per le principali formazioni politiche la partita è già chiusa. Nel congresso svoltosi a novembre, il Partito popolare europeo (Ppe) ha designato per questo ruolo il tedesco Manfred Weber, mentre il Partito socialista (S&D) ha scelto l'olandese Franz Timmermans, attuale vicepresidente della Commissione. Pratica definita anche per i Conservatori e riformisti (Ecr), con il ceco Jan Zahardil, e per i Verdi (Egp), con il ticket formato dalla tedesca Ska Keller e dall'olandese Bas Eickhout, mentre i liberali dell'Alde hanno individuato una rosa di nove nomi. Rimangono ancora scoperti i posti per l'Europa delle nazioni e delle libertà (Enl), nel quale attualmente siede la manciata di leghisti eletti nel 2014, e per l'Europa della libertà e della democrazia diretta (Efdd), attuale casa del Movimento 5 stelle. Questo partito è destinato con tutta probabilità a dissolversi, dal momento che il suo maggiore azionista, l'Ukip di Nigel Farage, non entrerà nel nuovo Parlamento a seguito della Brexit. Ancora incerta la direzione che prenderanno i partiti nostrani. Remota la possibilità che le due forze di governo, Lega e Movimento 5 stelle, decidano di correre appaiate. Per il Carroccio c'è la «tentazione Ppe», come riferiscono alla Verità voci ben informate da Bruxelles particolarmente gradita a Weber, il quale acquisterebbe così un pezzo da novanta (la Lega, appunto), potendo già contare sulla presenza del premier ungherese Viktor Orban. Si tratta, però, di un incastro che fa storcere il naso ai puristi. Non bisogna dimenticare, infatti, che i popolari rimangono pur sempre un partito fortemente europeista e antipopulista. Senza contare che la presenza di Forza Italia, dalle parti di via Bellerio, costituisce un valido deterrente. L'alternativa per Matteo Salvini è quella di correre da solo, e concedersi il lusso di rimanere all'opposizione dei poteri forti continentali. Tramontato (almeno pare) il contenitore macroniano e archiviata l'adesione all'Alde, resta ancora tutta da definire la posizione dei pentastellati. A disposizione dei partiti rimane comunque ancora un discreto margine. La norma prevede infatti che i simboli possano essere depositati quarantanove giorni prima delle elezioni (dunque il 7 aprile) e i candidati con quaranta giorni d'anticipo (16 aprile).Sullo sfondo, due temi di portata rilevante. Uno riguarda tutti gli Stati membri, e si tratta del budget dell'Ue relativo al settennato 2021-2027. La Commissione punta a tutti i costi a chiudere le trattative, iniziate lo scorso anno, entro la scadenza elettorale. La scusa ufficiale è quella che un rinvio alla seconda parte del 2019 rischierebbe, visti i tempi della burocrazia europea, di non garantire più l'approvazione in tempo utile. In realtà, l'obiettivo della Commissione è tenere alta la posta fino alla vigilia del voto, specie per quei Paesi che risultano percettori netti (ad esempio, quelli del blocco orientale). Due date da segnare sul calendario: il Consiglio europeo del 21 e 22 marzo e la riunione dei leader europei del 9 maggio a Sibiu, in Romania (che da gennaio regge il timone del semestre europeo). Le dichiarazioni rilasciate alla Verità dal sottosegretario agli Affari europei, Luciano Barra Caracciolo, dimostrano che nulla è scontato. «Davanti a un bilancio che, per decenni, ha costantemente enunciato titoli e obiettivi altisonanti, ma non realizzati», così il braccio destro di Paolo Savona nell'intervista pubblicata il 31 dicembre, «porre un veto - rammentando che siamo uno dei principali contribuenti netti - diventa un modo serio e legale, cioè conforme a e non violativo dei trattati, per ridiscutere l'assetto europeo, per far emergere il non detto, per capire dove si vuole andare nel plasmare la convivenza sociale e il benessere effettivo per le popolazioni coinvolte».L'altra deadline, ovvero la pubblicazione delle previsioni economiche di primavera (di solito i primi di maggio), interessa in particolare l'Italia. Nella lettera della Commissione del 19 dicembre scorso, pur scongiurando l'apertura della procedura di infrazione, Pierre Moscovici, Valdis Dombrovskis e Jean-Claude Juncker si sono premurati di specificare che Bruxelles «continuerà a monitorare gli sviluppi del bilancio italiano, e in particolare quello del 2019, nel contesto del semestre europeo». Una postilla non da poco, anche perché il mandato dell'attuale Commissione in realtà scade il 31 ottobre 2019. Il nuovo presidente, infatti, verrà eletto dal Parlamento a luglio, ma la nuova squadra inizierà a lavorare solo da novembre. Sulla carta, dunque, Juncker e sodali saranno liberi di punire l'Italia fino a quella data.Sempre a fine ottobre è prevista la fine del mandato di Mario Draghi in qualità di presidente della Banca centrale europea. Da qualche mese a questa parte, Bloomberg stila un borsino con le quotazioni dei possibili successori. La terna di favoriti, ad oggi, è costituita dal finlandese Erkki Liikanen e dai francesi Francois Villeroy de Galhau e Benoit Coure. Più indietro il tedesco Jens Weidmann, la francese Christine Lagarde (capo del Fmi) e l'attuale direttore del Meccanismo europeo di stabilità, il tedesco Klaus Regling. Se il nome del futuro governatore è ancora avvolto nel mistero, una cosa è certa: dalla fine dell'anno la politica monetaria accomodante di Draghi, già fortemente attenuata dalle ultime decisioni del Board, sarà solo un lontano ricordo.
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.
Ansa
Gli obiettivi imposti sono rifiutati perché deleteri e insostenibili. Farebbero meglio a seguire i consigli di Bill Gates.
L’appuntamento è fisso e il corollario di allarmi sulla imminente fine del mondo arriva puntuale. Alla vigilia della Cop30 - la Conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si terrà a Belém, in Brasile, dal 10 al 21 novembre - il fronte allarmista globale ha rinnovato il coro catastrofico con la pubblicazione di due rapporti cruciali. L’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) ha diffuso il suo State of the Global Climate Update 2025, mentre l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha pubblicato il suo Climate Action Monitor 2025.






