
Anche quest’anno Elon Musk incassa vendendo carbon credit a chi produce vetture a combustione. Da «Wsj» e «Guardian» ancora ombre sul futuro dei mezzi a batteria.Il sogno di elettrificare l’intero parco auto circolante rimane un’utopia. Anzi un’autotopia, per usare il neologismo del Wall Street Journal. Ma nonostante questo, Elon Musk fa un bel po’ di soldi.Gli ultimi produttori a unirsi al gruppo di chi rinvia o addirittura cancella i propri programmi di investimento sull’elettrico sono Ford e Stellantis, sebbene l’Inflation reduction act dell’amministrazione Biden regali soldi a chi produce auto a batteria negli Stati Uniti. Con i suoi crediti di imposta i costi di produzione possono diminuire fino al 30%. Ai consumatori viene riconosciuto un bonus fino a 7.500 dollari. Ford ha ricevuto un prestito a interessi molto bassi per un importo superiore a 9 miliardi di dollari, destinato all’insediamento di tre super stabilimenti negli Stati Uniti. Stellantis addirittura un sussidio di 335 milioni. Nonostante questo, Ford dovrà contabilizzare perdite straordinarie per quasi 2 miliardi di dollari oltre a un risultato netto di segmento negativo per 5 miliardi. Si stima che per ogni auto elettrica venduta le perdite siano pari a 44.000 dollari. Intanto crolla il prezzo dell’usato elettrico nel Regno Unito. Lo rivela un’inchiesta del quotidiano progressista The Guardian. Altra sponda dell’Atlantico - oltre che politica - rispetto al Wsj. Il Guardian ovviamente prova a dipingere un quadro a tinte pastello. Auto elettriche una volta inaccessibili a causa del prezzo proibitivo diventano ora accessibili a ogni tasca. Il prezzo medio di un’auto elettrica vecchia di tre-cinque anni è pari a 18.964 sterline. Cifra molto vicina ai 18.076 di un’auto a motore endotermico, secondo Auto Trader. Parliamo di auto che mediamente hanno un’autonomia di poco superiore ai 300 chilometri. Si arriva ad acquistare un’auto a batteria anche con poco più di 15.000 sterline. Il Guardian festeggia come fossimo di fronte al sol dell’avvenire, a differenza del più scettico Wsj. I consulenti di Anderson economic group stimano che un’auto elettrica di fascia media abbia un costo di mantenimento che oscilla fra i 12,61 dollari e i 16,11 su 100 miglia (equivalenti a circa 160 chilometri), contro i 10,71 dollari di un’auto a carburante. Il gap aumenta se dai Suv si passa ai pickup. Questo spiega il perché la quota di mercato delle auto elettriche ristagni. E i consumatori le vendono non appena possono, facendo crollare le quotazioni dell’usato. I produttori non possono però ammettere che l’auto elettrica non sarà mai il futuro, oltreché il presente. Sono ancora in ballo un bel po’ di sussidi che i governi non potrebbero politicamente giustificare ai propri elettori, qualora i primi ad ammettere che l’auto a pile non funzionerà mai fossero proprio i produttori.Le auto elettriche servono, spiega l’analista Pierluigi del Viscovo, «a fare media». I produttori, nell’immediato, devono confrontarsi con il sistema delle multe. «La media delle emissioni di CO2 non deve superare i 95 grammi per chilometro. Vendendo solo auto con motore a scoppio si va oltre. Quindi serve vendere un certo numero di auto elettriche - neanche altissimo - per abbassare la media e non pagare le multe». Ma le auto elettriche che dovranno vendere l’anno prossimo per fare la media dovranno essere molte di più perché gli standard sono più severi rispetto ai 95 grammi. Questo è il grande problema che hanno oggi i costruttori. L’alternativa alla multa è acquistare i carbon credit. Certificati in possesso, ad esempio, di quei produttori come Tesla che registrano standard di emissione più bassi. E con questa attività Musk fa un sacco di soldi. Molto più che vendendo le auto elettriche. Nel secondo quarto del 2024, su un risultato netto di 1,4 miliardi (a fronte di un fatturato di 25 miliardi), ben 890 milioni derivano dalla vendita di questi certificati. Una manna pari al 65% dei profitti e in decisa crescita rispetto alla media del 21% degli ultimi quattro trimestri. Il vero business non è l’auto elettrica, ma vendere questi crediti. Privilegio assicurato a chi produce solo elettrico. E Musk lo ha capito prima e meglio di tutti.
Ranieri Guerra (Imagoeconomica). Nel riquadro, Cristiana Salvi
Nelle carte di Zambon alla Procura gli scambi di opinioni tra i funzionari Cristiana Salvi e Ranieri Guerra: «Mitighiamo le critiche, Roma deve rifinanziare il nostro centro a Venezia e non vogliamo contrattacchi».
Un rapporto tecnico, destinato a spiegare al mondo come l’Italia aveva reagito alla pandemia da Covid 19, si è trasformato in un dossier da riscrivere per «mitigare le parti più problematiche». Le correzioni da apportare misurano la distanza tra ciò che l’Organizzazione mondiale della sanità dovrebbe essere e ciò che era diventata: un organismo che, di fronte a una crisi globale, ha scelto la prudenza diplomatica invece della verità. A leggere i documenti depositati alla Procura di Bergamo da Francesco Zambon, funzionario senior per le emergenze sanitarie dell’Ufficio regionale per l’Europa dell’Oms, il confine tra verità scientifica e volontà politica è stato superato.
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L’annuncio per un’abitazione a Roma. La padrona di casa: «Non dovete polemizzare».
La teoria di origine statunitense della «discriminazione positiva» ha almeno questo di buono: è chiara e limpida nei suoi intenti non egualitari, un po’ come le quote rosa o il bagno (solo) per trans. Ma se non si fa attenzione, ci vuole un attimo affinché la presunta e buonista «inclusione» si trasformi in una clava che esclude e mortifica qualcuno di «meno gradito».
Su Facebook, la piattaforma di Mark Zuckerberg che ha fatto dell’inclusività uno dei principali «valori della community», è appena apparso un post che rappresenta al meglio l’ipocrisia in salsa arcobaleno.
In Svizzera vengono tolti i «pissoir». L’obiettivo dei progressisti è quello di creare dei bagni gender free nelle scuole pubbliche. Nella provincia autonoma di Bolzano, pubblicato un vademecum inclusivo: non si potrà più dire cuoco, ma solamente chef.
La mozione non poteva che arrivare dai Verdi, sempre meno occupati a difendere l’ambiente (e quest’ultimo ringrazia) e sempre più impegnati in battaglie superflue. Sono stati loro a proporre al comune svizzero di Burgdorf, nel Canton Berna, di eliminare gli orinatoi dalle scuole. Per questioni igieniche, ovviamente, anche se i bidelli hanno spiegato che questo tipo di servizi richiede minor manutenzione e lavoro di pulizia. Ma anche perché giudicati troppo «maschilisti». Quella porcellana appesa al muro, con quei ragazzi a gambe aperte per i propri bisogni, faceva davvero rabbrividire la sinistra svizzera. Secondo la rappresentante dei Verdi, Vicky Müller, i bagni senza orinatoi sarebbero più puliti, anche se un’indagine (sì il Comune svizzero ha fatto anche questo) diceva il contrario.
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L’episodio è avvenuto a Lucca: la donna alla guida del bus è stata malmenata da baby ubriachi: «Temo la vendetta di quelle belve».
Città sempre più in balia delle bande di stranieri. È la cronaca delle ultime ore a confermare quello che ormai è sotto gli occhi di tutti: non sono solamente le grandi metropoli a dover fare i conti con l’ondata di insicurezza provocata da maranza e soci. Il terrore causato dalle bande di giovanissimi delinquenti di origine straniera ormai è di casa anche nei centri medio-piccoli.
Quanto accaduto a Lucca ne è un esempio: due minorenni di origine straniera hanno aggredito la conducente di un autobus di linea di Autolinee toscane. I due malviventi sono sì naturalizzati italiani ma in passato erano già diventati tristemente noti per essere stati fermati come autori di un accoltellamento sempre nella città toscana. Mica male come spottone per la politica di accoglienza sfrenata propagandata a destra e a manca da certa sinistra.






