2019-09-26
I pm ritirano fuori le stragi di mafia e indagano ancora contro Berlusconi
Il Cav è di nuovo sotto inchiesta per le bombe del 1993: la rivelazione durante il processo sulla trattativa. Tutto si basa sulle sibilline parole di Giuseppe Graviano, esecutore degli attentati a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.La vicenda metterebbe a dura prova anche il magistero retroattivo di Alexandre Dumas padre. Il maestro del genere cappa e spada si limitò a raccontare Vent'anni dopo, i giudici di Firenze sono già oltre i 26 dagli attentati di mafia a Milano, Roma e Firenze della terribile stagione 1993, nata per vendetta dopo la condanna definitiva di Totò Riina a plurimi ergastoli. Il problema è l'indagato con sospetto d'essere il mandante. Sempre lo stesso, sempre dopo intercettazioni di criminali, sempre Silvio Berlusconi. Così, alla soglia degli 83 anni (li compirà fra tre giorni), il padre del centrodestra, tre volte presidente del Consiglio, ha saputo d'essere di nuovo sotto inchiesta per quelle bombe dalla Procura del capoluogo toscano.Ne è venuto a conoscenza quasi per caso ieri - dopo indiscrezioni che strisciavano sotto i tavoli delle redazioni dal 2017 - quando i legali Franco Coppi e Niccolò Ghedini hanno chiesto ufficialmente in quale veste Berlusconi avrebbe dovuto presentarsi in tribunale a Palermo il 3 ottobre, convocato per il processo d'appello a Marcello Dell'Utri sulla trattativa Stato mafia, che da quelle stragi avrebbe preso piede. La certificazione è arrivata con la specifica che il leader di Forza Italia avrebbe potuto anche avvalersi della facoltà di non rispondere in quanto non testimone, ma indagato in procedimento connesso. Sorpresa. Allora Berlusconi ha deciso di non andare a deporre (per precedenti impegni a Bruxelles) e la scelta ha suscitato l'amarezza di Miranda Dell'Utri, moglie di Marcello, che all'agenzia Adnkronos ha detto: «Sono sorpresa, arrabbiata, incredula. La sua testimonianza è decisiva anche per i giudici, qui è in gioco la vita di mio marito». La grottesca posizione del Cavaliere come mandante delle stragi era stata archiviata da tempo. «Ma vi è stata la riapertura delle indagini come atto dovuto, a seguito della trasmissione delle intercettazioni, per fare le dovute verifiche che ancora non sono concluse», ha spiegato il procuratore fiorentino Giuseppe Creazzo. Si tratta di conversazioni raccolte nell'aprile del 2016 nel carcere di Terni, durante le quali il capomafia Giuseppe Graviano parlando con il suo compagno di cella pronunciava frasi sconnesse e sibilline con flash furbescamente riconducibili a Berlusconi. «Novantadue, già voleva scendere e voleva tutto». «Berlusca mi ha chiesto questa cortesia». «Ero convinto che vinceva le elezioni in Sicilia. In mezzo alla strada era Berlusca, lui voleva scendere, però in quel periodo c'erano i vecchi». «Lui mi ha detto: ci vorrebbe una bella cosa». Secondo pacchetto di registrazioni ambientali sulle quali la Procura si è gettata a pesce: è sempre Graviano, numero uno del mandamento di Brancaccio Ciaculli, che parla. «Nel 1994 lui si è ubriacato perché lui dice: io non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato. Pigliò le distanze, ha fatto il traditore». «Venticinque anni fa mi sono seduto con te, ti ho portato benessere; 24 anni fa mi è successa una disgrazia e tu cominci a pugnalarmi. Ma vagli a dire: com'è che sei al governo, che hai fatto cose vergognose, ingiuste». Recepite le intercettazioni, il procuratore Creazzo ha riaperto il caso, ha indagato di nuovo Berlusconi e per tenere lontano il fascicolo da occhi indiscreti (le strumentalizzazioni politiche sono moneta corrente) ha iscritto il nome dell'ex premier con intestazioni di copertura.Tutto questo nell'autunno di due anni fa, ma le verifiche non sono ancora terminate e la vicenda è diventata di dominio pubblico. Si riapre una stagione che sembrava alle spalle, ormai fuori dalla portata della cronaca perché incamminata verso le analisi della storia. Su quel terribile 1993 sono stati girati un paio di film e una serie televisiva, per poi scoprire che l'indagine non è conclusa. A pesare come un macigno sulla credibilità di tutto l'impianto è la fonte primaria dell'inchiesta, il mafioso Giuseppe Graviano, mai pentito, condannato con il fratello Filippo come mandante dell'assassinio di don Pino Puglisi, in carcere a vita perché ritenuto colui che premette il telecomando delle stragi di Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e delle rispettive scorte. I Graviano sono considerati responsabili della selezione dei commando degli attentati dinamitardi di via Palestro a Milano, via dei Georgofili a Firenze, piazza San Giovanni in Laterano e via San Teodoro a Roma.Il filone che porta a Berlusconi è stato alimentato, ormai nei decenni, da mafiosi e da pentiti dell'entourage dei padroni di Brancaccio. Lo era soprattutto Gaspare Spatuzza, che una decina di anni fa dichiarò di aver saputo proprio da Graviano che Berlusconi nel 1994 era sceso a patti con la mafia per ottenere voti in cambio delle revisioni dei processi, dell'attenuazione della legge sulle confische dei beni e del regime carcerario. Lo stesso Graviano in passato avrebbe detto a Matteo Messina Denaro (vicenda riportata da Giovanni Brusca, assassino oggi pentito, nel processo per la strage di via D'Amelio) di avere visto in un incontro a quattr'occhi con Berlusconi «un orologio di lusso del valore di 500 milioni di lire al polso del Cavaliere». Corsi e ricorsi storici, frasi che tornano, cimici dimenticate nelle intercapedini, sospetti che rifluiscono dai tombini. Per Berlusconi la guerra non è mai finita, anche le accuse dalle quali è stato prosciolto covano sotto la cenere. E si materializzano 26 anni dopo, stanchi filoni giudiziari di una stagione che non esiste più.
(Totaleu)
«Tante persone sono scontente». Lo ha dichiarato l'eurodeputato della Lega in un'intervista al Parlamento europeo di Strasburgo.