2022-02-10
«Renzi va processato». E lui denuncia i pm
Il 4 aprile udienza per decidere sul rinvio a giudizio, oltre che del leader Iv, anche di Luca Lotti, Marco Carrai, Alberto Bianchi, Maria Elena Boschi e altri sei. L’annuncio: «Ho denunciato gli inquirenti».Come oscurare la notizia della richiesta di rinvio a giudizio di un ex primo ministro? Deve averci riflettuto bene, Matteo Renzi, dopo che La Verità, sabato, gli aveva fatto sapere che era in arrivo l’istanza di processo nei suoi confronti per finanziamento illecito. E alla fine è arrivato a questa conclusione: querelare i pm. La linea di Renzi è quella di infilarsi nel solco aperto dal «pentito» Luca Palamara che a colpi di best seller e interviste sta picconando la magistratura di cui era stato carismatico leader sindacale, mentre oggi è portato in tournéé dai suoi vecchi nemici (avvocati e berlusconiani in testa). Non è un caso che Bruno Vespa, che nello scontro politica-magistratura sguazza, abbia nelle ultime due serate ospitato prima Palamara (che nel suo ultimo libro descrive Renzi come un perseguitato dalla giustizia, al pari di Berlusconi) e poi il fu Rottamatore. Quest’ultimo ha annunciato di aver firmato una formale denuncia penale nei confronti del procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo, dell’aggiunto Luca Turco e del pm Antonino Nastasi da trasmettere alla Procura di Genova, competente per i reati commessi dai magistrati fiorentini. L’accusa è di aver violato l’articolo 68 della Costituzione, quello che regola le guarentigie dei parlamentari, per il deposito agli atti delle chat del senatore con l’imprenditore Vincenzo Manes. Una decisione per cui la giunta per le immunità del Senato, dando ragione a Renzi, ha proposto all’Aula di sollevare un conflitto di attribuzioni davanti alla Consulta. Già a dicembre i difensori del fu Rottamatore avevano chiesto alla Procura di «espellere dal fascicolo ogni e qualsiasi corrispondenza indebitamente acquisita senza il rispetto dell’articolo 68», ma adesso con un colpo di teatro ha annunciato querela anche per la violazione delle disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 e per abuso d’ufficio. Renzi avrebbe «chiesto di essere ascoltato dai pm genovesi riservandosi di produrre materiale atto a corroborare la denuncia penale». Il leader di Italia viva, attraverso il suo ufficio stampa, si è anche detto soddisfatto della richiesta di rinvio a giudizio: «Finalmente inizia il processo nelle aule e non solo sui media e i cittadini potranno adesso rendersi conto di quanto sia fragile la contestazione dell’accusa e di quanto siano scandalosi i metodi usati dalla Procura di Firenze». L’ex sindaco di Firenze e i suoi pierre hanno attaccato sul piano personale gli inquirenti. Per esempio hanno ricordato che Creazzo «è stato sanzionato per molestie sessuali dal Csm» (ma non dalla giustizia penale, per mancanza di querela di parte), un tema su cui il «garantista» Matteo si è dilungato ieri sera in tv. La colpa di Turco è di aver voluto «l’arresto dei genitori di Renzi poi annullato dal Tribunale della libertà». La lettera scarlatta di Nastasi è, invece, l’accusa di «aver inquinato la scena criminis» nell’inchiesta sulla morte di David Rossi. Un assalto quasi senza precedenti da parte di un politico nei confronti delle toghe che lo accusano. A cui l’ex segretario del Pd ha voluto mettere questa ciliegina: «Io non ho commesso reati, spero che i magistrati fiorentini possano in coscienza dire lo stesso». Ieri, però, non siamo riusciti a trovare il legale di Renzi che si sarebbe assunto la paternità dell’iniziativa giudiziaria. L’avvocato Federico Bagattini ci ha detto di non saperne nulla, mentre Lorenzo Pellegrini, il maggior indiziato, non ha risposto né alle nostre telefonate, né ai messaggi. Gian Domenico Caiazza ci ha, invece, detto: «Deve chiedere al mio assistito, non è questione che mi è stata affidata. È un’iniziativa che il senatore ha adottato personalmente. Ne sono informato, ma non me ne occupo professionalmente». Ma quando gli abbiamo chiesto se stesse prendendo le distanze da tale decisione, si è quasi risentito: «Condivido il giudizio drasticamente negativo sulla premessa logica dell’indagine che avviene in spregio di ben due decisioni della Corte di cassazione». Il riferimento è alla definizione della Fondazione Open come «articolazione politico-organizzativa» del Pd. Un’equiparazione che gli Ermellini hanno bocciato due volte, in attesa della terza pronuncia, prevista per il 18 febbraio. «Non capisco perché una Procura di quella importanza investa energie e risorse pubbliche su un azzardo e quindi comprendo che il senatore adotti ogni iniziativa a tutela della sua reputazione», ha concluso. La Procura di Firenze, dopo aver atteso l’elezione del presidente della Repubblica, l’1 febbraio ha inviato al gip la richiesta di rinvio a giudizio e il giudice Sara Farini ha fissato l’udienza preliminare per il 4 aprile prossimo, per un procedimento in cui sono stati individuate come parti offese la Camera (per un’ipotesi di corruzione non contestata a Renzi) e l’Agenzia delle entrate. Nella sua memoria, depositata dopo l’avviso di chiusura delle indagini di ottobre, Matteo aveva evidenziato le «erronee attribuzioni di qualifiche soggettive», cioè gli errori compiuti dai pm nell’individuazione dell’arco temporale in cui gli indagati Luca Lotti e Maria Elena Boschi avevano ricoperto specifici ruoli politici all’interno del Partito democratico. Imprecisioni corrette nella richiesta di rinvio a giudizio. Nell’atto gli inquirenti hanno continuato a definire la fondazione un’«articolazione» di partito e a insistere sull’esistenza di una «corrente renziana» dentro al Pd, anche se hanno pronta una via di fuga: in fondo al primo capo di imputazione hanno concesso che Open possa anche essere considerata un semplice schermo per il finanziamento illecito laddove è scritto che «Renzi, Lotti e Boschi in concorso tra loro, ricevevano, in violazione della normativa citata, dalle società sopra indicate, a mezzo dell’interposizione della fondazione, contributi in forma indiretta consistiti in beni e servizi, acquistati dalla fondazione utilizzando le somme sopra riportate». Ovvero 3,5 milioni di presunte donazioni illecite non ancora coperte dalla prescrizione. Per il finanziamento illecito rischiano il processo, oltre ai tre politici, anche l’ex presidente della fondazione Alberto Bianchi e l’ex membro del consiglio direttivo Marco Carrai, oltre a Patrizio Donnini, già «collaboratore dei predetti». A Lotti, Bianchi e Donnini viene contestata anche la corruzione per i favori al gruppo Toto, che viene contestata a Lotti e Bianchi anche per quelli alla British american tobacco. Donnini è accusato pure di traffico di influenze e autoriciclaggio. Sotto inchiesta anche alcuni finanziatori e le loro società: Alfonso Toto e l’omonimo gruppo, Gianluca Ansalone e Giovanni Carucci della British american tobacco, Pietro Di Lorenzo della Irbm spa e Riccardo Maestrelli, imprenditore molto vicino a Renzi. Lui e la sua famiglia sono saliti agli onori delle cronache per aver ospitato l’ex premier nel loro albergo di Forte dei Marmi, avergli prestato 700.000 euro per l’acquisto di una villa e perché Riccardo era stato nominato consigliere di Cassa depositi e prestiti immobiliare ai tempi in cui Matteo era primo ministro. Adesso il fratello Giulio è inserito in una segnalazione di operazione sospetta per l’invio di denaro a Matilde Renzi, sorella di Matteo, e a suo marito Andrea Conticini. Leggiamo: «Desta altresì significativo sospetto il riscontro della destinazione da parte della Erre emme immobiliare della somma di 340.000 euro, con provvista apparentemente costituita all’uopo da Giulio Maestrelli con un accredito di 400.000 euro ordinato da un suo rapporto personale, a favore dei coniugi Matilde e Andrea Conticini». La segnalazione descrive poi nel dettaglio il trasferimento: «Trattasi di assegno circolare di 106.596 euro all’ordine di Matilde Renzi […], un altro di 180.000 a favore di Andrea Conticini […] e un terzo, di 53.504 […]». Contattato dalla Verità, Maestrelli, prima si fa una risata e poi afferma: «Ah, riguarda Renzi? Non importa, non mi interessa rispondere». Da parte sua l’ex premier non ha invece avuto nulla da dire sui pagamenti e sulle sue attività in Cina svelate dal nostro giornale nei giorni scorsi. Ci ha invece risposto Marina Leo, la pierre che ha inventato il Renzi «conferenziere», pagato attraverso una società di Pechino, di cui la donna sarebbe consigliera, chiamata «Matteo relazioni pubbliche internazionali» e controllata dalla quasi omonima Ciao international public relation. La Leo ieri ha accettato di dare la sua versione sui ripetuti bonifici da 8.333 euro inviati dalla «Matteo» all’ex premier e segnalati dall’Antiriciclaggio: «I pagamenti vengono fatti ufficialmente a Matteo Renzi, con il quale non lavoriamo “in presenza” dal 2019» e l’utilizzo della «Matteo» «è stata solo una questione tecnica». La scelta è legata «alle normali pratiche burocratiche che la Qiao (ditta riconducibile alla Leo e al socio Lucian Lu, con base a Rotterdam, ndr) stava espletando per operare in Cina». La Leo ha anche detto di non sapere nulla della «Matteo», che il nome «è solo una coincidenza» e che «non ci azzecca niente» con l’ex premier. Ha negato rapporti con la pechinese Ciao, che controlla la «Matteo», definendola «una delle società di pierre del capo del mio socio».
Marta Cartabia (Imagoeconomica)
Sergio Mattarella con Qu Dongyu, direttore generale della FAO, in occasione della cerimonia di inaugurazione del Museo e Rete per l'Alimentazione e l'Agricoltura (MuNe) nella ricorrenza degli 80 anni della FAO (Ansa)