2021-03-24
I pasticci di Conte e Di Maio sull'aerospazio. Dal caso Washington all'Asi
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Giuseppe Conte e Luigi Di Maio (Ansa)
Fratelli D'Italia presenta due interrogazioni parlamentari. Nella prima chiede i motivi della selezione per un addetto spaziale alla nostra ambasciata negli Stati Uniti, anche se la scadenza di quello attuale è nel 2022. La seconda riguarda la mancata nomina del direttore generale dell'Agenzia spaziale italiana, incarico tutt'ora vacante e in mano a un reggente. Il sospetto è che il precedente governo volesse favorire l'entourage dell'avvocato del popolo.Ci sono due interrogazioni parlamentari che forse permetteranno di capire i disastri politici del precedente governo di Giuseppe Conte nel settore dell'aerospazio. Le ha presentate Fratelli D'Italia tra la fine di febbraio e marzo. La prima riguarda il bando di selezione nell'Agenzia Spaziale Italian (Asi) per il nuovo direttore generale con tutta probabilità palesemente in contrasto con ogni principio di trasparenza. La seconda invece tocca un nervo scoperto della passata amministrazione di Conte, ovvero la mancata nomina del colonnello Aniello Violetti a nuovo addetto spaziale italiano all'ambasciata di Washington. Sono due spine nel fianco per l'ex sottosegretario Riccardo Fraccaro, che ha mantenuto la delega alle politiche aerospaziali fino all'insediamento del governo di Mario Draghi. Se sulla prima si attendono risposte a breve, anche perché riguarda il direttore generale dell'Asi ormai già scaduto da mesi (attualmente è in carica un reggente), sulla seconda ci sono invece alcuni aspetti folkloristici da raccontare. Come riportato anche nel testo dell'interrogazione, il 1° settembre 2020 il ministero degli affari esteri e della cooperazione Internazionale (Maeci) «aveva indetto una procedura a carattere non concorsuale volta alla raccolta e alla valutazione di candidature, provenienti da personale dipendente da pubbliche amministrazioni, per ricoprire l'incarico di esperto con funzioni di addetto spaziale presso l'ambasciata d'Italia a Washington, pubblicando in pari data il relativo avviso sul proprio sito internet istituzionale». Fino a qui tutto bene. Il 15 settembre parte la selezione. Vengono sentite 10 persone, come riporta anche il sito del ministero di Luigi Di Maio. Peraltro l'intervento del Maeci arriva a valle di un tentativo di colpo di mano di Palazzo Chigi che a fine giugno avevano lanciato una selezione (mai pubblicizzata ufficialmente) nella quale si cercava un addetto il cui profilo, specialmente perché molto indirizzato verso una specifica qualificazione, mancava solo della foto del candidato voluto. Il tentativo ha avuto come effetto quello di far ricordare alla Farnesina che era l'unica amministrazione istituzionalmente e legalmente responsabile di queste scelte. Per cui l'operazione è stata bloccata riaprendo le danze in settembre. Il 21 gennaio i giochi sembrano fatti. Il nuovo addetto spaziale a Washington sarà Aniello Violetti, numero 2 del consigliere militare di Conte Carlo Massagli, nonché punto di riferimento per Fraccaro e Conte sulle politiche aerospaziali indipendentemente dalle competente specifiche richieste come era prassi in quel governo. Non solo. In quelle settimane circola voce a palazzo Chigi che per l'insediamento di Violetti sarà celebrato in pompa magna a Washington, con tanto di ricevimento allietato anche dalla presenza dell'attuale presidente dell'Asi. Partono i preparativi, si acquistano i biglietti aerei. Peccato che l'esito della selezione non verrà mai pubblicato sul sito. E che anzi si scopra di lì a poco che il mandato dell'attuale addetto spaziale Roberto Vittori scada in realtà nel giugno del 2022, non nel 2021. Ma quindi perché questa corsa da parte di Di Maio a presentare un bando che di fatto era inutile? Doveva essere un favore a Violetti poi andato male? «Si chiede» pertanto scrivono gli interrogandi, «le ragioni dell'avvio della procedura di selezione con circa 2 anni di anticipo rispetto alla scadenza del comando dell'attuale Addetto Spaziale presso l'Ambasciata d'Italia a Washington generale Roberto Vittori». E soprattutto si chiede se «il ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale abbia conferito l'incarico, sentito il consiglio di amministrazione del ministero, di concerto con il ministro per il tesoro e, per il personale di altre amministrazioni o di enti pubblici, anche con il ministro competente o vigilante, al colonnello Violetti come indicato nella richiamata nota della presidenza del consiglio dei ministri – ufficio del consigliere militare del 21 gennaio 2021». I misteri non terminato qui. Anche sul direttore generale dell'Asi, come detto, la nebbia è fitta. La storia è per certi versi simile a quella dell'addetto spaziale di Washington. Il 4 settembre 2019 l'Asi pubblicava il bando per selezionare il nuovo direttore generale, in sostituzione di Anna Sirica, ma, come si apprende da fonti di stampa, nonostante la commissione esaminatrice avesse concluso i lavori e consegnato una terna di candidati, il presidente dell'Asi avrebbe dapprima deciso di congelare la procedura di selezione e, dopo circa un anno, con deliberazione n. 165 del 29 settembre 2020, è stata inspiegabilmente revocata. Al momento il direttore generale reggente è ricoperto da Fabrizio Tosone, dirigente tecnologo, e scadrà il 31 marzo 2021. L'Asi quindi si trova, senza la figura di un direttore generale nel pieno delle sue funzioni e «per di più ha avviato una riorganizzazione complessiva» si legge «che sta incontrando difficoltà attuative, aggravate dal fatto che il direttore generale reggente concentra sulla sua persona anche gli interim di svariate direzioni e di altre strutture minori» il tutto senza possedere, come avvocato, alcuna competenza specifica in merito.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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