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2019-07-27
I nuovi guai di Lotti e babbo Renzi riportano a galla lo scandalo del Csm
Ansa
«La vicenda dei genitori l'ha colpito (Renzi, ndr) il danno d'immagine su di lui in questi anni, comunque, c'è stato […] e ora ha un'immagine ancora molto, molto graffiata». Così a maggio Luca Lotti in un colloquio, finito nell'inchiesta Csm, con il pm Luca Palamara. La nomea dell'ex premier è forse ancora più compromessa dall'altro ieri, giorno del rigetto dell'istanza di archiviazione nell'inchiesta Consip per Tiziano Renzi. Quest'ultimo il 14 ottobre dovrà presentarsi davanti al gip Gaspare Sturzo per convincerlo di non aver utilizzato il nome che porta per fare affari illegali, ma non sarà semplice: il giudice ha respinto una doppia richiesta di archiviazione da parte della Procura di Roma, rappresentata sino a maggio da Giuseppe Pignatone, l'aggiunto Paolo Ielo e Mario Palazzi.
Durante l'inchiesta sul Csm era emerso come l'indagine Consip fosse il convitato di pietra di gran parte delle manovre intorno alle nomine dei vertici della Procura capitolina. Lotti brigava per avere come procuratore il pg di Firenze Marcello Viola, considerato più gestibile in vista del processo per favoreggiamento a cui sembra destinato lo stesso ex sottosegretario. Nelle intercettazioni captate dal trojan nel cellulare di Palamara, quest'ultimo faceva riferimento a presunti contatti tra Giglio magico e Procura: «Vedi Luca (Lotti, ndr), io come ti ho già detto una volta, mi acquieterò solo quando Pignatone mi chiamerà e mi dirà che cosa è successo con Consip. Perché lui si è voluto sedere a tavola con te, ha voluto parlare con Matteo, ha creato l'affidamento e poi mi lascia con il cerino in mano. Io mi brucio e loro si divertono». Sembra chiaro che Palamara e Lotti non si aspettassero la richiesta di rinvio per l'ex ministro, sebbene un'altra accusa (rivelazione di segreto) fosse stata abbonata sia a lui sia al generale dei carabinieri Emanuele Saltalamacchia, considerato vicino al Giglio magico. Le contestazioni della Procura si ridussero e resta un mistero, per esempio, come Tiziano Renzi sia venuto a conoscenza dell'inchiesta che lo riguardava: una fuga di notizie rivelata da questo giornale il 6 novembre 2016. La proposta di processo per Lotti, Saltalamacchia e altri nell'ottobre 2018 ha quasi oscurato l'istanza di archiviazione per Renzi senior, nonostante fossero state censurate dagli stessi magistrati per la loro «totale inattendibilità» le dichiarazioni che lo stesso aveva reso nell'interrogatorio del 3 marzo 2016. Alla vigilia di quel confronto, Matteo Renzi e il padre avevano disquisito sugli inquirenti che conducevano le indagini. «Ma a me mi dovrebbe interrogare (Mario, ndr) Palazzi, no?» aveva chiesto il genitore e il figlio lo aveva corretto: «Considera che tutti i magistrati di cui si sta parlando, come dire, hanno dei loro giri, […] dei cazzi loro di vario genere, quindi io credo che a te ti interrogherà un magistrato importante di Roma, se ho capito bene». A interrogare Tiziano furono Pignatone e l'aggiunto Ielo.
Il babbo davanti ai pm negò di aver mai incontrato l'imprenditore Alfredo Romeo (oggi imputato per corruzione), l'uomo che, attraverso il faccendiere Carlo Russo, stretto collaboratore del padre dell'ex premier, aveva cercato una sponda a Rignano in cambio di una «consulenza» di 30.000 euro al mese. I soldi non sono mai stati trovati, anche perché la casa di Tiziano Renzi non è stata perquisita, né sono stati sequestrati i cellulari. Eppure le chat con Russo, riportate in un'informativa dei carabinieri del 25 marzo scorso, smentirono la sua versione. Il 16 luglio 2015 Renzi senior, Romeo e Russo risultano essere nella stessa zona e, come riferito a marzo dal Fatto quotidiano, Tiziano alle 15.24 scrive su Telegram: «Ci sono». E Russo poco dopo risponde: «Ci siamo». Qualche ora dopo, alle 18.22, Renzi e Russo tornano a scriversi e sembrano commentare l'incontro. Tiziano: «Impressioni?». Russo: «A lui positivamente… A te?». Tiziano: «Buone speriamo che non mi pongano ostacoli». Russo: «Speriamo». L'argomento dell'incontro, a giudicare da altre conversazioni, sarebbe stata una gara di Grandi stazioni.
Ma Renzi senior non è considerato un lobbista fuori dalle regole solo a Roma. A Firenze va avanti contro di lui un'indagine per la stessa ipotesi di reato e qui la pm Christine von Borries ritiene anche di aver trovato il corrispettivo dell'attività, i 195.200 euro che l'imprenditore Luigi Dagostino ha versato ai coniugi Renzi per prestazioni considerate inesistenti. Il periodo dei pagamenti è giugno-luglio 2015, quando lo stesso Renzi senior agevolò un incontro tra un pm nell'occhio del ciclone, Antonio Savasta, e l'allora sottosegretario Lotti.
Ai due procedimenti per influenze illecite bisogna aggiungerne altri tre per false fatture e concorso in bancarotta che coinvolgono entrambi i genitori dell'ex premier.
I crac di quattro società (tre coop toscane e una srl piemontese) potrebbero portare a condanne pesanti. L'avviso della chiusura delle indagini fiorentine per entrambi è atteso a breve, mentre Laura Bovoli è alla sbarra a Cuneo per un altro presunto concorso in bancarotta. Il 7 ottobre è attesa la sentenza per false fatturazioni (un'accusa legata ai 195.200 euro di cui sopra) contro i Renzi.
Marito e moglie non hanno voluto essere esaminati in aula da pm e giudice, e hanno preferito affidarsi a «dichiarazioni spontanee scritte», provando a spostare l'oggetto del contendere: «Se è un reato chiamarsi Renzi, allora sono colpevole», ha scritto Tiziano. Un espediente retorico che deve essergli parso efficace: il 15 luglio ha pubblicato su Facebook la propria «arringa». Giovedì 25, quando le agenzie hanno dato la notizia del rigetto della richiesta di archiviazione per Consip, Tiziano è tornato sulla Rete: «Dopo quello che ho passato nei mesi scorsi, non provo più nemmeno rabbia o dolore. So di non aver commesso alcun traffico di influenze. E so che questo infinito processo mediatico prima o poi sarà smontato pezzetto dopo pezzetto. […] Io sono innocente, come del resto avevano riconosciuto anche i pm di Roma». Ieri il post era stato cancellato dal suo profilo.
E il figlio «trucca» i successi online
Ormai più a suo agio negli Emirati arabi che nell'amaro agone della politica italiana, Matteo Renzi è sempre più vittima delle proprie ossessioni. A cominciare da quella per le fake news, un'espressione vuota e fuorviante che l'ex premier sdoganò quando era a Palazzo Chigi e che ormai anche l'ultimo sindachino preso con le mani nella marmellata usa per difendersi e gridare al complotto. Come spesso accade in questi casi, dopo ave gridato per anni alle notizie false contro di lui, adesso l'ex primo cittadino di Firenze le produce egli stesso. Così, nelle ultime ore si è vantato di aver sorpassato su Facebook, in termini di followers, tanto Matteo Salvini quanto Luigi Di Maio. Ma poi si è scoperto che aveva contato male e nel gradimento sui social restava sempre al terzo posto su tre. Intanto, sempre a proposito di «notizie false», il gip di Roma si è opposto alla richiesta di archiviazione di Tiziano Renzi per l'affare Consip e qui Matteuccio si è improvvisamente azzittito: dopo aver gridato alla congiura per mesi, si è chiuso in un cupo silenzio.
L'ultimo distacco dalla realtà (già virtuale, per altro) di Renzi junior è andato in scena mercoledì sera, dopo la diretta Facebook contemporanea dell'ex segretario del Pd, di Salvini e di Di Maio sul Rubligate. Il bulletto fiorentino ha visto sui social dei numeri che solleticavano il suo ego e, orfano di quel Filippo Sensi che gli avrebbe immediatamente spiegato che stava prendendo un abbaglio, ha cominciato a vaticinare il tramonto dei due leader che il 4 marzo 2018 lo hanno relegato all'irrilevanza. Renzi è ancora giovane e prima o poi tornerà anche lui, ma speriamo che torni più lucido, perché ecco che cosa ha twittato: «Ho come l'impressione che i due di Beautiful stiano venendo a noia. Quando lasciate Facebook e accettate un confronto televisivo all'americana? Non potete continuare a fuggire, coraggio». In realtà aveva fatto un confronto all'amatriciana dei followers, in base al quale lui surclassava tutti. Peccato che la mattina dopo, a un banale controllo delle rispettive pagine Facebook, risultasse tutta un'altra storia: la diretta di Salvini aveva acchiappato 405.550 visualizzazioni, quella di Di Maio seguiva con 297.689 e quella di Renzi si classificava ultima con grandissima distanza a quota 174.778 spettattori. Insomma, il povero Renzi, la sera prima, aveva diffuso una fake news di prima classe. Che tristezza vedere uno che non ha neppure 45 anni incartarsi così con la Rete. E certo, questa ossessione per i like e i followers sarà anche molto moderna ma lascia un retrogusto di tristezza. Come se anche i troll, che spesso affollano le varie pagine, fossero misura di tutte le cose. E se l'Italia venisse attaccata dalle forze oscure della galassia, questi politici verrebbero travolti mentre stanno twittando tra loro.
Sono invece le forze oscure della giustizia ad avercela con babbo Renzi, un uomo che combina pasticci appena esce di casa e in effetti non si capisce perché il figliolo ancora non gli levi, quantomeno, la patente. Tiziano Renzi resta sotto inchiesta per Consip e rischia un processo assai fastidioso. La notizia è dell'altro giorno, ma il figlio Matteo, intento a consultare la sibilla cumana di Facebook, se l'è persa. «Se mio padre è colpevole, per lui pena doppia», disse il Rottamatore il 3 marzo del 2017. E nel suo imperdibile libro Avanti aggiunse: «Conosco mio padre e conosco la sua onestà, alla storia dello stipendio in nero da 30.000 euro non crederebbe nemmeno un bambino». Ma la più bella difesa fu questa: «Se tuo padre bluffa lo senti». Forse Matteo si era un attimo sopravvalutato, anche come sensitivo.
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Riduci
L'ex sottosegretario e Luca Palamara parlavano degli incontri tra Matteo Renzi e Giuseppe Pignatone legandoli all'inchiesta Consip. E ora la decisione del gip di non archiviare evidenzia l'opinabilità delle richieste dei pm romani. E il figlio «trucca» i successi online. Il Rottamatore usa dati parziali pur di sostenere di aver sorpassato Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Altra figuraccia, dopo i prematuri annunci sulla fine delle indagini sul padre. Lo speciale comprende due articoli. «La vicenda dei genitori l'ha colpito (Renzi, ndr) il danno d'immagine su di lui in questi anni, comunque, c'è stato […] e ora ha un'immagine ancora molto, molto graffiata». Così a maggio Luca Lotti in un colloquio, finito nell'inchiesta Csm, con il pm Luca Palamara. La nomea dell'ex premier è forse ancora più compromessa dall'altro ieri, giorno del rigetto dell'istanza di archiviazione nell'inchiesta Consip per Tiziano Renzi. Quest'ultimo il 14 ottobre dovrà presentarsi davanti al gip Gaspare Sturzo per convincerlo di non aver utilizzato il nome che porta per fare affari illegali, ma non sarà semplice: il giudice ha respinto una doppia richiesta di archiviazione da parte della Procura di Roma, rappresentata sino a maggio da Giuseppe Pignatone, l'aggiunto Paolo Ielo e Mario Palazzi. Durante l'inchiesta sul Csm era emerso come l'indagine Consip fosse il convitato di pietra di gran parte delle manovre intorno alle nomine dei vertici della Procura capitolina. Lotti brigava per avere come procuratore il pg di Firenze Marcello Viola, considerato più gestibile in vista del processo per favoreggiamento a cui sembra destinato lo stesso ex sottosegretario. Nelle intercettazioni captate dal trojan nel cellulare di Palamara, quest'ultimo faceva riferimento a presunti contatti tra Giglio magico e Procura: «Vedi Luca (Lotti, ndr), io come ti ho già detto una volta, mi acquieterò solo quando Pignatone mi chiamerà e mi dirà che cosa è successo con Consip. Perché lui si è voluto sedere a tavola con te, ha voluto parlare con Matteo, ha creato l'affidamento e poi mi lascia con il cerino in mano. Io mi brucio e loro si divertono». Sembra chiaro che Palamara e Lotti non si aspettassero la richiesta di rinvio per l'ex ministro, sebbene un'altra accusa (rivelazione di segreto) fosse stata abbonata sia a lui sia al generale dei carabinieri Emanuele Saltalamacchia, considerato vicino al Giglio magico. Le contestazioni della Procura si ridussero e resta un mistero, per esempio, come Tiziano Renzi sia venuto a conoscenza dell'inchiesta che lo riguardava: una fuga di notizie rivelata da questo giornale il 6 novembre 2016. La proposta di processo per Lotti, Saltalamacchia e altri nell'ottobre 2018 ha quasi oscurato l'istanza di archiviazione per Renzi senior, nonostante fossero state censurate dagli stessi magistrati per la loro «totale inattendibilità» le dichiarazioni che lo stesso aveva reso nell'interrogatorio del 3 marzo 2016. Alla vigilia di quel confronto, Matteo Renzi e il padre avevano disquisito sugli inquirenti che conducevano le indagini. «Ma a me mi dovrebbe interrogare (Mario, ndr) Palazzi, no?» aveva chiesto il genitore e il figlio lo aveva corretto: «Considera che tutti i magistrati di cui si sta parlando, come dire, hanno dei loro giri, […] dei cazzi loro di vario genere, quindi io credo che a te ti interrogherà un magistrato importante di Roma, se ho capito bene». A interrogare Tiziano furono Pignatone e l'aggiunto Ielo. Il babbo davanti ai pm negò di aver mai incontrato l'imprenditore Alfredo Romeo (oggi imputato per corruzione), l'uomo che, attraverso il faccendiere Carlo Russo, stretto collaboratore del padre dell'ex premier, aveva cercato una sponda a Rignano in cambio di una «consulenza» di 30.000 euro al mese. I soldi non sono mai stati trovati, anche perché la casa di Tiziano Renzi non è stata perquisita, né sono stati sequestrati i cellulari. Eppure le chat con Russo, riportate in un'informativa dei carabinieri del 25 marzo scorso, smentirono la sua versione. Il 16 luglio 2015 Renzi senior, Romeo e Russo risultano essere nella stessa zona e, come riferito a marzo dal Fatto quotidiano, Tiziano alle 15.24 scrive su Telegram: «Ci sono». E Russo poco dopo risponde: «Ci siamo». Qualche ora dopo, alle 18.22, Renzi e Russo tornano a scriversi e sembrano commentare l'incontro. Tiziano: «Impressioni?». Russo: «A lui positivamente… A te?». Tiziano: «Buone speriamo che non mi pongano ostacoli». Russo: «Speriamo». L'argomento dell'incontro, a giudicare da altre conversazioni, sarebbe stata una gara di Grandi stazioni. Ma Renzi senior non è considerato un lobbista fuori dalle regole solo a Roma. A Firenze va avanti contro di lui un'indagine per la stessa ipotesi di reato e qui la pm Christine von Borries ritiene anche di aver trovato il corrispettivo dell'attività, i 195.200 euro che l'imprenditore Luigi Dagostino ha versato ai coniugi Renzi per prestazioni considerate inesistenti. Il periodo dei pagamenti è giugno-luglio 2015, quando lo stesso Renzi senior agevolò un incontro tra un pm nell'occhio del ciclone, Antonio Savasta, e l'allora sottosegretario Lotti. Ai due procedimenti per influenze illecite bisogna aggiungerne altri tre per false fatture e concorso in bancarotta che coinvolgono entrambi i genitori dell'ex premier. I crac di quattro società (tre coop toscane e una srl piemontese) potrebbero portare a condanne pesanti. L'avviso della chiusura delle indagini fiorentine per entrambi è atteso a breve, mentre Laura Bovoli è alla sbarra a Cuneo per un altro presunto concorso in bancarotta. Il 7 ottobre è attesa la sentenza per false fatturazioni (un'accusa legata ai 195.200 euro di cui sopra) contro i Renzi. Marito e moglie non hanno voluto essere esaminati in aula da pm e giudice, e hanno preferito affidarsi a «dichiarazioni spontanee scritte», provando a spostare l'oggetto del contendere: «Se è un reato chiamarsi Renzi, allora sono colpevole», ha scritto Tiziano. Un espediente retorico che deve essergli parso efficace: il 15 luglio ha pubblicato su Facebook la propria «arringa». Giovedì 25, quando le agenzie hanno dato la notizia del rigetto della richiesta di archiviazione per Consip, Tiziano è tornato sulla Rete: «Dopo quello che ho passato nei mesi scorsi, non provo più nemmeno rabbia o dolore. So di non aver commesso alcun traffico di influenze. E so che questo infinito processo mediatico prima o poi sarà smontato pezzetto dopo pezzetto. […] Io sono innocente, come del resto avevano riconosciuto anche i pm di Roma». Ieri il post era stato cancellato dal suo profilo. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-nuovi-guai-di-lotti-e-babbo-renzi-riportano-a-galla-lo-scandalo-del-csm-2639371178.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-il-figlio-trucca-i-successi-online" data-post-id="2639371178" data-published-at="1765605497" data-use-pagination="False"> E il figlio «trucca» i successi online Ormai più a suo agio negli Emirati arabi che nell'amaro agone della politica italiana, Matteo Renzi è sempre più vittima delle proprie ossessioni. A cominciare da quella per le fake news, un'espressione vuota e fuorviante che l'ex premier sdoganò quando era a Palazzo Chigi e che ormai anche l'ultimo sindachino preso con le mani nella marmellata usa per difendersi e gridare al complotto. Come spesso accade in questi casi, dopo ave gridato per anni alle notizie false contro di lui, adesso l'ex primo cittadino di Firenze le produce egli stesso. Così, nelle ultime ore si è vantato di aver sorpassato su Facebook, in termini di followers, tanto Matteo Salvini quanto Luigi Di Maio. Ma poi si è scoperto che aveva contato male e nel gradimento sui social restava sempre al terzo posto su tre. Intanto, sempre a proposito di «notizie false», il gip di Roma si è opposto alla richiesta di archiviazione di Tiziano Renzi per l'affare Consip e qui Matteuccio si è improvvisamente azzittito: dopo aver gridato alla congiura per mesi, si è chiuso in un cupo silenzio. L'ultimo distacco dalla realtà (già virtuale, per altro) di Renzi junior è andato in scena mercoledì sera, dopo la diretta Facebook contemporanea dell'ex segretario del Pd, di Salvini e di Di Maio sul Rubligate. Il bulletto fiorentino ha visto sui social dei numeri che solleticavano il suo ego e, orfano di quel Filippo Sensi che gli avrebbe immediatamente spiegato che stava prendendo un abbaglio, ha cominciato a vaticinare il tramonto dei due leader che il 4 marzo 2018 lo hanno relegato all'irrilevanza. Renzi è ancora giovane e prima o poi tornerà anche lui, ma speriamo che torni più lucido, perché ecco che cosa ha twittato: «Ho come l'impressione che i due di Beautiful stiano venendo a noia. Quando lasciate Facebook e accettate un confronto televisivo all'americana? Non potete continuare a fuggire, coraggio». In realtà aveva fatto un confronto all'amatriciana dei followers, in base al quale lui surclassava tutti. Peccato che la mattina dopo, a un banale controllo delle rispettive pagine Facebook, risultasse tutta un'altra storia: la diretta di Salvini aveva acchiappato 405.550 visualizzazioni, quella di Di Maio seguiva con 297.689 e quella di Renzi si classificava ultima con grandissima distanza a quota 174.778 spettattori. Insomma, il povero Renzi, la sera prima, aveva diffuso una fake news di prima classe. Che tristezza vedere uno che non ha neppure 45 anni incartarsi così con la Rete. E certo, questa ossessione per i like e i followers sarà anche molto moderna ma lascia un retrogusto di tristezza. Come se anche i troll, che spesso affollano le varie pagine, fossero misura di tutte le cose. E se l'Italia venisse attaccata dalle forze oscure della galassia, questi politici verrebbero travolti mentre stanno twittando tra loro. Sono invece le forze oscure della giustizia ad avercela con babbo Renzi, un uomo che combina pasticci appena esce di casa e in effetti non si capisce perché il figliolo ancora non gli levi, quantomeno, la patente. Tiziano Renzi resta sotto inchiesta per Consip e rischia un processo assai fastidioso. La notizia è dell'altro giorno, ma il figlio Matteo, intento a consultare la sibilla cumana di Facebook, se l'è persa. «Se mio padre è colpevole, per lui pena doppia», disse il Rottamatore il 3 marzo del 2017. E nel suo imperdibile libro Avanti aggiunse: «Conosco mio padre e conosco la sua onestà, alla storia dello stipendio in nero da 30.000 euro non crederebbe nemmeno un bambino». Ma la più bella difesa fu questa: «Se tuo padre bluffa lo senti». Forse Matteo si era un attimo sopravvalutato, anche come sensitivo.
Elsa Fornero (Ansa)
Bisogna avvertire i giovani italiani: guardatevi dalle previsioni di questa signora. È Elsa Fornero, che ha una specie di ossessione per Matteo Salvini - le rimprovera una riforma delle pensioni tanto austera quanto inefficace - ma assi considerata da Mario Monti. Fu ministro del Lavoro in quel governo che tra 2011 e 2013 ha segnato tutti i record negativi degli ultimi trenta anni. È rimasta nell’immaginario di molti perché, mentre di fatto aboliva le pensioni, si è commossa. Sottofondo musicale: il coccodrillo come fa, pensando alle lacrime. La pensionata Elsa Fornero, già docente d’economia in quel di Torino, benissimo introdotta nei salotti pingui della «rive gauche» del Po, è il grillo parlante de La 7. Tutti i talk della Cairo production - portafoglio a destra e audience a sinistra - la venerano come l’oracolo di Delfi.
Ma anche alla Stampa non scherzano. Ieri le hanno offerto una pagina intera per dire: «Serve un piano che salvi il nostro Paese dal declino, la situazione è drammatica: c’è un grande paradosso perché, se i giovani sono meno, dovremmo investire su di loro perché si occuperanno degli anziani». E come si fa a investire su questi giovani che lei, con la sua riforma che ha alzato l’età pensionabile, ha lasciato per strada? Nell’unico modo che Elsa Fornero conosce: tartassare gli italiani. Nel foglio torinese dismesso da John Elkann remunerato sulla via del Partenone, si esercitano pensose signore dei numeri che mai se la pigliano però col padrone di Stellantis. Giorni fa la professoressa Veronica De Romanis, coniugata Bini Smaghi cioè Société générale e soprannominata madame Mes, ha sostenuto che l’Ue è meglio degli Usa, fornendo un profluvio di cifre. Se n’è scodata una: il Pil degli americani è 75.000 dollari pro capite a parità di potere di acquisto, quello degli europei è 38.000 dollari. Vedete un po’ voi.
Ma anche Elsa Fornero con i numeri s’impappina. In presa diretta, nostra signora della previdenza sgrana un rosario di nefandezze imputabili al centrodestra: i giovani hanno lavoro precario e malpagato, c’è un abbandono scolastico intollerabile (anche perché paghiamo poco gli insegnanti) e per occuparsi davvero del Paese serve una sorta di Pnrr dedicato ai giovani, per spingere la natalità, con una classe politica che non guardi all’oggi, ma sia proiettata nel medio termine. L’intervistatrice Sara Tirrito, adorante, osa domandarle: ma come si fa? Ecco dal campionario di Elsa delle lacrime e sangue uscire le tasse: 3,1 miliardi si trovano con nuove imposte sugli affitti, 3,5 miliardi di maggiori entrate vengono trasformando la flat tax per i giovani che svolgono lavoro autonomo in tassazione progressiva, altri miliardi vengono rimodulando (al rialzo) l’Iva sugli acquisti on-line. E poi tassa di successione per finanziare un piano scuola, per consentire ai giovani di trovare lavoro non precario e ben pagato.
La professoressa non si accorge delle sue contraddizioni. Dice: i giovani devono badare agli anziani che, però, devono pagare in anticipo la tassa di successione; i ragazzi vanno impiegati in lavori ad alta qualificazione così non emigrano, ma lei vuole stangarli subito con l’imposta progressiva togliendo la flat tax. Aggiunge che che devono farsi una vita autonoma, ma con le tasse sugli affitti manda le locazioni fuori mercato. Però se queste contraddizioni si sciorinano sospirando o quasi piangendo - «aiutiamoli quando sono giovani ad avere una vita degna di questo nome» - fa tutto un altro effetto. Perdonerà la professoressa Elsa Fornero, ma tornano in mente alcuni dati. La pressione fiscale con il governo Monti ha toccato in Italia il record assoluto arrivando al 45,1% del Pil in media grazie all’introduzione dell’Imu prima casa, alla Tobin tax che, però, il governo Meloni ritocca inspiegabilmente al rialzo, al quasi raddoppio dell’imposta sulle transazioni finanziare e all’aumento di tutte le addizionali Irpef.
Come ricompensa agli italiani, Mario Monti aveva offerto il record di aumento del debito pubblico, arrivato a 2.040 miliardi, a botte di 7,5 miliardi al mese: tra il 2011 e il 2012 si sono accumulati 129 miliardi di passivo aggiuntivo. Pensando ai giovani, con Elsa Fornero ministro del Lavoro il tasso di disoccupazione dei 15-24enni è salito dal 27,4% al 33,9%, con un picco del 48% per le giovani donne del Mezzogiorno. Il tasso di disoccupazione complessiva, con un Pil crollato del 2,6%, col governo Monti è cresciuto del 40%, cioè di oltre 750.000 unità. Sono credenziali perfette per dare buoni consigli.
Giusto per memoria visto che siamo al disastro: col governo di Giorgia Meloni lo spread - dato di ieri - è a 68 punti base (meglio della Francia, ma non ditelo alla De Romanis) e ai minimi da 2008, il rating dell’Italia è stato alzato in positivo dopo un quarto di secolo, il tasso di occupazione a novembre è del 62,7% con 75.000 occupati in più ed è il record. Gli stipendi nel 2024 e nei primi nove mesi del 2025 sono cresciuti più dell’inflazione (3,5% di media contro 1,8% di aumento del costo della vita). Meglio questi tassi delle tasse, non trova? Ma non si preoccupi, Fornero: qualcuno che l’ascolta se evoca il disastro lo trova. Di solito sta in fondo a sinistra.
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Riduci
Ansa
Nel centro di Milano il mattone vale oro. Tra Brera, via Anfiteatro e via della Zecca le quotazioni superano stabilmente i 15.000 euro al metro quadro. Nei casi più ambiti, per nuove costruzioni o interventi di pregio, si arriva a 20.000 euro. È qui che si concentrano gli affari immobiliari più redditizi della città. Ed è qui che, secondo la Procura, per anni ha preso forma un meccanismo parallelo capace di orientare pratiche e interpretazioni urbanistiche.
Il sequestro di via Anfiteatro va letto in questa chiave, non come un singolo abuso, ma come la spia di un sistema. Un circuito informale che avrebbe coinvolto dirigenti comunali, funzionari, progettisti e organismi tecnici.
Un assetto che, scrive il gip Mattia Fiorentini, avrebbe consentito di aggirare le regole del centro storico senza modificarle apertamente.
Le carte descrivono una rete di relazioni consolidate. Al centro compare Giovanni Oggioni, storico dirigente dell’edilizia comunale, protagonista anche del passaggio dal vecchio Prg al Pgt tra il 2010 e il 2012. Attorno a lui si muovono Marco Emilio Maria Cerri, progettista di riferimento per grandi operazioni immobiliari, Andrea Viaroli, funzionario del Sue, e Carla Barone, dirigente dello stesso settore. Per il giudice non si tratta di coincidenze. Ma dell’esistenza di un ufficio parallelo, capace di incidere sugli iter amministrativi.
Lo snodo è la determina dirigenziale 65 del 2018, adottata durante la giunta Sala. Un atto tecnico, mai discusso in Giunta o in Consiglio, ma centrale. Secondo il decreto di sequestro, quella determina consente di sostituire il piano attuativo con una semplice Scia anche nel centro storico. Un passaggio che riduce i controlli e accorcia i tempi. Proprio nelle aree dove le tutele dovrebbero essere massime.
Il piano attuativo non è una formalità. Serve a valutare l’impatto complessivo degli interventi: volumi, altezze, distanze, standard, servizi, carico urbanistico. Evitarlo significa rendere più agevoli operazioni più grandi e più redditizie. Accade nelle zone B2 e B12, nate per il recupero dell’esistente e la tutela del tessuto storico, non per l’aumento delle volumetrie.
Tra i documenti interni e riservati conservati da Oggioni compaiono anche materiali relativi alla torre di via Stresa, un’altra operazione immobiliare riconducibile alla famiglia Rusconi, già coinvolta nel progetto di via Anfiteatro. Un collegamento che, per gli inquirenti, conferma la ricorrenza degli stessi operatori e delle stesse prassi.
Secondo il gip, parte di questi file sarebbe stata occultata. Dopo il 7 novembre 2024, quando Oggioni riceve la notifica del sequestro dei dispositivi elettronici, alcuni documenti vengono cancellati. Il decreto parla apertamente di depistaggio. Un passaggio che sposta il baricentro dell’indagine: non solo irregolarità urbanistiche, ma interferenze sul corretto svolgimento delle indagini.
Il perimetro non si ferma a via Anfiteatro. Le indagini toccano anche via Zecca Vecchia e in un’informativa compare anche per Largo Claudio Treves, sempre nel quartiere Brera. Qui il progetto promosso da Stella R.E., dopo l’acquisto dell’immobile comunale nel 2021, prevede un nuovo edificio residenziale di nove piani. L’operazione si inserisce in uno dei filoni centrali dell’indagine della Procura, quello sulla dismissione del patrimonio pubblico nel centro storico. Lo stesso immobile è stato ceduto dal Comune all’asta per una cifra che tocca i 50 milioni di euro. Nelle carte il progetto viene discusso anche da Giuseppe Marinoni e Giancarlo Tancredi: l’ex assessore spera non ci siano intoppi.
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