2025-11-07
Salari pubblici verso aumenti del 13% con i fondi del governo e senza la Cgil
Dopo i rinnovi da 140 euro lordi in media per 3,5 milioni di lavoratori della Pa, sono in partenza le trattative per il triennio 2025-27. Stanziate già le risorse: a inizio 2026 si può chiudere. Maurizio Landini è rimasto solo ad opporsi.Sta per finire quella che tra il serio e il faceto nelle stanze di Palazzo Vidoni, ministero della Pa, è stata definita come la settimana delle firme. Lunedì è toccato ai 430.000 dipendenti di Comuni, Regioni e Province che grazie al rinnovo del contratto di categoria vedranno le buste paga gonfiarsi con più di 150 euro lordi al mese. Mercoledì è stata la volta dei lavoratori della scuola, 1 milione e 260.000 lavoratori (850.000 sono docenti) che oltre agli aumenti di cui sopra porteranno a casa arretrati da 1.640 euro per gli insegnanti e 1.400 euro per il personale Ata (amministrativi tecnici e ausiliari). E il giorno prima, in questo caso l’accordo era stato già siglato qualche mese fa, la Uil aveva deciso di sottoscrivere un altro contratto, quello delle funzioni centrali (chi presta opera nei ministeri o nell’Agenzia delle Entrate), circa 180.000 persone, per avere poi la possibilità di sedersi al tavolo dell’integrativo.Cosa è successo? Cosa ha scatenato questa corsa a rinnovare intese che per mesi erano state osteggiate, basti ricordare il caso della sanità, settore che coinvolge 670.000 dipendenti, dall’inossidabile coppia Landini-Bombardieri (Cgil-Uil)? Semplice, la Uil si è sfilata. Sui motivi del divorzio, che Bombardieri aveva definito «pausa di riflessione», le ipotesi divergono. C’è chi parla di una delusione per le posizioni sempre più intransigenti di Landini e di un efficace pressing ai lati nel ministro Zangrillo (il titolare della Pa) e chi invece mette la centro del dietrofront un fortissimo malcontento della base. Ma poco importa. Ciò che conta è che l’inversione a U ha consentito al governo di mettere a frutto una parte dei circa 20 miliardi stanziati per i rinnovi dei contratti della Pubblica amministrazione. Quelli che riguardano la tornata già scaduta, il triennio 2022-2024. Che oggi sono stati completamente rinnovati e hanno portato nelle tasche dei circa 3 milioni e mezzo di dipendenti pubblici aumenti medi pari al 6%. A un certo punto era sembrato possibile che il governo tirasse dritto e decidesse di smobilizzare i fondi per riversarli su altre partite o al limite per imporre rinnovi per legge. Sarebbe stato un peccato perché i nuovi contratti portano dietro tutta una serie di misure accessorie, dalla possibilità di optare per la settimana da quattro giorni (comunque lavorando 36 ore) al diritto a maturare il buono pasto anche se operi da remoto, che in assenza delle firme delle parti sociali non avrebbero mai visto la luce.Ma soprattutto non sarebbe stato possibile iniziare subito a discutere il rinnovo del triennio successivo, quello 2025-2027. Perché la decisione della Uil, oltre a isolare la Cgil, spiana la strada alla prossima tornata che dovrebbe raddoppiare gli aumenti portandoli a toccare la forchetta del 12-14%.«Abbiamo così chiuso a tempo record», evidenziava nei giorni scorsi Paolo Zangrillo, «questa tornata contrattuale per tutti i comparti e cominciamo a lavorare per il ciclo 2025/27. Ciò significa, in termini salariali, che potremo riconoscere ai 3,4 milioni di dipendenti pubblici nel periodo 2022-27, incrementi che oscillano tra il 12 e il 14%. Una risposta nei fatti al tema del recupero del potere d’acquisto. Escludendo Cgil, che continua a fare politica, di fatto isolandosi, abbiamo un fronte sindacale che riconosce il lavoro e l’impegno del Governo». E qui siamo al punto. In questo momento abbiamo un governo che ha già stanziato le risorse per i nuovi contratti. Un fronte sindacale che si è compattato verso il sì ai rinnovi grazie alla posizione da sempre dialogante e riformista della Cisl e alla inversione a U della Uil. E una Cgil isolata e felice. Perché stringi stringi a Landini interessa solo continuare a mantenere una posizione movimentista e barricadera a prescindere rispetto a tutte le decisioni del governo. Una posizione politica che snobba i quasi 300 euro lordi al mese in più che potrebbero nel giro di pochi mesi arrivare nelle tasche di 3,5 milioni di lavoratori. E minimizza anche la possibilità di sedersi al tavolo e contrattare l’integrativo che per gli statali equivale agli accordi di secondo livello del privato. Insomma, tanta roba.Messa così, la strada per una seconda tornata di rinnovi (quella 2025-2027) è in discesa. E secondo quanto risulta alla Verità ci sarebbe anche una sorta di mini-programma per le trattative. Si partirebbe tra qualche settimana - fine novembre o inizio dicembre - con il tavolo dei ministeriali (le funzioni centrali), quindi ai primi del 2026 sarebbe la volta della sanità e a stretto giro toccherebbe di nuovo a scuola ed enti locali (dipendenti di Regioni, Comuni e Province). Incrementi dei salari del 12-14% in pochi mesi che se escludiamo il balzo dei prezzi nel periodo post Covid vorrebbero dire un sostanziale recupero del potere d’acquisto degli italiani. Come non si vedeva da anni. Ma questo è meglio non dirlo alla Cgil.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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