Un’Europa che torni protagonista in Africa. È l’obiettivo del Piano Mattei, voluto dal presidente del consiglio Giorgia Meloni e discusso per la prima volta a Bruxelles in un convegno «Piano Mattei e Global Gateway» organizzato dal capodelegazione di Fratelli d’Italia Carlo Fidanza. Con lui anche Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo e i commissari Dubravka Šuica, con delega per il Mediterraneo, e Josef Šikela, commissario Ue alle Partnership internazionali. Il convegno è stato arricchito dai preziosi interventi di Meloni e del sottosegretario alla presidenza del consiglio Alfredo Mantovano. Per l’esecutivo, presente anche il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida.
«Oggi il Piano Mattei non è più un’idea, ma è una realtà operativa che sta producendo risultati concreti», commenta il presidente del consiglio dopo i saluti di rito. «Voglio ricordare tre numeri su tutti: il coinvolgimento diretto di ormai 14 nazioni africane, oltre 1 miliardo di euro di risorse già impegnate dall’Italia per progetti nel continente africano, la sinergia con il Global Gateway che vale più di 1,2 miliardi di euro». Meloni è convinta che investire nel futuro dell’Africa significhi investire nel futuro dell’Europa stessa. «Lo stiamo facendo attraverso un metodo che è diventato un punto di riferimento a livello europeo, come dimostra anche la presentazione di poche settimane fa a Bruxelles del Global Gateway Hub, la piattaforma permanente che coordinerà i progetti e gli investimenti europei nel continente africano».
Per Metsola: «la vera cooperazione si fonda sulla comprensione reciproca e sulla crescita condivisa. È proprio questo il messaggio che il Piano Mattei incarna: un’Europa moderna, fiduciosa e consapevole, che sceglie di collaborare con i propri vicini. In questo quadro, il Parlamento europeo svolge un ruolo essenziale. Solo per citare un esempio, tra pochi giorni, un gruppo di parlamentari europei incontrerà i membri del Parlamento panafricano per preparare il vertice Ue-Unione africana, che si terrà in Angola alla fine del mese. Allo stesso tempo, l’Unione europea sta mobilitando miliardi di euro di investimenti per l’Africa. Allineando gli sforzi italiani a queste più ampie iniziative europee, il nostro impatto può essere ancora maggiore». Infine, chiosa: «Desidero ringraziare il presidente del consiglio, Giorgia Meloni, per la sua leadership e per aver dimostrato che questa nuova spinta può partire dal Sud. In Europa abbiamo gli strumenti. Abbiamo la volontà politica. E abbiamo le imprese pronte a partecipare».
«Il Piano Mattei è una grande intuizione e visione italiana, consolidata con l’inizio del governo Meloni, che ha dato una nuova prospettiva alla proiezione geopolitica della nostra nazione, in correlazione con il Global Gateway lanciato dall’Unione europea. La sinergia tra questi due progetti è sempre più stretta», così Fidanza, che del convegno è il promotore con Ecr per cui ha partecipato anche Nicola Procaccini, copresidente del gruppo.
Nel suo intervento Mantovano ha precisato: «All’inizio del 2025 abbiamo impresso al Piano Mattei un ulteriore salto di qualità, attraverso una più strutturata integrazione con la strategia europea del Global Gateway. È una scelta che consentirà di disporre di maggiori risorse. La determinazione nel procedere in questa direzione è emersa fin dal vertice che si è tenuto a Roma lo scorso 20 giugno, copresieduto da Giorgia Meloni e da Ursula von der Leyen, che ha formalizzato questo cambio di passo». Poi ha aggiunto: «Il progetto congiunto di Bonifiche Ferraresi e del Fondo nazionale per gli investimenti algerino, di oltre 400 milioni di euro, sta rendendo progressivamente coltivabile un’area, prima desertica, di 36.000 ettari», che tradotto produrrà circa «45.000 tonnellate annue di cereali e legumi, che beneficeranno circa 600.000 persone». Inoltre, «6.000 lavoratori locali impiegati, di cui 1.500 a tempo indeterminato». Risultati concreti, insomma, che fanno ben sperare per il futuro, considerato che sono molti i campi in cui bisogna recuperare terreno in Africa. Non va dimenticato, infatti, quanto Cina e Russia abbiano visto da tempo l’Africa come un territorio in cui investire, in alcuni casi tuttavia per mero tornaconto. Basta considerare le miniere di terre rare controllate e gestite da Pechino.
L’Africa, però, ha altre potenzialità ancora inespresse. «Ci sono molte fonti energetiche, come sole e idrogeno verde» utili per «liberarci dei combustibili fossili dalla Russia. Forse non sarà una filosofia a breve termine, ma a medio o lungo termine», ha detto la commissaria Šuica. «Occupazione, competenze e opportunità crescano localmente, trasformando i corridoi di trasporto in corridoi di sviluppo. Questo è il metodo del Piano Mattei e del Global Gateway», il commento dell’altro commissario presente Šikela che ricorda: «La popolazione africana raddoppierà: 60 milioni di giovani entreranno nel mondo del lavoro nei prossimi cinque anni. Se troveranno opportunità, assisteremo a un boom economico; se invece non troveranno spazio, sarà un problema per tutti».
« È cresciuta la consapevolezza in Africa che l’Italia si rivolgeva a loro con lo spirito e la volontà di garantire crescita e rispetto reciproco» già in occasione dell’incontro del 20 giugno a Roma ha spiegato Lollobrigida, che poi ha considerato l’utilità del «il coinvolgimento di privati» che hanno «capacità, l’intuizione, il tempo, la dedizione di operare in collaborazione con i governi per sviluppare i loro legittimi interessi, sviluppare gli interessi dei popoli africani e in un quadro geopolitico quelli dell’Unione europea».
Chiusa l’intesa al Consiglio europeo dell’Ambiente, resta il tempo per i bilanci. Il dato oggettivo è che la lentezza della macchina burocratica europea non riesce in alcun modo a stare al passo con i competitor mondiali.
Chiarissimo il concetto espresso dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Vorrei chiarire il criterio ispiratore di questo tipo di politica, partendo dal presupposto che noi non siamo una grande potenza, e non abbiamo nemmeno la bacchetta magica per dire alla Ue cosa fare in termini di politica industriale. Ritengo, ad esempio, che sulla politica commerciale, se stiamo ad aspettare cosa accade nel globo, l’industria in Europa nel giro di cinque anni rischia di scomparire». L’intervento avviene in Aula, il contesto è la manovra di bilancio, ma il senso è chiaro. Le piccole conquiste ottenute nell’accordo sul clima non sono sufficienti e nei due anni che bisogna aspettare per la nuova revisione può succedere di tutto.
«La settimana prossima all’Ecofin avremo una grande discussione su una direttiva sulla tassazione dell’energia. Quella impostazione ucciderebbe radicalmente l’industria italiana aumentando la tassazione sul gas naturale, che è la fonte principale su cui lavoriamo», aggiunge il capo del Mef. «L’Italia farà la guerra a questa impostazione se non verranno offerti i necessari margini di flessibilità, perché non sappiamo come sarà il mondo tre cinque o dieci anni. Bisogna prendere atto che il mondo è cambiato». Certamente lo hanno compreso le imprese, lo dice a gran voce il presidente di Confindustria Emanuele Orsini: «Quando noi abbiamo la possibilità di comprare il 5% dei crediti al di fuori dei nostri continenti per regole che ci siamo imposti noi europei, dove nessun altro continente ha le nostre regole, vuol dire che stiamo regalando i soldi degli europei ad altri continenti. Non siamo soddisfatti per niente, il vero tema è che serve la neutralità tecnologica e dobbiamo metterla al centro. Benissimo l’obiettivo del clima, ma serve farlo con tutte le tecnologie che noi possiamo avere a disposizione. Oggi noi acquistiamo materie critiche rare che non abbiamo nel nostro continente da altri continenti che di clima non se ne interessano, e quindi noi abbiamo bisogno di mettere al centro le esigenze dell’industria perché senza l’industria, voglio essere chiaro, in Francia, Germania, Italia non c’è la tenuta del welfare». Per questo Confindustria, la francese Medef e la tedesca Bdi rivolgono «un appello urgente agli Stati membri affinché agiscano tempestivamente». Nella riunione annuale della trilaterale delle associazioni dei tre Paesi che, come ricorda il vicepresidente transalpino Fabrice Le Saché, «insieme valgono il 60% del Pil», la convergenza diventa fondamentale: «Un’Europa che non fa è un’Europa che non serve, e lo dico da europeista convinto», attacca il presidente di viale dell’Astronomia. «Noi oggi abbiamo bisogno di azioni, il vero problema è che i tempi dell’industria non sono sincroni con i tempi dell’Europa e il rischio di una deindustrializzazione europea per la competitività di altri continenti come la Cina e gli Stati Uniti è molto forte. Abbiamo bisogno di azioni vere, forti e subito». Poi, interrogato a margine dell’incontro con la segretaria del Pd Elly Schlein, afferma: «Se c’è intesa? Noi abbiamo portato le istanze, poi anche il Pd dovrà parlare con i propri alleati». In Europa, socialisti, Verdi e the Left però sono fortemente pro politiche green, difficile quindi si possa trovare sintonia.
«Il rischio» ribadisce «è di fermare le nostre imprese per l’aggravio delle burocrazie» europee. «Dobbiamo fare presto ed è quello che abbiamo chiesto».
In Germania, anche il cancelliere Friedrich Merz ha mostrato preoccupazione. «L’industria dell’acciaio europea ha bisogno di protezione nel contesto del commercio estero. Le imprese del settore affrontano una crisi esistenziale e noi ne condividiamo le inquietudini». Tuttavia, Berlino ha votato a favore dell’accordo. Così come l’Italia. Infatti, all’interno dell’esecutivo sono stati registrati umori diversi.
«Siamo finalmente nella fase decisiva. Il ruolo significativo e importante da protagonista dell’Italia ha consentito di realizzare modifiche importanti e significative nel patto clima con l’introduzione del concetto fondamentale della neutralità tecnologica, della flessibilità e quindi della revisione biennale e il riconoscimento finalmente pieno del biocarburante», il commento del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Per il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, «la partita era estremamente difficile anche perché un discorso è l’obiettivo al 90%, un altro è come raggiungerlo, e naturalmente in quella sede io difendevo gli interessi nazionali. C’è stato tutto un percorso per raggiungere l’intesa che ha visto l’Italia riunire i dieci Paesi che avevano un doppio interesse».
L’unico dato positivo è questo: per la prima volta l’Italia ha fatto da capofila in un blocco minoritario formato da dieci Paesi - Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria, Romania, Grecia, Belgio (l’Austria si è sfilata all’ultimo) - che è riuscito almeno in parte a far rivedere l’accordo sul clima. Tra le concessioni, anche se non c’è nulla di formale, si prevede che nella proposta di revisione dei target CO2 al 2035 per le auto verrà inserita la possibilità di avere motori alimentati con i biocarburanti, anche quelli prodotti in Italia che in un primo momento sembravano essere esclusi.
Vengono i brividi a ripensare alla stagione dei droni che volavano sulle spiagge per stanare runner solitari durante il lockdown. In quei mesi non si poteva uscire di casa dopo una certa ora, non ci poteva allontanare dalla propria abitazione. In alcune regioni la mascherina era obbligatoria anche all’aperto e distanziati.
I retaggi di quella stagione però, nonostante gli sforzi del governo, ancora tornano a galla. È successo a una donna di Rimini, 50 anni, Giulia il nome di fantasia attribuitole dal Corriere Romagna, che ha riportato la notizia della notifica di una multa recapitatale dopo cinque anni per aver fatto una passeggiata violando le misure restrittive.
Era un giorno di aprile del 2021 quando Giulia, colpita da un grave lutto e attanagliata dalla depressione, decide di uscire per andare a fare una spesa. Una pattuglia della Polizia locale la ferma per un controllo in un momento in cui era completamente isolata. La donna sceglie di dire la verità e riferisce di essere diretta al supermercato più vicino, ma arrivata sul posto ha notato la fila e ha preferito aspettare a poca distanza per evitare l’assembramento. Si trovava vicino al lungomare, il cui passaggio era vietato da un’ordinanza regionale per motivi sanitari. Gli agenti, nonostante le spiegazioni, si mostrano inflessibili e la sanzionano con una multa di circa 400 euro.
«Mi ero allungata sul lungomare deserto solo per respirare un po’. Ero reduce da un lutto. All’improvviso arriva la pattuglia dei vigili, si ferma e mi chiede che faccio lì. Non sapevo che rispondere, ero basita che perdessero del tempo con me. C’eravamo solo io, gli agenti e gli uccelli che cinguettavano», riferisce Giulia, che poi decide di fare ricorso al prefetto. Nel documento di cinque pagine in sostanza conferma la sua versione, ma una volta presentato il ricorso per anni non riceve né notifiche né informazioni di alcun genere. Fino ad ora, quando, dimenticata la disavventura, le viene consegnata la notifica della sanzione amministrativa, proprio a pochi giorni dalla prescrizione. Il Corriere Romagna riporta che la donna non sarebbe la sola ad aver ricevuto la richiesta di pagamento. «Da quanto appreso da alcuni miei colleghi», spiega a il suo avvocato Igor Bassi, «credo che le sanzioni in arrivo siano diverse».
La storia è assurda già di per sé, ma diventa inaccettabile se si considera che il governo ha emanato un decreto in cui sostanzialmente decideva di rottamare le multe fatte a chi scelse di non fare i vaccini obbligatori. Il legale la definisce una «disparità di trattamento» spiegando anche: «Non voglio fare valutazioni politiche sulle scelte passate del governo, ma sottolineo che se le sanzioni ai cosiddetti “no vax” sono state “rottamate” per decreto, quelle a chi ha violato le norme sul distanziamento durante la pandemia non sono invece mai state cancellate. A questo punto la questione più che giuridica mi sembra di opportunità. Anche perché bisognerebbe fare una valutazione sulla diversa gravità dei due comportamenti. La mia stessa cliente mi ha detto: “Ho sempre pre assolto tutti gli obblighi vaccinali, mentre chi non lo ha fatto ha visto abbonarsi la multa. E alla fine, per una camminata un po’ più lunga, devo pagare 400 euro”».
Multa che la donna alla fine pagherà: «Se pagherò? Sì lo farò, ma certo con un bel po’ di stizza». D’altronde, decidere di ricorrere al Tas le costerebbe una cifra più alta dell’importo della sanzione stessa, anche in caso di vittoria.
Probabilmente questo incredibile meccanismo burocratico amministrativo nasce dall’esigenza di far cassa in un momento in cui i Comuni soffrono la povertà di fondi per finanziare la spesa. Non solo Rimini. Secondo quanto pubblicato dal Codacons proprio due giorni fa, ammonta a quasi 650 milioni di euro l’incasso totale del 2024 delle 20 principali città italiane. I dati riguardano le multe stradali, ma il principio è lo stesso. Le multe servono a far cassa e capita che si facciano forzando l’interpretazione della legge. Il dato del 2024 - spiega l’associazione di difesa dei consumatori - è in aumento dell’11,3% rispetto al 2023.
La mancanza di soldi non giustifica l’iniquità di quanto accaduto alla signora e di quanto, come sembra, stia accadendo anche ad altri.
Questa storia conferma come gli errori di quegli anni ancora pesino sulla società tutta. Oltre alle sanzioni dovute alle misure restrittive c’è anche tanto di più. Basta leggere i dati appena pubblicati sul Sole 24 ore sui casi psichiatrici in crescita tra i giovani, così come l’aumento di accessi al pronto soccorso per casi di autolesionismo, tentato suicidio, disturbi alimentari. E, infine, il crescente incremento di ogni tipo di dipendenza.
Su alcuni drammi sarà difficile e ci vorrà tempo per invertire la rotta. Altre cose sono più semplici da risolvere. Al governo basterebbe fare una sanatoria simile a quella già fatta per i non vaccinati per sbrigare questa questione delle multe per il distanziamento. Con buona pace di chi gioiva per le sanzioni dei vicini, mettendo fine per sempre ad una stagione che ha diviso l’Italia in buoni e cattivi, virtuosi e peccatori, santi e dannati. Una stagione che nel governo Conte ha visto l’apice della sua follia e per la quale probabilmente alla fine non pagherà nessuno.
Si chiede che almeno non paghi la signora Giulia e chi come lei ha fatto tutto quello che doveva fare in buona fede ed è stata punita, senza un vero motivo. Sull’altare del «ce lo dice la scienza» che puntualmente, come è giusto che sia, alla fine si è smentita da sola.





