2020-07-01
«I nostri immigrati lavorano in nero, lo Stato li coccola e noi risparmiamo»
Le intercettazioni svelano il sistema Bergamo. Gli operatori: «Secondo la legge dovrebbero uscire dal centro, se lo scopre la prefettura ci fa a pezzi. Anche se così stanno più calmi e possiamo tagliare le ore di italiano» È un vero peccato che la gran parte dei media italiani abbia deciso di ignorare l'inchiesta bergamasca sulla gestione dell'immigrazione. Perché da quelle migliaia di pagine di carte emerge un quadro molto preciso del funzionamento del sistema di accoglienza italiano. Un sistema che i decreti Sicurezza (e in certa misura anche l'azione dell'ex ministro del Pd, Marco Minniti) hanno cercato di regolare, ponendo fine a sprechi indegni e sfruttamento. Ora che il governo intende cancellare o comunque modificare radicalmente i decreti salviniani, riflettere sul funzionamento della grande mangiatoia migratoria potrebbe essere estremamente istruttivo. A Bergamo, ad esempio, accadeva che tantissimi migranti ospitati - a spese della collettività - nei vari Centri di accoglienza straordinaria (Cas) fossero in realtà impiegati presso aziende della zona. Lavoravano, percepivano uno stipendio, ma restavano comunque mantenuti nei centri. Molti di loro, per altro, operavano in nero. Si verificava dunque una doppia beffa: da un lato venivano spesi soldi della collettività per accogliere persone che non ne avevano diritto; dall'altro si consentiva a caporali e sfruttatori di fare affari. La legge prevede che «se il migrante/richiedente asilo svolge regolare attività lavorativa e risulta autonomo nei suoi mezzi di sostentamento, egli va obbligatoriamente escluso dalle dinamiche di accoglienza». Eppure a Bergamo questo non succedeva. I responsabili delle varie cooperative lo sapevano benissimo, ma continuavano a comportarsi come se niente fosse. Il 5 luglio del 2018, il presidente della cooperativa Ruah, Bruno Goisis (indagato), parlando al telefono con Enrico Pietroboni (responsabile del Cas di Treviglio), sull'argomento era molto esplicito. Goisis: «Ma questi qua lavorano tutti? Io ho letto anche sul messaggino che hai mandato, sabato e domenica lavorano tutti!». Pietroboni: «Eh, lavorano in tanti e sì, sì, adesso si stanno muovendo quasi tutti tra bianco e nero stanno lavorando… lavorano in tanti ormai i nostri eh, lavorano nel senso che… fai conto che alla Geromina (Cas di Geronima, Frazione di Treviglio, ndr) 4 su 5, ce ne ho solo uno che non lavora». [...] Goisis: «Che lavori fanno?». Pietroboni: «Allora ne abbiamo due che lavorano ad esempio a Badalasco da un agricoltore, tre...». Goisis: « In nero?». Pietroboni: «No… uno con contratto e uno me lo sta provando e probabilmente gli farà un tirocinio se va avanti cosi, un tirocinio lavorativo».Goisis: «Quanto, quanto pag... quanto gli... quanto prendono?» Pietroboni: « Eh allora questi qui sono... nel senso che con questo qui di Badalasco lui mi ha detto che dovrebbe arrivare… praticamente gli fa diciamo con la busta sui 500/600 euro al mese e poi se lavora bene, bene, bene, tutto il resto glielo da fuori, ok? Perché se no non ci sta dentro con le robe del, del...». Goisis: «Però uno così, uno così dovrebbe uscire dalla struttura eh?». Pietroboni: «Pota ma non hanno...». Goisis: «...1.000 euro». Pietroboni: «Pota ho capito Bruno ma non hanno ancora finito... cioè questi qui sono in ricorso e stiamo aspettando gli esiti dei ricorsi». Goisis: «Sì, sì, ma se questo qua viene a saperlo la prefettura mi fa un culo della Madonna, vabbè». Come si vede, gli operatori sanno tutto. Dicono di conoscere «chi lavora in bianco, in nero e in giallo». Goisis, a un certo punto, si lascia persino sfuggire un ragionamento di buon senso: «Non è giusto perché comunque loro oltre a guadagnare, non spendono un centesimo perché sono mantenuti dallo Stato, questo è il ragionamento che ha sempre fatto la prefettura e ci sta». Ma anche se «il ragionamento ci sta», le coop continuano a ospitare chi non dovrebbe, e ovviamente a percepire i soldi. Molti stranieri, dicevamo, lavorano in modo irregolare anche se poi tornano a dormire nel Cas. Goisis: «E l'altra cosa è che essendo molti in nero... al Gleno (altro centro accoglienza, ndr) ce ne sono un centinaio che lavorano eh!». Pietroboni: «Non ho capito». Goisis: «Al Gleno ce ne sono un centinaio che lavorano». [...]Pietroboni: «Sì, sì... no, no, poi sì sai poi tanti lavoricchiano... cioè lavoricchiano in nero anche se devo dirti che abbiamo comunque una buona percentuale che sono stati fortunati e li hanno trovati regolari no, poi ce ne ho molti... cioè fai conto...». Goisis: «Che tipo di lavoro fanno?». Pietroboni: «Allora la maggior parte sono tutti raccoglitori agricoli, ok? Poi ce ne ho... poi c'ho uno che fa il lavapiatti a Milano, uno che è riuscito a fare il meccanico che non ho ancora capito dove perché non me l'ha detto e altri che sono nel...». Goisis: «Questo qua in nero? (riferito al meccanico, ndr)». Pietroboni: «Sì, sì, sì, in nero, in nero, in nero. Uno che riempie i soliti container lì a Zingonia, uno che è stato assunto come... come badante dal suo... scusa come colf dal suo allenatore di pallone per farlo lavorare un attimo, eh... vabbè...». Il fatto che gli stranieri lavorino, anche se in nero, per i gestori delle coop è una cosa positiva. Significa meno rogne. Goisis: «Perché il Gleno, averne 300 tutto il giorno lì che non fanno niente e averne soltanto... soltanto... averne 200 fa la differenza; il fatto che uno debba pensare ad andare a lavorare, non gli permette di pensare al biscotto che non gli piace [...]. Oppure eh... oppure a tante altre menate. Poi di notte va a letto a dormire, punto». Pietroboni: «Stanco morto tra l'altro, perché arrivano sderenati». Goisis: «La positività è questa».Ma c'è anche un altro aspetto. Se i migranti sono fuori a lavorare, si può risparmiare sulle attività educative. In un'altra conversazione intercettata, Bruno Goisis parla con Daniela Testa, responsabile di un altro Cas, quello di Casazza. Costei racconta che alcuni degli stranieri ospitati nel suo centro hanno ricevuto una proposta di lavoro. Solo che c'è di mezzo un caporale, cioè uno sfruttatore del lavoro nero. La cosa, però, sembra non impensierire nessuno. Testa: «Abbiamo scoperto che c'è un caporale qui a Casazza, lo sapevamo già e stiamo facendo un incontro sul... perché io ho una una... una ventina di lavoratori agricoli a cui hanno proposto appunto questo contratto e oggi in questo incontro...». Goisis: «Ma in nero... o a contratto?». Testa: «Eh?». Goisis: «Col... col contratto...».Testa: «No... col contratto, però c'è sto caporale che viene a prenderli... viene a prenderli qui e si guadagna 5 euro sul... trasporto». Goisis: «Ma un caporale... un caporale... bianco?». Testa: «No, pakistano; è quello che già dal 2014 faceva fare ai pakistani il volantinaggio e…. [...] Adesso magari mi informo, ma... perché oggi cercavo di costruire un po' la fiducia anche per... tipo… “vi fanno il contratto portatecelo qua, fatecelo vedere, che vediamo un attimo com'è come non è" ma non... cioè gli ho detto... io capisco avete bisogno di fare questa cosa, noi non vi ostacoliamo in questa cosa, noi vi aiutiamo... e tutto quanto...». Goisis: «No ma... guarda anche se non si potrebbe [...] Anche se non... non sarebbe... cioè ha ragione Salvini ne quando si dice... in più che li manteniamo vanno anche a lavorare… però va bene lasciamo perdere». Testa: «No, no, no... certo, certo». Goisis: «Ma fondamentalmente se 20 escono, a me fa anche comodo! Nel senso che abbassi la tensione, che hanno qualcosa da fare, che non rompono le balle...».Chiaro, no? Ha ragione Salvini, dice il capo della coop, però a lui che qualcuno non «rompa le balle» va bene. E gli va ancora meglio il fatto che, se 20 immigrati vanno a lavorare, non ha bisogno di pagare corsi di lingua per tutti. «Non vanno a scuola di italiano... vuol dire che bisogna ridurre le ore di italiano, mi verrebbe da dire!», riflette Goisis. E già pensa a come tagliare: «Se ho un insegnante che ha in classe cinque ragazzi... anche no, facciamo una classe unica!». Ovvio: se i contribuenti pagano per ospitare chi lavora in nero, chi se ne importa. Ma se la coop può risparmiare sui servizi, allora bisogna subito provvedere.