2018-04-30
I lavoratori stranieri sostituiscono i nostri
Il tasso di occupati è risalito, tornando al livello di 10 anni fa, ma non è una bella notizia. Succede perché siamo uno dei Paesi dell'Ue dove c'è più manodopera straniera. Gli operai italiani sono sempre alle prese con la crisi: il rimpiazzo è già avvenuto.Per il mercato del lavoro italiano ci sono una buona e una cattiva notizia. La buona notizia è che la percentuale di occupati è di nuovo ai livelli del 2007. La cattiva notizia è che, a consentire al nostro Paese di recuperare i posti di lavoro falcidiati dalla peggiore crisi economica dal 1929, è quasi esclusivamente la manodopera straniera.Sono queste le amare conclusioni di uno studio condotto dal Centro studi Impresa Lavoro, un think tank che non può certo essere tacciato di simpatie populiste o xenofobe, visto che si autodefinisce «di ispirazione liberale».Come rileva l'ente fondato dall'imprenditore friulano Massimo Blasoni, negli ultimi 10 anni gli occupati stranieri, aumentati di 975.000 unità (da 1.447.422 a 2.422.864, +67,4%) hanno letteralmente rimpiazzato quelli italiani, diminuiti nel frattempo di 846.000 unità (da 21.446.994 a 20.600.095, -3,9%). Pertanto, è a cittadini provenienti dall'estero, specialmente dal di fuori dell'Unione europea, che si deve l'incremento del numero di lavoratori, i quali in realtà hanno superato di quasi 129.000 unità quelli attivi nel 2007. Un dato in controtendenza rispetto alla media europea e a quanto avviene in casa dei nostri principali concorrenti, cioè Germania, Paesi Bassi, Regno Unito, Irlanda, Francia e persino Portogallo e Spagna (il cui Pil, si è appreso la scorsa settimana, ha di poco superato quello italiano).Da noi, la percentuale di connazionali occupati è oggi del 59%. Ben diversa la situazione dell'Europa a 28 e dell'area euro: i tedeschi che lavorano sono oltre il 77%, gli olandesi più del 76%, i britannici il 74%, gli irlandesi il 67%, i francesi il 65%, i portoghesi il 67% e gli spagnoli il 61%. Ma se si passa a esaminare il dato degli occupati che vengono da Paesi al di fuori dell'Unione europea, si scopre che l'Italia viaggia ben al di sopra della media: il nostro 59,1% di stranieri occupati supera nettamente il 54,6% dell'Ue a 28 e il 53,5% dell'eurozona. Ancor più allarmante è che soltanto in altre quattro nazioni (Romania, Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia) il tasso di occupazione, come in Italia, è più alto tra i cittadini extraeuropei che tra i nativi. In parole povere, la sostituzione etnica, nel nostro mercato del lavoro, non è più derubricabile a ossessione cospirazionista: semplicemente, è già avvenuta. Secondo Blasoni, l'anomalia rispetto a ciò che avviene in Europa dipende almeno in parte dalla disponibilità degli stranieri «ad accettare occupazioni che ormai gli italiani si rifiutano di prendere in considerazione». Tuttavia, commenta il numero uno del Centro studi Impresa Lavoro, il nostro mercato del lavoro patisce pure «un disallineamento strutturale tra offerta formativa e fabbisogni occupazionali delle aziende. E i nostri giovani sono costretti a percorsi di studio che li portano ad entrare tardi e male nel mercato del lavoro, rimanendo inoccupati per lunghi periodi di tempo». Dunque, il vecchio adagio degli immigrati che svolgono le mansioni che gli italiani non vogliono più fare e che, come aveva argomentato Emma Bonino durante la sua agghiacciante campagna elettorale, raccolgono i pomodori che finiscono sulle nostre tavole (senza di loro, niente più spaghetti al sugo?), non spiega il terremoto occupazionale in atto nel Paese. C'è, piuttosto, il problema permanente dei giovani cui si richiedono titoli di studio per mestieri per i quali poi risultano ampiamente sovraqualificati e che, nell'attesa (spesso lunghissima) di un impiego adeguato alle loro competenze, rimangono senza lavoro. Un «disallineamento strutturale» cui certamente non si può pensare di ovviare chiedendo ai laureati di arare i campi, o continuando a importare immigrati. Stando alla ricerca di Impresa Lavoro, al contrario, «un ulteriore apporto di cittadini stranieri» potrebbe addirittura aggravare la situazione occupazionale dei nostri connazionali. Tali considerazioni dovrebbero spingere il prossimo governo, qualunque esso sia, ad assumersi seriamente l'impegno di invertire il catastrofico trend. Tanto più perché in questi giorni sono arrivati altri preoccupanti dati a restituirci la fotografia di un'Italia sull'orlo del collasso: le stime ufficiali parlano di 114.000 italiani che espatriano in cerca di lavoro (ma, come avevamo denunciato sulla Verità, potrebbero essere il quadruplo), mentre si scopre che nel 2018 lo Stato spenderà 5 miliardi per l'accoglienza degli immigrati, i quali - complice il meteo quasi estivo dei giorni scorsi - hanno ripreso a sbarcare massicciamente sulle nostre coste. Sommate l'esodo degli italiani e l'invasione degli immigrati: otterrete l'istantanea di una nazione che si appresta a scomparire.
Nucleare sì, nucleare no? Ne parliamo con Giovanni Brussato, ingegnere esperto di energia e materiali critici che ci spiega come il nucleare risolverebbe tutti i problemi dell'approvvigionamento energetico. Ma adesso serve la volontà politica per ripartire.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 18 settembre con Carlo Cambi