2024-05-23
«I fondi di Bruxelles solo se fai le riforme». L’Ursula II minaccia di cancellare gli Stati
Ursula Von der Leyen (Ansa)
Ursula Von der Leyen vuole allargare il modello Pnrr al bilancio Ue: altri 800 miliardi legati alle leggi sponsorizzate dall’Unione.La Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen lancia l’idea di subordinare la concessione di fondi europei alle «riforme». Il meccanismo dovrebbe riguardare i fondi del bilancio pluriennale dell’Unione europea dedicati alla Coesione e alla Politica agricola comune (Pac). In pratica, si tratterebbe di rendere stabile il meccanismo già sperimentato con il Recovery & resilience fund (Rrf), che a livello nazionale viene declinato con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Questo meccanismo impone che la concessione dei fondi straordinari (prestiti o sussidi) del programma Next Generation Eu (Ngeu) dall’Unione europea ai singoli Stati sia condizionata allo svolgimento di programmi specifici di investimento e di spesa.Parlando nel corso di un confronto tra quattro candidati alla guida della prossima Commissione, organizzato dall’Istituto Bruegel e dal Financial Times (vi ha partecipato anche il francese Sandro Gozi quale candidato di Renew), Von der Leyen ha detto che «incentivi» alla concessione di investimenti potrebbero rendere più competitiva l’Unione.Il bilancio pluriennale dell’Ue in vigore per il periodo 2021-2027 vale circa 1.210 miliardi di euro. Circa il 35% di questa cifra (426 miliardi) è destinata alle politiche di coesione, altri 385 miliardi (31% del bilancio) sono destinati alla politica agricola comune. Queste sono di gran lunga le voci maggiori nel bilancio Ue. In totale, più di 800 miliardi che, secondo Von der Leyen, potrebbero essere erogati solo a condizione che gli Stati destinatari dei fondi procedano alle famigerate riforme che tanto stanno a cuore a Bruxelles.A parte la complessa combinazione di formule che determinano l’allocazione dello stock iniziale di fondi ai singoli Stati (il già noto algoritmo, assurto a nuova e improvvisa gloria dopo il folcloristico racconto di Paolo Gentiloni a sconfessare l’esultanza di Giuseppe Conte sulla pioggia di miliardi da Bruxelles), per il prossimo Multiannual financial framework (Mff) dal 2028 al 2034 l’erogazione di fondi per realizzare progetti specifici potrebbe dunque avvenire subordinatamente alla realizzazione delle riforme.Sinora le uniche condizioni alla spesa dei fondi europei derivanti dal bilancio comune erano solo due: il rispetto del cosiddetto stato di diritto e il principio di non arrecare danno significativo all’ambiente.La Corte dei conti europea era intervenuta sul tema lo scorso anno, con un documento che comparava l’erogazione dei fondi di coesione secondo i criteri del bilancio con quella secondo i criteri del Rrf, cioè dei vari Pnrr nazionali. La Corte aveva rilevato che il Rrf è molto più efficace nel raggiungimento degli obiettivi e rapido negli effetti, anche se i costi per la gestione del Rrf sono superiori. La principale differenza tra fondi di coesione (e Pac) sta nel fatto che i fondi di coesione vengono erogati in forma di rimborso dei costi sostenuti dai singoli stati per attuare i programmi, mentre con il Rrf il singolo programma viene liquidato solo se l’obiettivo è stato raggiunto. Dunque, già lo stesso negoziato sugli obiettivi da raggiungere risulta viziato dalla logica centralista e burocratica di Bruxelles, che intende in questo modo imporre la propria agenda (quella che sarà) in maniera ancora più stringente. Il vincolo esterno si estenderebbe ulteriormente, dai parametri dei bilanci pubblici (debito e deficit rispetto al Pil) al modo con cui gli Stati spendono i propri soldi. Il Pnrr è già questo, ma si trattava almeno di un fatto straordinario e limitato nel tempo. Istituzionalizzare all’interno delle regole europee anche il vincolo dato dalle condizioni all’erogazione di fondi dal bilancio pluriennale significherebbe la definitiva sospensione delle democrazie nazionali, condannandoci a un Pnrr eterno. Per uno stato contributore netto come l’Italia (vale la pena ricordare che il nostro Paese ha dato a Bruxelles ogni anno più di quanto ha ricevuto indietro) il paradosso sarebbe ai limiti dell’assurdo. Le «proposte» che arrivano da Bruxelles non sono mai casuali e di sicuro nei corridoi di Palazzo Berlaymont c’è qualcuno che ci sta già lavorando. Lo scopo è quello di accentrare maggiormente la decisione non solo su quanto spendere, ma soprattutto per che cosa e in cambio di che cosa. Ancora meno spazio agli Stati per decidere come spendere i soldi del bilancio comune, dunque, un’altra sottrazione al livello nazionale delle scelte politiche, un altro colpo al concetto stesso di democrazia.Non basta, evidentemente, il nuovo Patto di stabilità, che costringerà i Paesi fuori dai parametri di deficit e debito a un settennato di lacrime e sangue per rientrare, a suon di tagli alla spesa pubblica e privatizzazioni per fare cassa. Bruxelles vuole avere in mano il volante e per farlo vuole controllare direttamente ogni centesimo.Soprattutto, quello che appare evidente ascoltando tutto l’intervento pubblico di Von der Leyen è che in questo modo la Commissione pensa di poter orientare meglio la spesa dirottandola soprattutto su difesa e armamenti, da una parte, e sussidi all’industria green dall’altra. Questo appare il nocciolo della questione, anche considerate le recenti uscite di Mario Draghi sul piano per la competitività. Una competitività che Bruxelles, a quanto pare, intende raggiungere non più soltanto stroncando il potere d’acquisto dei salari con le politiche di deflazione salariale, ma anche sussidiando il green, come fanno Cina e Usa, e favorendo il riarmo in chiave di deterrenza. Roba da basso impero.
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