
Sciolto il nodo vicepremier, l'accordo procede: Graziano Delrio parla senza remore del governo che verrà. Ma oggi segretario & C. assistono alla battaglia decisiva su Rousseau senza possibilità di intervento. Gianni Cuperlo: «Tocchiamo ferro e speriamo bene». Una giornata con la testa sott'acqua: fiato sospeso, attesa. Poi, in serata, una imprevista fumata bianca. Ed ecco i sorrisi, i videomessaggi incrociati, il primo via libera - di fatto - che arriva da parte del leader del Pd, Nicola Zingaretti, all'accordo. È un parto che si regge su una doppia rinuncia concordata dagli sherpa al tavolo della trattativa: nessuno dei due partiti-azionisti della maggioranza di governo avrà un suo vicepremier. Il Pd che fa il conto alla rovescia e incrocia le dita mentre aspetta di conoscere il responso di Rousseau. Un bel paradosso di questa alleanza: la più antica e pesante eredità del partito di massa del Novecento, viene ora affratellata ai destini della più post-moderna piattaforma digitale di democrazia diretta. Anche questo ci ha regalato la crisi più pazza del mondo. Ed è una giornata lunga. Zingaretti riunisce in tarda mattinata al Nazareno l'interacabina di regia Pd con il presidente del partito Paolo Gentiloni, i vicesegretari Andrea Orlando e Paola De Micheli, i capigruppo Andrea Marcucci e Graziano Delrio, le vicepresidenti Anna Ascani e Debora Serracchiani e il tesoriere Luigi Zanda. A parte Zanda, i primi due già sono virtualmente al governo, e le ultime due si giocano qualche speranza di andarci. Ma è una convocazione che si celebra in un set in cui non c'è pellicola per girare. In attesa del voto i nodi cruciali sono rimasti irrisolti. Ma, a sorpresa, la questione del vicepremier, su cui ci si è accapigliati per giorni, si risolve improvvisamente quando arriva il videomessaggio di rinuncia di Luigi Di Maio. E quella politica è risolta dal messaggio di Giuseppe Conte, di cui al Nazareno stavolta apprezzano anche il lessico: «Una nuova stagione riformatrice». Certo è che il Pd ha reso possibile questa retromarcia di Di Maio rinunciando all'incarico che gli sarebbe spettato se il capo politico del Movimento fosse rimasto a Palazzo Chigi. La giornata è intensa. Alle otto meno un quarto di sera Nicola Zingaretti scende in sala stampa e si limita a leggere un comunicato assolutamente anodino e composto di frasi standard sul «governo di svolta» e sui punti principali del nuovo programma di governo. Tuttavia mentre viene avvolto da una nuvola di microfoni Zingaretti sorride raggiante e - anche se spiega di non voler rispondere a nessuna domanda - si capisce che questa passerella è la risposta alla mano tesa di Di Maio. È la giornata più zuccherina, forse, dalla deflagrazione della crisi a oggi. Alle 20.30 parla il capogruppo Graziano Delrio e per la prima volta un dirigente del Pd parla come se il governo fosse già insediato: «Adesso daremo al Paese le risposte che sta aspettando». Poi accetta di parlare a lungo dei singoli temi all'inviata del tg dei La7, Alessandra Sardoni. Nella chat del portavoce del segretario Andrea Cappelli, ormai uno strumento cruciale per capire gli umori del gruppo dirigente più ristretto del Pd, una sorta di termometro che ne misura la temperatura in diretta, appaiono i grafici del sondaggio della Swg, con delle torte che paiono costruite per un rito propiziatorio. La due torte dell'istituto demoscopico fotografano gli umori della vigilia per i due popoli che celebrano l'accordo. A sorpresa, secondo Swg, una percentuale schiacciante di elettori democratici, addirittura il 69%, è favorevole all'alleanza con il Movimento. Mentre, tra gli elettori pentastellati le cose apparentemente sono più complicate: solo il 51% degli elettori si esprime positivamente sull'accordo, il 40% è contrari, il 10% invece è incerto. Come cambierà questa proporzione fotografata nell'opinione pubblica, passando al voto della piattaforma, che come noto coinvolge tutti gli attivisti di lungo corso, lo zoccolo duro del Movimento? Non è un dilemma da poco, e nel Pd non pochi temono la beffa. Tuttavia, fra coloro che ormai tengono contatti quotidiani con i dirigenti del Pd, il capogruppo Stefano Patuanelli ha speso parole rassicuranti con gli sherpa dem: l'intervento di Di Maio, che aveva fatto tanto arrabbiare il Pd ha permesso di recuperare molti scettici. Uno dei dirigenti più vicine ai Zingaretti, Gianni Cuperlo, commenta sorridendo questi scenari così: «Tocchiamo ferro e speriamo bene». E subito dopo: «Il gesto di Di Maio rende tutto più facile». L'ultima novità, e che nel clima di rarefazione e di attesa, anche la trattativa sui nomi dei ministri sembra sospesa. Almeno fino a domani. Ma quando arriva il primo sondaggio settimanale dell'anno del tg, con la Lega che secondo Swg perderebbe 4 punti e il Movimento che secondo l'istituto lì recupererebbe, al Nazareno si festeggia. Da oggi sembra che il M5s non sia più un nemico con cui trattare, ma un alleato da tutelare.
Ranieri Guerra (Imagoeconomica). Nel riquadro, Cristiana Salvi
Nelle carte di Zambon alla Procura gli scambi di opinioni tra i funzionari Cristiana Salvi e Ranieri Guerra: «Mitighiamo le critiche, Roma deve rifinanziare il nostro centro a Venezia e non vogliamo contrattacchi».
Un rapporto tecnico, destinato a spiegare al mondo come l’Italia aveva reagito alla pandemia da Covid 19, si è trasformato in un dossier da riscrivere per «mitigare le parti più problematiche». Le correzioni da apportare misurano la distanza tra ciò che l’Organizzazione mondiale della sanità dovrebbe essere e ciò che era diventata: un organismo che, di fronte a una crisi globale, ha scelto la prudenza diplomatica invece della verità. A leggere i documenti depositati alla Procura di Bergamo da Francesco Zambon, funzionario senior per le emergenze sanitarie dell’Ufficio regionale per l’Europa dell’Oms, il confine tra verità scientifica e volontà politica è stato superato.
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L’annuncio per un’abitazione a Roma. La padrona di casa: «Non dovete polemizzare».
La teoria di origine statunitense della «discriminazione positiva» ha almeno questo di buono: è chiara e limpida nei suoi intenti non egualitari, un po’ come le quote rosa o il bagno (solo) per trans. Ma se non si fa attenzione, ci vuole un attimo affinché la presunta e buonista «inclusione» si trasformi in una clava che esclude e mortifica qualcuno di «meno gradito».
Su Facebook, la piattaforma di Mark Zuckerberg che ha fatto dell’inclusività uno dei principali «valori della community», è appena apparso un post che rappresenta al meglio l’ipocrisia in salsa arcobaleno.
In Svizzera vengono tolti i «pissoir». L’obiettivo dei progressisti è quello di creare dei bagni gender free nelle scuole pubbliche. Nella provincia autonoma di Bolzano, pubblicato un vademecum inclusivo: non si potrà più dire cuoco, ma solamente chef.
La mozione non poteva che arrivare dai Verdi, sempre meno occupati a difendere l’ambiente (e quest’ultimo ringrazia) e sempre più impegnati in battaglie superflue. Sono stati loro a proporre al comune svizzero di Burgdorf, nel Canton Berna, di eliminare gli orinatoi dalle scuole. Per questioni igieniche, ovviamente, anche se i bidelli hanno spiegato che questo tipo di servizi richiede minor manutenzione e lavoro di pulizia. Ma anche perché giudicati troppo «maschilisti». Quella porcellana appesa al muro, con quei ragazzi a gambe aperte per i propri bisogni, faceva davvero rabbrividire la sinistra svizzera. Secondo la rappresentante dei Verdi, Vicky Müller, i bagni senza orinatoi sarebbero più puliti, anche se un’indagine (sì il Comune svizzero ha fatto anche questo) diceva il contrario.
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L’episodio è avvenuto a Lucca: la donna alla guida del bus è stata malmenata da baby ubriachi: «Temo la vendetta di quelle belve».
Città sempre più in balia delle bande di stranieri. È la cronaca delle ultime ore a confermare quello che ormai è sotto gli occhi di tutti: non sono solamente le grandi metropoli a dover fare i conti con l’ondata di insicurezza provocata da maranza e soci. Il terrore causato dalle bande di giovanissimi delinquenti di origine straniera ormai è di casa anche nei centri medio-piccoli.
Quanto accaduto a Lucca ne è un esempio: due minorenni di origine straniera hanno aggredito la conducente di un autobus di linea di Autolinee toscane. I due malviventi sono sì naturalizzati italiani ma in passato erano già diventati tristemente noti per essere stati fermati come autori di un accoltellamento sempre nella città toscana. Mica male come spottone per la politica di accoglienza sfrenata propagandata a destra e a manca da certa sinistra.






