L’hotel Viminale passa di mano.I Leonardi vendono alla società Mezzala 18
La struttura diventa proprietà dell’investitore libico Mino Kahlun
Il gruppo Leonardi, proprietario di sette strutture alberghiere a Roma, ha ceduto l’hotel Viminale alla Mezzala 18, società romana riconducibile a Mino Kahlun, un operatore nato a Tripoli. L’operazione è stata deliberata il 2 febbraio dall’assemblea di Villa Pinciana srl, facente capo per il 60% a Gualtiero Leonardi e per il 20% ciascuno alla moglie Maria Antonietta Vecchiarelli e alla figlia Sara.
La riunione degli azionisti della società che prende il nome da un albergo a cinque stelle in via Abruzzi 9, avvenuta con il notaio Ciro Francesco Maria Masselli di Roma, ha autorizzato Massimo Nobili, amministratore unico della società, a sottoscrivere il contratto di cessione del ramo d’azienda dell’hotel Viminale, sito nella capitale in via Cesare Balbo, comprendente l’attività ricettiva di 53 camere (di cui singole 13, doppie 28, triple 6, quadruple 6), sei dipendenti, con servizio di bar, analcolici, alcolici e superalcolici per i soli alloggiati. Villa Pinciana e Mezzala 18 rinviano a un separato contratto di locazione il destino dell’immobile. Dal contratto di cessione, di cui Verità & Affari è venuto in possesso risulta che il prezzo di cessione è di 400 mila euro, di cui 150.000 con assegni non trasferibili consegnati dall’acquirente al venditore . Gli altri 250.000, l’acquirente si obbliga a versare in 10 rate, infruttifere di interessi, ciascuna dell’importo di 25.000 euro, mediante bonifico bancario alle coordinate indicate dal gruppo Leonardi, con scadenza il 31 maggio 2022, il 31 ottobre 2022, il 31 maggio 2023, il 31 ottobre 2023, il 31 maggio 2024, il 31 ottobre 2024, il 31 maggio 2025, il 31 ottobre 2025, il 31 maggio 2026 e il 31 ottobre 2026.
A smobilizzo di detta somma, Mezzala 18 ha rilasciato 10 cambiali, regolari di bollo, degli importi e con le scadenze sopra indicate, effetti cambiari che vengono consegnati contestualmente alla sottoscrizione del contratto di cessione. Inoltre le parti convengono che, in caso di mancato pagamento da parte dall’acquirente anche di uno o di parte degli importi, Villa Pinciana invierà diffida ad adempiere con un termine di 15 giorni, decorsi i quali «il presente contratto si intenderà automaticamente risolto per inadempimento della società cessionaria, con espressa riserva di agire presso le competenti sedi per il risarcimento di tutti i danni subiti e subendi e con ulteriore aggravio di spese a carico della medesima società cedente». Del corrispettivo di 400.000 euro, 370.000 euro per avviamento e 30.000 mila per stigliatura e mobili.
Il ramo d’azienda è stato ceduto con esclusione dei crediti e dei debiti aziendali maturati alla data dell’1 febbraio 2022 che, di fatto, restano rispettivamente a favore ed a carico dei Leonardi, i quali saranno tenuti a provvedere al pagamento diretto ovvero a rifondere la società cessionaria per le somme che questa fosse eventualmente tenuta a pagare ai creditori del ramo d’azienda a condizione che tali eventuali somme siano state preventivamente notificate alla società cedente. Villa Pinciana sarà comunque responsabile per ogni eventuale pretesa dei dipendenti riconducibile al periodo anteriore al 2 febbraio e dovrà versare alla società cessionaria il Tfr ed ogni eventuale ulteriore spettanza maturata alla data dell’1 febbraio 2022 dai lavoratori del ramo d’azienda ceduto, tenuto conto delle somme già corrisposte ai medesimi lavoratori a titolo di anticipazioni. Il gruppo Leonardi ha in cabina di regia Gualtiero che è affiancato da Sara, 49 anni a luglio, definita dai suoi dipendenti (100 secondo i dati Inps), una zarina per il piglio molto forte. Dispone degli stessi poteri assoluti del padre esercitabili con firma disgiunta e anche di cospicua liquidità personale investita in buona parte in titoli di stato.
Ieri sera le forze speciali venezuelane hanno circondato l’ambasciata argentina di Caracas dove nelle settimane scorse hanno trovato rifugio sei dirigenti dell’opposizione. La tensione è apparsa subito altissima con l’immediato intervento del ministro della Sicurezza argentino Patricia Bullrich che ha accusato il Sebin, il servizio segreto venezuelano, di voler violare tutte le leggi internazionali entrando con la forza in una rappresentanza diplomatica.
A trent'anni dalla fine della missione Onu in Somalia una lapide per ricordare gli italiani caduti servendo la Patria.
Nel 1992 il Paese era straziato dalla fame, consumato da dieci anni di guerra civile. Le milizie di Mohammed Farah Aidid, signore della guerra che aveva rovesciato la lunga dittatura di Siad Barre, si scannavano con quelle fedeli ad Ali Mahdi; la miseria generata dalla carestia e dalla pestilenza aveva sfollato da Mogadiscio, la capitale, oltre un milione di persone.
Fu allora che l’Onu decise di avviare la più grande missione umanitaria della storia. Una missione a guida statunitense cui l’Italia non poté permettersi di mancare. La Somalia, infatti, dapprima colonia e protettorato poi, rappresentava per il nostro Paese una faccenda di prestigio internazionale. Sicché, il contingente italiano, il più grande dopo quello americano, aveva schierato i migliori reparti: carabinieri del Tuscania, lagunari del San Marco, paracadutisti della Folgore, incursori del Col Moschin, e, tra il settembre del 1993 ed il 1994, quando si sono chiuse le operazioni, gli uomini della brigata Legnano, guidati dal generale di brigata Carmine Fiore.
Le unità dell’esercito impiegate operarono in un settore profondo circa 360 chilometri e largo 150, tra Mogadiscio e il confine con l’Etiopia. Durante la missione, che nel contesto dell’operazione militare multinazionale «Restore Hope» prese il nome di Italfor-Ibis, morirono in tutto 14 connazionali, tra militari dell'esercito, un’infermiera volontaria della croce rossa italiana e due giornalisti.
È in ricordo di queste donne e di questi uomini che stamani, presso la caserma del 3° reggimento sostegno aviazione dell’esercito «Aquila» di Orio al Serio (Bergamo), che al tempo delle operazioni aveva fornito supporto agli elicotteri impiegati in Somalia, è stata scoperta la lapide alla loro memoria, per ricordare ancora, a distanza di trent’anni, quanti hanno sacrificato la vita per servire la Patria. «Porto nel cuore la memoria di tutti coloro che hanno perso la vita nel corso di quella missione, ringrazio con affetto i parenti dei caduti presenti a questa cerimonia e auspico che questa lapide sia un monito per tutti. Siamo stati in Somalia facendo il bene», ha riferito il generale Fiore, presente alla commemorazione.
Ecco i nomi dei caduti:
Giovanni Strambelli, paracadutista;
Andrea Millevoi, sottotenente;
Stefano Paolicchi, sergente maggiore;
Pasquale Baccaro, paracadutista;
Gionata Mancinelli, paracadutista;
Rossano Visioli, caporale paracadutista;
Giorgio Righetti, caporale paracadutista ;
Roberto Cuomo, sergente maggiore;
Vincenzo Li Causi, maresciallo;
Maria Cristina Lunetti, sorella C.R.I.;
Tommaso Carrozza, lancere;
Giulio Ruzzi, tenente;
Ilaria Alpi, giornalista;
Miran Hrovatin, fotoreporter.