2025-10-02
Hamas rilancia: «La Striscia a chi ci abita»
Il movimento jihadista prende altro tempo per una risposta definitiva al piano di Donald Trump, ma filtrano alcune controproposte Il gruppo sarebbe spaccato tra un’ala aperta al dialogo e una intransigente. Donald e Netanyahu discutono ancora di Iran.Hamas non ha ancora fornito una risposta definitiva al piano proposto da Donald Trump per Gaza. Secondo una fonte palestinese vicina alla leadership servono «due o tre giorni al massimo» per replicare. Ma il rinvio è apparso subito come un modo per guadagnare tempo, in attesa che la pressione internazionale e militare si rimoduli. I punti più controversi restano invariati: il disarmo delle milizie e l’espulsione dei funzionari del movimento dal territorio. Hamas rifiuta entrambe le clausole e chiede invece «garanzie internazionali» sul completo ritiro di Israele dalla Striscia di Gaza e che cessino le eliminazioni mirate, anche quelle all’estero. All’interno del gruppo emergono due correnti: una, pragmatica, disposta ad accettare l’accordo pur di ottenere subito un cessate il fuoco; l’altra, più rigida capitanata da Izz ad-Din Haddad capo militare nella Striscia, favorevole a un’approvazione solo condizionata, con modifiche che rispecchino le richieste dei «movimenti di resistenza» che sono per «l’amministrazione della Striscia di Gaza che avvenga attraverso un comitato palestinese e non internazionale», quindi tramite loro stessi. Mentre Hamas temporeggia, Israele avanza. Le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno annunciato di aver raggiunto il controllo del corridoio di Netzarim, tagliando in due la Striscia e isolando Gaza City dal Sud. L’ingresso in città da Sud è stato chiuso, mentre i civili possono ancora spostarsi verso le zone meridionali attraverso i checkpoint israeliani. «È l’ultima opportunità per i residenti di allontanarsi dai terroristi di Hamas», ha dichiarato il ministro della Difesa Israel Katz, precisando che chi resterà sarà considerato un combattente o un suo sostenitore. Sul piano internazionale, Washington rafforza la propria postura militare. Un gran numero di aerei cisterna dell’Usaf è stato trasferito in Medio Oriente, con arrivi anche nella base americana in Qatar, snodo centrale della logistica aerea. In parallelo, la portaerei Uss Gerald Ford è stata inviata verso la regione, segnale di una deterrenza crescente. Secondo fonti israeliane, nell’ultimo incontro tra Benjamin Netanyahu e Donald Trump si è discusso apertamente anche di un nuovo attacco all’Iran. Teheran avrebbe infatti avviato lavori di riparazione negli impianti per l’arricchimento dell’uranio e sarebbero stati individuati nuovi laboratori sotterranei. La possibilità di un’operazione preventiva resta dunque concreta. In parallelo, gli Stati Uniti hanno alzato la pressione anche sul fronte economico: secondo un sito web del Dipartimento del Tesoro, Washington ha emesso nuove sanzioni nei confronti dell’Iran, colpendo numerosi individui ed entità provenienti sia dall’Iran sia dalla Cina, con la designazione di non proliferazione.Il Regno Unito, intanto, ha ribadito il proprio impegno diplomatico. Il premier Keir Starmer ha assicurato che Londra sta «lavorando strettamente» con il Kuwait e con le altre monarchie del Golfo per «attuare il piano di pace per Gaza del presidente Trump». Nel corso di una conversazione con il principe ereditario sheikh Sabah Al Khaled Al Hamad Al Mubarak Al Sabah, Downing Street ha sottolineato che l’iniziativa americana va sostenuta con «forte senso di responsabilità» per «mettere fine alle ostilità» e aprire «un cammino di pace a lungo termine». Il principe del Kuwait ha lodato il riconoscimento formale all’Onu dello Stato palestinese da parte del governo Starmer, insieme a Paesi come Canada e Australia, definendolo un contributo essenziale a mantenere viva «la sostenibilità della soluzione dei due Stati». Nonostante il sostegno internazionale al piano, in Israele non mancano voci critiche. Martedì, in un lungo post sui social media, il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich ha definito un «clamoroso fallimento diplomatico» il piano guidato dagli Stati Uniti, pur senza arrivare a dire che il suo partito cercherà di affossarlo. Un commento isolato che si distingue dal coro di elogi, interni e internazionali, con cui il piano di Trump è stato accolto e che il presidente americano aveva presentato alla Casa Bianca insieme a Netanyahu. Nel frattempo Trump ha firmato un ordine esecutivo che garantisce al Qatar una protezione paragonabile all’articolo 5 della Nato: qualsiasi attacco contro l’emirato sarà considerato una minaccia alla sicurezza nazionale americana. Una mossa che blinda l’alleato chiave nei negoziati e nel dispiegamento militare. In questo quadro, il gruppo jihadista continua a invocare un cessate il fuoco immediato, senza però cedere sui propri «principi nazionali fondamentali». Tra rinvii, divisioni interne e richieste di garanzie, Hamas sembra soprattutto guadagnare tempo. Ma il tempo, mentre Israele avanza e gli Stati Uniti insieme agli alleati alzano la pressione diplomatica, economica e militare, rischia di diventare sempre più scarso.
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