2020-01-19
Haftar sgancia la bomba economica e chiude i rubinetti del petrolio libico
Alla vigilia della conferenza di Berlino il generale della Cirenaica, spalleggiato dai capi tribali, blocca i terminal dell'esportazione: 55 milioni al giorno di perdite. Vuole ottenere così più potere negoziale. Continua a complicarsi la situazione in Libia. Khalifa Haftar ha infatti deciso di alzare ulteriormente la posta. La Compagnia petrolifera nazionale libica (Noc) ha annunciato ieri per cause «di forza maggiore» la chiusura dei terminal petroliferi di Brega, Ras Lanuf, Hariga, Zueitina e Sidra, collocati nella parte orientale del Paese: area attualmente controllata dalle forze del generale. Nella pagina Facebook della Noc, si legge che l'Esercito nazionale libico ha incaricato i dirigenti di questi terminal «di fermare le esportazioni di petrolio. Ciò comporterà», conclude il comunicato, «una perdita della produzione di petrolio greggio di 800.000 barili al giorno e perdite finanziarie giornaliere di circa 55 milioni di dollari al giorno». Già l'altro ieri, del resto, i leader delle tribù e i notabili di Zueitina avevano occupato la sala operativa del terminal, preannunciando la «sospensione di tutti i terminal nella parte orientale del Paese», come dichiarato da al Haliq al Zawi, sceicco della tribù Zawiya.Insomma, a poche ore dalla conferenza di Berlino, che dovrebbe occuparsi di gettare le basi per una soluzione della crisi libica, Haftar ha deciso di aumentare ulteriormente la pressione su Tripoli, cercando di metterla in difficoltà sotto il profilo economico. È chiaro che il generale stia cercando di ottenere il massimo potere negoziale in vista della conferenza tedesca. Il suo gesto, spregiudicato e dirompente, rischia tuttavia di provocare l'esplodere di nuove tensioni. Non a caso, la missione Onu in Libia ha espresso ieri «profonda preoccupazione per gli attuali sforzi per interrompere o compromettere la produzione di petrolio. Questa mossa», ha proseguito, «avrebbe conseguenze devastanti prima di tutto per il popolo libico che dipende dal libero flusso di petrolio e avrebbe effetti terribili per la situazione economica e finanziaria già deteriorata del Paese». È tuttavia improbabile che la reprimenda delle Nazioni Unite possa realmente impensierire Haftar, il cui unico obiettivo è mettere in ginocchio Fayez al Serraj e riuscire così a dettare le proprie condizioni oggi in quel di Berlino, sfruttando l'arma della minaccia petrolifera. Non sarà un caso che il premier libico abbia, per così dire, cercato di passare al contrattacco. In primo luogo, il portavoce del governo di accordo nazionale, Mohammed Gununu, ha accusato le forze del generale di aver bombardato una località tra Misurata e Sirte, violando così il cessate il fuoco. Inoltre, secondo indiscrezioni, sarà in dubbio sino all'ultimo istante la presenza di Serraj alla conferenza odierna: il premier libico potrebbe infatti disertare l'evento, limitandosi a inviare una delegazione. Quel che è certo è che, sul campo, il governo tripolitano stia subendo non poco la pressione del generale della Cirenaica. Ed è anche per questo che il principale sponsor militare di Serraj, Recep Tayyip Erdogan, è tornato a fare la voce grossa. Se nei giorni scorsi aveva annunciato l'invio di truppe, ieri il presidente turco ha tuonato su Politico che, qualora il governo di Serraj dovesse cadere, si rischierebbe di «creare terreno fertile per il terrorismo». Il Sultano ha, insomma, cercato di ritorcere astutamente contro i suoi avversari le critiche che da tempo gli riservano: non è un mistero che strenui sostenitori di Haftar, come Egitto e Arabia Saudita, accusino Erdogan di appoggiare la Fratellanza musulmana (a sua volta molto vicina all'attuale premier libico). In tutto questo, non va trascurato che l'altro ieri, nel porto di Tripoli, sarebbero stati scaricati da un mercantile arrivato il 16 gennaio sistemi antiaerei (Spaag) Korkut, utilizzati dalle forze armate di Ankara: un elemento che potrebbe essere tra le cause della stretta petrolifera di Haftar. Inoltre, nelle scorse ore, Ahmed al Mismari, portavoce dell'Esercito nazionale libico, ha dichiarato: «Le forze turche hanno dislocato armi e artiglieria nel porto di Misurata, mentre a Tripoli continuano ad arrivare mercenari siriani». Tutto questo, senza trascurare che il rinnovato sostegno della Turchia all'attuale premier libico rischi di creare ulteriori fratture nella conferenza tedesca di oggi. Tra le ipotesi sul tavolo per l'incontro berlinese, sembrerebbe che - oltre all'auspicio di un esecutivo «unico» e di un cessate il fuoco negoziato dall'Onu - ci sia infatti la possibilità di proporre la creazione di un nuovo governo in Libia. Va da sé che, in caso, bisognerà vedere come verrà sviluppata una simile proposta. È tuttavia abbastanza verosimile che le parti in causa difficilmente possano accettare uno scenario di questo genere: scenario che rischia di complicare una situazione già non poco compromessa. Tanto più che, al di là dei due principali contendenti in campo, finora non sembra che gli europei si siano troppo concentrati sul fondamentale ruolo giocato dalle tribù libiche: attori da sempre molto potenti e che - come abbiamo visto - hanno svolto una parte considerevole nel blocco petrolifero. La partita libica, insomma, non è solo internazionale. Ma anche tribale.
Bologna, i resti dell'Audi rubata sulla quale due ragazzi albanesi stavano fuggendo dalla Polizia (Ansa)
La Global Sumud Flotilla. Nel riquadro, la giornalista Francesca Del Vecchio (Ansa)
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)