
Il Comune diventa improvvisamente efficiente per cancellare gli insulti. E per i giornalisti di sinistra l’attacco è una fake news.Due mani di grigio sui muri e sulla coscienza. Con una sollecitudine degna di Copenaghen, l’altra notte il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, ha mandato una squadra di imbianchini del Comune a cancellare le scritte intimidatorie, le minacce e gli insulti sulla facciata della sede di Pro vita & Famiglia, assaltata durante la manifestazione contro la violenza (e meno male) sulle donne. Il colonnello del Pd in prestito al Campidoglio, in quattro giorni non ha trovato il tempo di condannare l’operato dei teppisti, di mostrare solidarietà nei confronti di un’associazione pacifica e di cittadini della sua città, ma si è affrettato a far scomparire i segni visibili e imbarazzanti dello squadrismo dei buoni per decreto.Lo stupefacente gesto di «washing conscience» non sorprende nessuno. Basta constatare con quale velocità la notizia è scomparsa dai radar del sistema mediatico mainstream (quella di un U-Boot in immersione rapida) per avere la consapevolezza di una rimozione cercata e voluta in nome del conformismo di parte che tende a sottovalutare con ipocrisia qualsivoglia comportamento criminale degli amigos. Di più se rivendicato con orgoglio dall’icona femminista delle piazze «Non una di meno». Gualtieri ha provato a ripulire ma le impronte digitali sull’assalto rimangono indelebili. In questo senso è del tutto comprensibile la reazione di Jacopo Coghe, presidente di Pro vita: «Volevamo scattare foto più precise delle minacce scritte ma con nostra sorpresa abbiamo trovato tutto cancellato dal servizio Decoro urbano, che senza neppure avvisarci ha passato alcune mani di vernice, peraltro con una tinta incompatibile con il colore del palazzo. Evidentemente qualcuno in Comune ha ritenuto troppo imbarazzante il corpo del reato e si è affrettato a nascondere tutto sotto il tappeto». La pelosa sollecitudine non serve a niente perché sia la Digos, sia un operatore ingaggiato dall’associazione che temeva danneggiamenti (la sede era sul percorso del corteo romano), hanno filmato l’aggressione, le serrande e i vetri rotti, più la rudimentale bomba lanciata all’interno dei locali con l’innesco bruciacchiato, non esplosa solo per la palese imperizia dei gruppettari.Rimangono allo scoperto, fungendo da accusa non biodegradabile, le scritte fotografate («Morite merde», «Assassini», «Bruciamo i Pro vita») e gli slogan brigatisti di alcuni esaltati sganciatisi dalla manifestazione, fra i quali risuona ancora l’aberrante completamento della frase scritta con lo spray: «Bruciamo Pro vita con i Pro vita dentro». Non propriamente un invito a cena. Di fronte a tutto questo Gualtieri fa l’imbianchino, il gotha piddino guidato da Elly Schlein parla d’altro. E l’immobilismo della sinistra istituzionale non viene scalfito neppure dalla rivendicazione di Non una di meno, cellula di Milano, che si compiace di intestarsi il blitz. «Abbiamo sanzionato la sede di Pro vita & Famiglia, espressione del patriarcato becero e anti-scelta. Ci stringiamo accanto a chi ha manifestato il suo dissenso di fronte alla sede di un’organizzazione misogina». Per gli attivisti fucsia sanzionare è sinonimo di minacciare, assaltare, distruggere. E poi schernire, come avvenuto sui social, quando è comparso un vibratore con la spiega: ecco la bomba.Tira una brutta aria se il pachidermico sindaco di Roma metabolizza uno sfregio alla città nascondendolo con la rapidità notata (solo) nel far rimuovere i manifesti a favore della famiglia tradizionale. Tira una brutta aria se neppure l’orgogliosa rivendicazione di un gesto volgare e violento è ritenuta degna di una parola di solidarietà per chi quel gesto ha subito. Tira una brutta aria se il sistema politico-mediatico progressista - giustamente sensibile all’assalto alla sede della Cgil romana di due anni fa -mostra palese disinteresse nei confronti di quello a Pro vita, solo perché ideologicamente di segno opposto. La doppia morale non è soltanto indice di povertà intellettuale ma di debolezza. Esercitarla significa consegnare le chiavi ai «sedicenti» violenti come al tempo degli anni di piombo. Il senatore Lucio Malan, capogruppo di Fratelli d’Italia, ha parlato di «terrorismo dichiarato»; un modo iperbolico per far suonare la campanella e richiamare l’attenzione a fenomeni che non vanno sottovalutati. Nel marasma negazionista spiccano la derisione e il distinguo. Arrivano dai social dove anche operatori dell’informazione si esercitano nel minimizzare. Alberto Infelise (La Stampa): «Il problema sono due scritte su una saracinesca» e «Taffo Pro vita» (Taffo è l’agenzia funebre che spopola sulla rete con l’umor nero dei suoi messaggi). Daniela Preziosi (Domani): «Un ordigno criminale entrato attraverso saracinesche chiuse e neanche un vetro rotto». Curiosamente nella foto postata si vedono le saracinesche aperte e una vetrina sfondata. Ma hanno ragione loro, non è successo niente. Chissà perché Gualtieri ha sbianchettato al volo.
Leonardo Apache La Russa (Ansa)
Nessuna violenza sessuale, ma un rapporto consenziente». È stata archiviata l’indagine a carico di Leonardo Apache La Russa e l’amico Tommaso Gilardoni, entrambi 24enni, accusati di violenza sessuale da una di ventiduenne (ex compagna di scuola di La Russa jr e che si era risvegliata a casa sua).
Nel riquadro, Howard Thomas Brady (IStock)
Lo scienziato cattolico Howard Thomas Brady, ex sacerdote: «Con papa Francesco, ai ricercatori critici è stato vietato perfino di partecipare alle conferenze. La Chiesa non entri nel merito delle tesi: è lo stesso errore fatto con Galileo».
(Istock)
Dopo aver sconvolto l’Unione, Pechino taglia dal piano strategico i veicoli green. E punta su quantistica, bio-produzione e idrogeno.
Roberto Burioni (Ansa)
La virostar annuncia il suo trasloco su Substack, piattaforma a pagamento, per tenersi lontano dai «somari maleducati». Noi continueremo a «usarlo come sputacchiera».






