2019-12-06
Gualtieri millanta vittorie. Ma Centeno lo gela: «Sul Mes decisione presa»
Mentre il ministro si intesta un presunto rinvio, arriva la smentita: «Firma nel primo trimestre 2020, come previsto. In sospeso giusto un paio di questioni tecniche».È durato poche ore il commovente sforzo di Roberto Gualtieri (e di un pugno di affettuosi cronisti) di provare a imbastire la narrazione dell'eroico ministro dell'Economia capace di stoppare il Mes, convincere i colleghi stranieri, tutelare l'Italia e insieme pacificare Pd e M5s. Questa favoletta Gualtieri ha provato a raccontarla: «Il Mes siamo noi, vorrei svelare questo segreto. Se c'è un eccesso di potere, è un eccesso di potere di noi stessi». E ancora: «Il negoziato è stato intenso, ma l'Italia non ne è uscita isolata». Purtroppo per lui, però, a interrompere la fiction ci hanno pensato prima la realtà e poi Mário Centeno, il presidente dell'Eurogruppo. Quanto alla realtà, come i lettori della Verità sanno, c'è poco da discutere: l'Italia (attraverso Giovanni Tria e Giuseppe Conte) ha detto sì alla riforma del Mes, con un accordo politico pieno, già a giugno. Tria lo ha fatto nell'Eurogruppo del 13 giugno (senza mandato parlamentare); Conte lo ha fatto nei due Consigli europei di fine giugno (contro il mandato parlamentare ricevuto il 19 di quello stesso mese). Tutto il resto - purtroppo per noi - è un mix di recita, contorno, propaganda e intrattenimento.Quanto a Mário Centeno, anche qui parlano i fatti. Cos'ha detto il portoghese prima dell'Eurogruppo? Tre cose: si firmerà nei primi mesi del 2020; l'intesa politica già c'è e non si tocca; si può discutere sulla legislazione sussidiaria, insomma sui dettagli tecnici. E cos'ha detto dopo l'Eurogruppo dell'altra sera? Esattamente le stesse tre cose. Insomma, identica versione prima e dopo, senza cambiare una sola virgola. Ecco il virgolettato esatto di Centeno, a lavori dell'Eurogruppo conclusi: «A giugno scorso, abbiamo già raggiunto un largo accordo sul testo del trattato Mes. I leader ci hanno invitato a continuare a lavorare sulla documentazione legale, sugli aspetti giuridici, con l'obiettivo di concludere a dicembre. Ieri abbiamo raggiunto un accordo di principio su tutti gli elementi collegati alla riforma del Mes. Allo stesso tempo, ci sono un paio di questioni tecniche in sospeso di natura giuridica, su cui occorre una qualche chiarificazione prima di chiudere la pratica». E ancora: «Firmeremo il trattato nel primo trimestre dell'anno, che era la nostra aspettativa iniziale. E nel corso del 2020, ci attendiamo che i Paesi procedano alle ratifiche nazionali». Morale: stessa tempistica (che non è cambiata di una virgola); stessa impostazione di fondo (con la ristrutturazione del debito che non è più un'eccezione, come accade oggi, ma diventa uno strumento assolutamente ordinario, sia pur non automatico); e spazio di manovra limitato solo alla definizione di alcuni dettagli tecnici, alla normativa di supporto. Un dibattito adulto - in politica e sui media - si concentrerebbe sul punto essenziale: è saggio, per un Paese ad alto debito, e in un'atmosfera globale di enorme incertezza, in cui crisi e tensioni possono generarsi in modo imprevedibile, incatenarsi a un sistema che tende più di prima a far ricorso allo strumento di una potente e dolorosa ristrutturazione del debito degli Stati in difficoltà? Qualunque analista intellettualmente onesto, non accecato dall'ideologia, e semmai ispirato da un minimo di principio di precauzione, avrebbe detto di no. E invece Conte, Tria e Gualtieri hanno allegramente risposto sì. E - sempre in un dibattito adulto e rispettoso delle istituzioni - ci si domanderebbe: a che serve discutere dopo, se la decisione è già stata presa, se l'Italia ha già detto il suo sì, e se l'attuale governo rifiuta radicalmente l'ipotesi di porre il veto (cosa che sarebbe possibile fino all'ultimo istante)? Eppure, si preferisce far finta di nulla. Ci si gingilla ancora con lo scioglilingua della «logica del pacchetto», quando invece Centeno - a chiare lettere -ancora ieri ha ribadito che su quel versante si è indietro, e lo stesso Paolo Gentiloni ha dovuto ammettere che «non sarà facile, ci sono differenze tra i Paesi membri». Quindi, non c'è nessun pacchetto sul tavolo. Per questo, confidando nella disattenzione, nel caos, e nell'estrema tecnicità di alcuni punti, Gualtieri si è a lungo soffermato (nella tabella in alto si può leggere l'intervento completo) su alcuni aspetti molto minuti della normativa di dettaglio, e sul suo sforzo (il cui esito si capirà a gennaio: Centeno ha lasciato la questione aperta, mentre il direttore del Mes Klaus Regling, tedesco, appare molto freddo) di ottenere una possibilità di subaggregazione dei titoli. In altre parole, mentre oggi, per ristrutturare, occorrono sia un voto dei detentori di ogni serie di titoli emessi sia un voto complessivo, con la riforma basterebbe un unico voto complessivo, aggirando più facilmente eventuali minoranze di blocco. Ecco, Gualtieri, spingendo per la subaggregazione di titoli simili, vorrebbe esplorare la possibilità di coinvolgere nell'eventuale voto soltanto i relativi detentori. Per carità: cose significative, ma pur sempre all'interno di un quadro disastroso, cioè di una ristrutturazione del debito resa uno strumento più ordinario e praticabile di prima, a nostro rischio e pericolo. Ricapitolando: l'impianto non cambia, i tempi nemmeno, e cresce il rischio per l'Italia. Cosa ci sarà mai da festeggiare?
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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