
L'opposizione annuncia l'ingresso degli aiuti umanitari e l'esercito risponde. La sfida al regime è a un bivio della storia. O il presidente marxista cede alle pressioni internazionali o scatterà la violenza in tutto il Paese.Il 23 febbraio venezuelano come una tappa decisiva verso una specie di 25 aprile italiano, in questo caso contro il regime marxista di Nicolás Maduro? Saranno le prossime ore a decretare l'esito - positivo o negativo - di un'auspicabile, ma difficilissima liberazione. Saggiamente, il leader dell'opposizione Juan Guaidò (ormai riconosciuto da 50 Paesi, a partire dalle democrazie occidentali, come presidente legittimo), insieme al suo maestro e braccio destro Williams Davila (intervistato pochi giorni fa in esclusiva dalla Verità), ha scelto di rendere il mondo testimone minuto per minuto di ciò che accade, con una costante diretta Twitter: messaggi, video, testimonianze, anche come modo di rendere più difficile e costosa la - purtroppo prevedibile, attesa e temuta - risposta repressiva del regime. L'«ora x» è scattata verso le 17 italiane di ieri. Da una parte, 600 tonnellate di aiuti umanitari pronti ai confini con Colombia e Brasile, e Guaidò che ha personalmente diretto le operazioni di volontari e associazioni per forzare il blocco imposto dal regime. Lo stesso Guaidò si è fatto riprendere da telefonini e telecamere sul predellino di uno dei primi camion. Attivissimo nelle ore precedenti anche il presidente brasiliano Bolsonaro: l'altra notte su Twitter, al termine di una lunga riunione di emergenza dedicata alla crisi in Venezuela, aveva rivendicato la mobilitazione del Brasile: «Abbiamo raccolto 200 tonnellate di cibo e medicine a Boa Vista». E camion con aiuti brasiliani, ma con targhe e autisti venezuelani, sono effettivamente partiti, accompagnati dall'esercito brasiliano fino al confine. E proprio di uno di questi camion Guaidò ha potuto annunciare l'ingresso in Venezuela verso le 17.15 italiane di ieri. Due ore più tardi, verso le 19 italiane, Guaidò ha comunicato l'arrivo anche della carovana dalla Colombia. Dall'altra parte, resiste il dittatore Maduro, sempre più in difficoltà e a maggior ragione pericoloso. La disperazione del regime nasce dal suo crescente isolamento internazionale, e ormai anche dalla forza delle pressioni interne. Ne è stata una plastica rappresentazione, l'altro giorno, il successo al di là di ogni aspettativa del Venezuela Aid Live, il megaconcerto a Cucuta, città colombiana sul confine, al quale hanno assistito centinaia di migliaia di persone, molte giunte proprio dal Venezuela, a rischio della vita. Ed è parsa patetica a tutti la mossa di Maduro: organizzare un controevento inevitabilmente in tono minore.Di mezzo, c'è l'esercito, che deve scegliere con chi schierarsi. Già 200 militari sono stati imprigionati nelle scorse settimane, e chi dissente da Maduro è oggetto di persecuzione da parte del regime. Può giocare un ruolo decisivo - in negativo - la paura, ma - in positivo - può contare il fatto che anche le famiglie dei soldati vogliano uscire dalla situazione di miseria che ha travolto il Paese. Ovviamente, è diversa la condizione delle centinaia di generali nominati e premiati da Maduro, molti dei quali sarebbero coinvolti in opache storie non solo di repressione, ma pure di narcotraffico. In questo senso, dal punto di vista dell'opposizione, sono stati di grande impatto, ieri, due dei primi video postati da Guaidò: uomini della Guardia nazionale che si schierano con i manifestanti, disobbedendo agli ordini ricevuti; e poi l'incontro e la stretta di mano tra lo stesso Guaidò e alcuni militari. Resta da capire se Maduro e i suoi oligarchi decideranno di forzare la mano con esiti sanguinosi, o se invece si lasceranno in extremis uno spazio per una resa lucida, quella che finora hanno sdegnosamente respinto: negoziare il proprio esilio, lasciare il Paese, salvarsi la vita. Al di là dei riflessi geopolitici complessivi (con il sostegno al dittatore espresso da Cina e Russia), la partita principale riguarda l'intero Sud America. Maduro aveva potuto contare per anni su Cuba, e, più in generale, su un assetto politico basato su governi di sinistra che sono stati via via largamente battuti, fino al Brasile, passando per l'Argentina, il Perù e la Colombia. Lo schema continentale che aveva consolidato Maduro dopo Chavez è totalmente saltato, e al regime venezuelano è rimasta solo la sponda di Cuba. Invece, è stato ancora una volta molto netto Donald Trump: «Le vergognose violazioni dei diritti umani da parte di Maduro e di chi sta eseguendo i suoi ordini non resteranno impunite». E poi un inequivocabile «God bless the people of Venezuela!».Siamo davanti all'ennesima prova di una regola che non conosce eccezioni: nessuno fa più male ai poveri del socialismo realizzato. Ancora negli anni Settanta, il Venezuela era un Paese dove in tanti - dal resto del Sud America - desideravano recarsi per sfuggire alla miseria. Oggi, dopo la «cura» Chavez-Maduro, l'inflazione è all'800%, la povertà è passata dal 48% all'82%, il salario minimo è diminuito di tre quarti, i black-out sono all'ordine del giorno, la malnutrizione è una realtà, e nuovi record di mortalità infantile vengono regolarmente stabiliti e battuti. Da segnalare, sul versante italiano, l'impegno meritorio di Paolo Capone, segretario generale dell'Ugl, che sta partecipando in prima persona, sul posto, al tentativo di consegnare beni di prima necessità e medicinali. Proprio Capone, bloccato su uno dei ponti al confine tra Colombia e Venezuela, ha testimoniato in diretta i primi lanci di lacrimogeni da parte della polizia del regime. Capone stesso, verso le 19 italiane di ieri, è stato colpito da un fumogeno tra testa e spalla.
Un frame del video dell'aggressione a Costanza Tosi (nel riquadro) nella macelleria islamica di Roubaix
Giornalista di «Fuori dal coro», sequestrata in Francia nel ghetto musulmano di Roubaix.
Sequestrata in una macelleria da un gruppo di musulmani. Minacciata, irrisa, costretta a chiedere scusa senza una colpa. È durato più di un’ora l’incubo di Costanza Tosi, giornalista e inviata per la trasmissione Fuori dal coro, a Roubaix, in Francia, una città dove il credo islamico ha ormai sostituito la cultura occidentale.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.






