2021-02-18
Dai grillini una fiducia con psicodramma
Luigi Di Maio (C.Minelli/Getty Images)
Sofferto via libera pentastellato a Mario Draghi. La senatrice Cinzia Leone annuncia un «lacerante sì, seppure combattuto». Danilo Toninelli: «Onoro Rousseau, ma la penso diversamente». Barbara Lezzi tra i 15 dissidenti che hanno votato no. Il partito è irrilevante per la maggioranza.«C'è chi dice no»: banale ma efficace, il titolo del post su Facebook con il quale la senatrice (quasi ex) M5s, Bianca Laura Granato, ieri pomeriggio annuncia il suo «no» alla fiducia al governo Draghi. Alla fine sono ben 15 i voti contrari alla fiducia del M5s: oltre alla Granato, votano contro, annunciando la loro scelta in dissenso dal gruppo al termine delle dichiarazioni di voto dei partiti, Elio Lannutti, Rosa Abate, Mattia Crucioli, Virginia La Mura, Laura Angrisani, Fabio di Micco, Barbara Lezzi, Matteo Mantero, Cataldo Mininno, Vilma Moronese, Nicola Morra, Fabrizio Ortis, Silvana Giannuzzi e Margherita Corrado. Rischiano tutti l'espulsione. Una Caporetto per i big pentastellati, che hanno tentato di ridurre al minimo i voti contrari, usando il bastone (la minaccia di espulsione) e la carota (la promessa di posti di sottosegretario). «La tattica dei dissidenti», si sfoga con la Verità un big pentastellato, «è sempre la stessa: prima si agitano, poi aspettano in silenzio che qualcuno offra loro qualche posto di sottogoverno, se arriva fingono di aver cambiato idea dopo una notte insonne». Non solo: il voto di fiducia di ieri si intreccia con quello sulla piattaforma Rousseau, con gli iscritti che danno il via libera definitivo alla nuova governance collegiale del M5s, con una percentuale di circa l'80%. Addio capo politico: arriva il direttorio a 5, con conseguente possibilità di offrire qualche altro strapuntino. Un'esca per convincere i più riottosi a limitarsi all'astensione, che non comporta l'espulsione dal movimento, mentre chi vota «no» dovrebbe, almeno in teoria, dire addio. Lo sa perfettamente la Granato, che annuncia di aver presentato le dimissioni come capogruppo M5s della commissione Cultura in Senato. «Ho deciso», scrive la Granato, «coerentemente con quello che ho sempre dichiarato, che non farò parte di questa maggioranza diventata una beffa rispetto al principio di autodeterminazione dei popoli. Ho deciso di rispondere all'appello di un consistente gruppo di attivisti del M5s», dice la Granato, dichiarando il voto contrario in dissenso dal gruppo, «che ci hanno chiesto una presa di posizione netta e nei confronti di un governo in cui non potremo mai essere determinanti. Crediamo che l'economia non sia strumento per arricchire pochi impoverendo molti. Porteremo avanti le battaglie storiche da posizioni diverse, non contrapposte». Annuncia il voto contrario in aula e sbatte la porta Mattia Crucioli: «Ero venuto già con le idee chiare», sottolinea Crucioli, «ma ogni dubbio mi è stato tolto dal discorso del presidente del Consiglio. Ovviamente non posso più essere all'interno del M5s, perché la scelta di campo è radicale, dirimente, proprio un'altra visione. Lei oggi non ha fatto il benché minimo accenno al patto di stabilità», dice Crucioli rivolto a Draghi, «né ha mosso una critica alle politiche dell'austerità. È un dovere opporsi alla sua visione di società. Lotterò contro ogni provvedimento che lei e la sua servile maggioranza», aggiunge Crucioli, «dovesse adottare nei confronti dei cittadini». Di «lacrime gratis e sangue a pagamento per gli esodati» parla nel suo intervento in dissenso Elio Lannutti, che attacca Draghi sulla «ignobile chiusura dei bancomat in Grecia». In dissenso dal gruppo dichiara il suo voto contrario anche Virginia La Mura: «Vedo un governo», dice, «in cui il consenso di tutti delega la decisione a pochi». Fabio Di Micco torna alla caduta del governo Conte due, e parla di «manovra di palazzo partita da persone che farebbero parte anche di questa maggioranza». Non mancano momenti lirici: la senatrice Cinzia Leone annuncia un «lacerante sì, seppure combattuto», e si commuove: «Del resto», afferma, con la voce rotta dall'emozione, «sono una portavoce al Senato. Un sì che è la sommatoria dell'assunzione di responsabilità indicata dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dal precedente premier, Giuseppe Conte, e dalla nostra base». Sofferto, soffertissimo, anche il voto a favore di Danilo Toninelli: «Onorerò il risultato del voto di Rousseau», scandisce in aula Toninelli, «anche se la penso diversamente, ma la nostra non sarà una fiducia incondizionata: sarà basata sulle scelte che il governo intraprenderà». Dall'esterno dell'aula, Alessandro Di Battista conferma sui social il suo no al governo Draghi e la sua decisione di «prendere le distanze» dal M5s. Il clima è surreale: mentre si avvicina il momento del voto, la soglia di tolleranza stabilita dai big è di 10 senatori dissidenti, tra voti contrari e astenuti. La linea sottile che separa l'astensione dal voto contrario rappresenta il confine tra la possibilità di restare nel M5s e l'addio, sottoforma di cartellino rosso, che dovrà essere sventolato da Vito Crimi: il suo ultimo atto da capo politico. Il primo giorno di scuola dei grillini sotto la guida del professore Draghi (che avrebbe la maggioranza assoluta anche senza tutti i grillini) è tutt'altro che festoso. Fino a tarda sera, il vortice di malignità e accuse non conosce tregua.
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