2021-01-29
Il grido del principe degli storici: fermate la tirannia delle minoranze
Esce il manifesto di Pierre Nora, accademico di Francia e studioso tra i più titolati: «Il politicamente corretto sta uccidendo la ricerca. Oggi si filtrano i fatti del passato attraverso visioni parziali e distorte».«La Storia non è che un lungo susseguirsi di crimini contro l'umanità». La frase è di Pierre Nora, titano della ricerca storia francese, membro dell'Académie française, collaboratore di Jacques Le Goff. Insomma, uno studioso che non si può certo accusare di partigianeria o sospettare di spaventose derive destrorse, nemmeno quando si scaglia lancia in resta contro i deliri del politicamente corretto. Il succo del suo ragionamento, in fondo, sta tutto in questa prima affermazione: la Storia è una sterminata sequela di massacri. Il problema è che, essendo morti gli autori delle stragi, si è imposta la tendenza a prendersela con chi quei massacri li studia per professione. Si pensa di perseguire «gli storici che trattino di quei periodi e i professori che li insegnano, accusandoli di complicità nel genocidio o di complicità nel “crimine contro l'umanità"».In questo modo, il politicamente corretto e l'ossessione per le «memorie» dei singoli gruppi sociali stanno semplicemente distruggendo la ricerca storica, e non solo quella. «Si è giunti», dice Nora, «a una pericolosa radicalizzazione della memoria e a una sua utilizzazione interessata, abusiva e perversa». Per battersi contro lo sfruttamento politico del passato nel 2005 è nata in Francia l'associazione Liberté pour l'historie, di cui Nora (attuale presidente) ha firmato nel 2008 quello che si può considerare un manifesto programmatico. Finalmente quel testo è arrivato nelle librerie italiane grazie alle edizioni Medusa, con il titolo Libertà per la Storia. Inquisizioni postmoderne e altre aberrazioni e una bella prefazione di Franco Cardini. Si può dire che il tempismo dell'uscita sia perfetto. Il 2020 è stato l'anno degli assalti alle statue condotti da movimenti come l'americano Black lives matter e dai suoi imitatori europei (se n'è visto qualcuno anche in Italia). Il 2021 si è subito ricollocato sulla stessa linea. Non passa giorno senza che si abbia notizia di censure, riscritture, proibizioni. Abbiamo persino casi di autocensura, come quello della Disney che mette il bollino rosso ad alcuni suoi classici definendoli «razzisti». Ormai non fa nemmeno più notizia il fatto che qualcuno proponga (e ottenga) di tagliuzzare un capolavoro, di rimuovere un'opera d'arte o di oscurare un film. Paradossalmente, suscita più stupore che qualcuno eviti di inchinarsi alle imposizioni buoniste, come ha fatto nei giorni scorsi la Treccani rifiutandosi di cancellare dal dizionario l'espressione «lavorare come un negro» con la motivazione che «non siamo in uno Stato etico in cui una neolingua “ripulita" rispecchi il “dover essere" virtuoso di tutti i sudditi». Purtroppo episodi di questo genere sono rari: il più delle volte la neolingua trionfa. A prevalere, di solito, è l'ossessione tutta occidentale per le minoranze, di cui Nora ricostruisce con perizia l'influenza. «L'affermarsi delle memorie legate a delle minoranze in via di emancipazione - che siano sociali, religiose, sessuali, regionali - è comparso in un primo tempo come un fenomeno potentemente liberatorio, una forma di giustizia resa agli oppressi, agli umiliati». Poi, però, si è passati da «una memoria modesta, che non richiede infine che di essere riconosciuta, rispettata, integrata nel grande registro della Storia collettiva e nazionale, a una memoria essenzialmente accusatrice e distruttrice di questa Storia. Che impone una una interpretazione generale una visione parziale e distorta». È in questa prospettiva distorta che i protagonisti della Storia vengono osservati oggi. Il filtro dell'ideologia li fa diventare di volta in volta razzisti, omofobi, misogini, meritevoli di condanna. Il punto di vista della minoranza, insomma, diviene dominante, anzi l'unico accettabile. Scatta quindi la competizione fra i gruppi per ottenere provvedimenti o leggi che tutelino la loro «memoria», a discapito della libera ricerca storica. Pierre Nora ha sempre contrastato le «leggi memoriali» francesi, e nel suo scritto Franco Cardini giustamente punta il dito contro i vari tentativi della politica italiana di «stabilire che cosa è legittimo o non legittimo affermare» (vedi il progetto di legge in chiave «antifascista» presentato a suo tempo da Emanuele Fiano). Il fatto è che, negli ultimi anni, tra i nemici della «libertà della Storia» non ci sono più soltanto i politici troppo zelanti. Non sono più solo gli Stati o l'Ue a pretendere di dettar legge. Ci sono gli attivisti, sempre più battaglieri e brutali. E ci sono pure i colossi del Web, i quali si regolamentano da soli e possono permettersi di nascondere i contenuti ritenuti «inappropriati». Alla buona vecchia censura, poi, si è sostituita l'autocensura. Soprattutto rimane, granitica, la pregiudiziale ideologica. Sono in tanti anche a sinistra, ormai, a criticare gli eccessi del politicamente corretto. Ma, chissà come, anche i fautori della libertà si bloccano sempre di fronte ai temi considerati «di destra». Questa è la realtà italiana di oggi: il nostro giornale fatica a pubblicizzare online un saggio sull'immigrazione del geniale romanziere Jean Raspail, ma un grosso editore come Laterza non ha problemi a pubblicare un libro che sminuisce il dramma delle foibe. Noi concordiamo con Nora, e pensiamo che pure l'odioso volumetto sui massacri titini abbia diritto di circolare. Però siamo costretti a constatare che della stessa libertà non godono altri volumi. Dalle nostre parti, le idee sono ancora prigioniere, e sarebbe giunta l'ora di liberarle.
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