2020-12-29
Governo in tilt sulla profilassi obbligatoria
(Antonio Masiello/Getty Images)
Il sottosegretario Sandra Zampa auspica l'imposizione del vaccino ai lavoratori della pubblica amministrazione, il ministro competente (Fabiana Dadone) dissente: «Mi pare un po' oltre». Luca Zaia e Matteo Renzi pro patentini. Ma nessuno passa dal Parlamento (come vorrebbe la Carta). Niente di meglio di una bella litigata nel governo giallorosso per iniziare nel modo peggiore la campagna di vaccinazioni in Italia. Neanche il tempo di somministrare le prime dosi, e l'esecutivo va in frantumi su un tema cruciale, quello dell'obbligatorietà. Tema che neanche andrebbe posto, considerato che l'articolo 32 della Costituzione italiana recita testualmente: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». La legge, dunque: non le comparsate tv del commissario straordinario Domenico Arcuri, il quale continua a fare il bello e (soprattutto) il cattivo tempo, inviando comunicati stampa direttamente da Invitalia, società del ministero dell'Economia di cui è amministratore delegato. A scatenare la polemica all'interno del governo guidato, se così si può dire, da Giuseppe Conte, è il sottosegretario alla Salute, Sandra Zampa, che si spinge a ipotizzare l'obbligo del vaccino per chi vuole lavorare nella pubblica amministrazione: «Credo che l'obbligatorietà del vaccino», dice la Zampa ad Agorà, su Rai 3, «possa essere una precondizione per lavorare nel settore pubblico. Cominciare a discutere dell'obbligo farebbe un danno ulteriore», aggiunge la ineffabile Zampa, facendo un danno ulteriore, «oggi dobbiamo avere la pazienza di spiegare. Se dovessimo renderci conto che c'è un rifiuto che non si riesce a superare, io penso che nel pubblico non si possa lavorare. Non si può stare in una Rsa, dove si dovrebbe lavorare per la salute delle persone ospitate, e mettere a rischio la loro vita. Il nostro paese ha deciso che i bambini, se non sono vaccinati, non possono andare nelle scuole pubbliche. Non credo che possa non valere per i medici», evidenza la Zampa, «per gli operatori sanitari, per gli insegnanti». Immediata la replica piccata del ministro della Pubblica amministrazione, Fabiana Dadone: «Non sono una grande appassionata dell'obbligo», argomenta la Dadone a L'aria che tira, su La7, «soprattutto in campo vaccinale. Credo sia più giusta una forte raccomandazione. Non siamo davanti a dei numeri che ci fanno pensare di dover imporre un obbligo per la vaccinazione. Aprire ora una discussione», attacca la Dadone, «sul fatto se porre l'obbligo o no in materia contrattuale come conditio sine qua non per l'assunzione mi sembra andare un pò oltre la situazione attuale». La mette sul pratico il presidente del Veneto, Luca Zaia: «Credo che ormai i tempi siano maturi», dice Zaia al Corriere della Sera, «per un passaporto sanitario. Le compagnie aeree hanno iniziato a dire che vogliono passeggeri con la garanzia del vaccino», sottolinea Zaia, «ma presto cominceranno a chiederlo le strutture ricettive, gli spazi per congressi e via dicendo». Concorda con Zaia il presidente della Lombardia, Attilio Fontana: «Quella del passaporto sanitario da consegnare a chi sceglie di vaccinarsi contro il Covid-19», sottolinea Fontana a Sky Tg24, «è una scelta che potrebbe essere molto intelligente e utile». «Ho detto più volte», scrive il leader di Italia viva, Matteo Renzi, «che sarei favorevole all'obbligatorietà dei vaccini: introduciamola subito almeno per gli operatori sanitari e socio sanitari. Diamo con grande trasparenza l'elenco dei vaccinati ogni giorno», aggiunge Renzi, «diamo un lasciapassare a chi si vaccina così come a chi si è già preso il Covid e ha gli anticorpi». In realtà, per quel che riguarda i medici, quello dell'obbligatorietà è un falso problema: «in Italia», spiega all'Adnkronos il presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, Filippo Anelli, «ci sono circa un centinaio di medici no vax, su 460.000 camici bianchi, una cifra ridicola rispetto al totale. Rendere il vaccino obbligatorio per tutti è molto complesso», aggiunge Anelli, «l'articolo 32 della Costituzione prevede che a nessun cittadino sia imposto un trattamento sanitario contro la sua volontà. Un larga giurisprudenza ci dice che l'eccezione può essere superata con una legge che tenga conto dell'interesse della collettività ma questa valutazione», conclude Anelli, «spetta al Parlamento». Le parole di Anelli sono una boccata d'aria fresca: a decidere su questi argomenti dovrebbe essere il Parlamento, attraverso le leggi. Invece, niente: la campagna di vaccinazione resta saldamente nelle mani di Arcuri, che ha anche stabilito chi si vaccinerà prima e chi dopo. Come è noto, toccherà prima ai medici, agli operatori sanitari, al personale e agli ospiti delle Rsa e agli ultraottantenni. Può essere una scaletta giusta, anzi sacrosanta, ma chi l'ha stabilita? La risposta è semplice: Arcuri, con l'avallo del non governo di Conte. Eppure, tanto per fare un esempio, le forze dell'ordine, impegnate in controlli del territorio, perquisizioni, attività ad altissimo rischio, avrebbero potuto essere inserite tra le categorie da vaccinare immediatamente. Così non è stato, e il Parlamento non ha avuto alcuna possibilità di svolgere quello che in teoria dovrebbe essere il suo ruolo: decidere, legiferare, comandare le operazioni. Ma al cuore non si comanda, e Arcuri neanche.