
Palazzo Chigi annuncia il superamento del numero chiuso, soglia che ora premia un candidato su sette. Gli atenei e i ministri Giulia Grillo e Marco Bussetti protestano, l'esecutivo corregge il tiro: verrà fatto ma non subito.Il test per accedere alle facoltà di medicina sarà abolito. Questo il primo, precipitoso, annuncio del Consiglio dei ministri, a cui segue una parziale retromarcia: si farà in seguito, ma non subito. La correzione arriva dopo le proteste delle università, colte di sorpresa, e dei ministri Marco Bussetti (Istruzione) e Giulia Grillo (Salute), che non ne sapevano nulla. Quindi alla fine «si avvierà un confronto tecnico con i ministeri competenti e la Conferenza dei rettori delle università italiane», si legge nella nota di Palzzo Chigi, «che potrà prevedere un percorso graduale di aumento dei posti disponibili, fino al superamento del numero chiuso». La partenza start and stop, bisogna sottolinearlo, non è delle più convincenti. Gli atenei italiani non sono pronti da un giorno all'altro ad aprire le porte a tutti coloro che vogliono diventare medici. Mancano docenti, fondi e mancano strutture per accogliere i 67.000 candidati che, quest'anno, si sono presentati alla selezione. Solo in 10.000 (in pratica uno su 7) l'hanno superata e potranno intraprendere gli studi che portano a indossare il camice bianco. Le difficoltà sono tante, però il provvedimento ha una ratio. In Italia mancano i medici già nella situazione attuale, una carenza che rischia di paralizzare il sistema sanitario quando entrerà in vigore la quota 100. Come scritto dalla Verità, infatti, con la nuova normativa andranno in pensione 70.000 medici nel giro dei prossimi 5 anni. Se non verranno sostituiti immediatamente significa il collasso della sanità pubblica e la chiusura di molti nosocomi. Quindi urge un ricambio. Inoltre sul valore dei test d'ingresso ci sono molti dubbi, anche per come vengono formulati: quiz di logica e di cultura generale che non hanno attinenza con la professione medica e persino con le materie scientifiche. Spesso i candidati si trovano a rispondere a quesiti bizzarri, da quelli che riguardano la storia dei Patti lateranensi a quelli che chiedono di indicare la corretta successione cronologica dei premi Nobel per la letteratura. Come da ciò si possa desumere a priori se un ragazzo ha le qualità per diventare un bravo pediatra o cardiochirurgo, è sinceramente misterioso. In realtà il test è un modo come un altro per scremare drasticamente il numero delle matricole, non perché non abbiano le qualità per affrontare gli studi, ma piuttosto perché le facoltà non sono in grado di accoglierli e seguirli tutti. La selezione è anche una ricca fonte d'introiti per gli atenei, nonché una spesa spesso inutile per le famiglie. La Verità ha calcolato che ogni studente deve sborsare mediamente 50 euro per partecipare, indipendentemente dal fatto che superi o meno il concorso. Questo significa che le sole facoltà di medicina hanno incassato in un anno qualcosa come 7,5 milioni euro dagli iscritti alle prove di ingresso. Considerando anche che molti candidati tentano in più sedi, per avere maggiori possibilità di riuscita. Le università giustificano il balzello con il fatto che devono sopportare costi gravosi: l'affitto dei locali poiché spesso le prove si svolgono fuori dagli atenei, la formulazione e gestione dei test, la sorveglianza, le assicurazioni, il servizio di assistenza sanitaria, l'acquisto di materiali necessari per le prove e i trasporti. Resta il fatto che bisogna pagare senza neppure avere la certezza dell'iscrizione. In definitiva l'abolizione del numero chiuso può quindi rivelarsi una scelta razionale, a patto però che si adeguino le università. Si semplificherebbe l'accesso e garantirebbe un numero adeguato di medici. C'è però un altro grosso problema: infatti non basta la laurea per entrare in ospedale. Bisogna frequentare le scuole di specializzazione che hanno il compito formare cardiologi, internisti, chirurghi e via dicendo. E che costituiscono un imbuto tra l'università e gli ospedali. Come spiega Carlo Palermo, segretario generale del sindacato Anaao Assomed: «Ogni anno, a fronte di circa 10.000 laureati, solo 7.000 trovano posto in una delle scuole di specializzazione italiane. Questo vuol dire che circa 3.000 medici restano fuori, sia dai contratti di specializzazione sia dai corsi di medicina generale. E queste persone finiscono molto spesso con l'andare all'estero». In altre parole, ammettere tutti a medicina senza aumentare le borse di specializzazione non servirebbe a far crescere il numero degli specialisti pronti a entrare in ospedale o a diventare medico generico. Questo perché la strozzatura si trova a valle, appunto nelle scuole di specializzazione. Senza riformarle, il provvedimento rischia di essere inutile. Comunque al momento si sta pensando ad aumentare i posti disponibili nelle facoltà mediche. Sull'abolizione del numero chiuso, incautamente annunciata, si vedrà più avanti. Dal Miur trapela che si sta lavorando per passare dagli attuali 10.000 iscritti a una media di 15.000. Quindi un terzo in più di futuri dottori rispetto alla situazione attuale. Come anche confermato dal presidente della Conferenza dei rettori, Gaetano Manfredi: «Togliere la selezione non è sostenibile ed è soprattutto una falsa promessa ai giovani e alle loro famiglie. Quella di garantire più posti è la riforma realizzabile, che garantisce ai ragazzi il diritto allo studio effettivo».
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.






