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2022-01-04
Il governo è pronto all’ultra green pass: obbligo vaccinale per tutti i lavoratori
Renato Brunetta (Ansa)
Come la donzelletta «al dì di festa», il governo si appresta ad approvare spensierato l’obbligo vaccinale per tutti i lavoratori. Si deciderà domani pomeriggio, nel Consiglio dei ministri previsto «in sul calar del sole». Riassuntino. Prima fu il green pass. Poi arrivò il super green pass. Infine giunge, con usuale lietezza, l’ultra green pass: la carta verde più potente che ci sia. Sarà necessaria per buscarsi la pagnotta, sia nel pubblico che nel privato, a dispetto di conclamata inutilità e inesauribili incongruenze. Per lavorare non basterà più il tampone negativo: procedura già prolissa, diventata improba con l’esplosione dei positivi. O puntura o niente. La nuova imposizione varrà per i circa 950.000 dipendenti pubblici fino a oggi esentati, a differenza di forze dell’ordine, scuola e sanità. Ben più vasta la platea dei privati da precettare. Mario Draghi ragiona però su un obbligo graduale, benché inesorabile. Vuole evitare ulteriori patemi nella maggioranza, soprattutto in vista dell’imminente voto sul Quirinale, per cui resta favoritissimo.
Bisogna schivare, insomma, l’inciampo occorso con il decreto dello scorso 30 dicembre. Il premier voleva la definitiva stretta, erga omnes, per i lavoratori. Ma poi sono prevalsi i dubbi di Lega e 5 stelle. Adesso però, anche a causa del pressing di Confindustria e sindacati, l’asticella è destinata ad alzarsi ulteriormente. A un nonnulla dell’arma finale: inoculazione per tutti, dai 18 anni in su. Un ineluttabile passo alla volta, però. Nella spasmodica attesa del Consiglio dei ministri di domani, si ragiona ancora sul da farsi. L’ipotesi che sembra più probabile è comunque la corsa a tappe nel settore privato. Ovverossia: introdurre il vincolo per settori, sperando di non penalizzare ulteriormente il mondo produttivo. Alcuni comparti già arrancano. Come i trasporti. L’impennata dei contagi e le sterminate quarantene costringono a casa milioni di asintomatici. Mentre s’avvicina il prossimo 10 gennaio, quando ci vorrà il super green pass anche per salire sui mezzi pubblici. Altro caos garantito. Difatti Francesco Del Deo, presidente dell’Associazione nazionale Comuni isole minori, chiede ora deroghe per i trasporti marittimi e aerei, «unico collegamento possibile con il resto della nazione». Altrimenti, si rischia l’esilio forzato per i residenti non vaccinati.
Difficile, però, che il governo ascolti l’appello dei confinati. Qualche temporanea cautela potrebbe resistere solo per l’obbligo vaccinale nel privato, appunto. Per i dipendenti pubblici, invece, le nuove restrizioni sembrano ineluttabili. D’altronde, il settore ha un implacabile alfiere: Renato Brunetta, ministro al ramo statale e fautore dell’ultra green pass ai lavoratori di ogni ordine e grado. Se Draghi dovesse davvero ascendente al Colle, rimane tra i papabili per Palazzo Chigi, quale membro anziano dell’esecutivo. Inarrivabile esegeta del premier, negli ultimi tempi s’è ulteriormente distinto tra gli infervorati. Il green pass è «la più grande manovra di politica economica del governo». Meglio ancora: «È una misura geniale». Fino all’apoteosi: «Grazie al certificato, boom di immunizzati».
Assieme a Brunetta, scalpitano Pd, Leu e Italia viva: serve l’obbligo vaccinale, altroché. Per tutti e alla svelta. Il resto dei forzisti sembra un filino più cauto. A partire dal Cavaliere, che ha bisogno di tenere unito il centro destra in vista della già tribolata corsa per il Colle. Dunque, s’avanza un compromesso che non intacca la sostanza: vincolo immediato per il pubblico, progressivo per il privato. Le sibilline parole del sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, sembrano confermarlo: «C’è un confronto aperto all’interno della maggioranza, ma confido che Draghi saprà mettere in campo una sintesi». Quindi? «Prevedo che si arrivi a un’estensione del super green pass, magari graduale, per tutti i lavoratori». Perché? «Può essere una misura che, in un certo senso, può aiutare a convincere una parte di quei cinque milioni di italiani che non si sono ancora vaccinati».
Beh, a dire il vero, numeri alla mano, la sequela di obblighi surrettizi, nonostante i promettenti annunci, non ha portato all’ipotizzato exploit delle prime dosi. Né tantomeno alla sicurezza, come assicurava il premier, di trovarsi solo in compagnia di «persone non contagiose». Dichiarazioni, magari in buona fede, che ora rintoccano surreali. L’Italia, grazie alla prodigiosa escalation dei green pass, dal semplice di vecchio conio al nascente supersonico, non sta meglio dei Paesi senza restrizioni. Vedi l’Inghilterra. Quando il primo ministro, Boris Johnson, diceva che bisognava fare circolare il virus, lo consideravano un pericoloso svitato. Adesso anche in Italia, con l’abolizione della quarantena per i vaccinati, sembrano della stessa spericolata idea. Sul green pass, invece, niente retromarce. Altroché. Domani, l’ultimo atto. Proprio mentre in Finlandia i temerari al governo hanno sospeso il lasciapassare sanitario fino al 20 gennaio 2022. Con la più disarmante delle motivazioni: non serve a frenare i contagi.
Contagiati, il doppio in una settimana
Sono 68.052 ieri in Italia i nuovi casi di coronavirus (domenica erano stati 61.046). Così sono almeno 6.396.110 il numero di persone che hanno contratto il virus Sars-CoV-2 (compresi guariti e morti) dall’inizio dell’epidemia. Rispetto a una settimana fa, i positivi sono più che raddoppiati: lunedì 27 dicembre erano 30.810, seppure con 343.000 tamponi effettuati.
Secondo le analisi del matematico Giovanni Sebastiani, dell’Istituto per le applicazioni del calcolo M. Picone del Cnr, «in Italia potrebbe arrivare fra 5-10 giorni il picco di contagi dell’attuale ondata pandemica alimentata dalla variante Omicron: è quanto lascia presupporre la lieve frenata della curva dei positivi ai tamponi molecolari registrata negli ultimi quattro giorni, un trend da confermare con i dati dei prossimi 2-3 giorni e che potrebbe risentire fra due o tre settimane degli effetti della riapertura delle scuole e dello shopping per i saldi».
Ieri i morti sono stati 140, domenica erano 133 portando così il totale delle vittime da febbraio 2020 a 137.786. Secondo i dati del bollettino quotidiano del ministero della Salute, i tamponi molecolari e antigenici effettuati ieri sono stati 445.321 contro i 278.654 del giorno precedente facendo scendere il tasso di positività al 15,2%, rispetto al 21,9% di domenica. Il numero dei ricoveri con sintomi nei reparti ordinari sale a 12.333, rispetto al giorno prima 577 in più mentre i pazienti in terapia intensiva sono diventati 1352, 32 in più, con 103 ingressi del giorno (domenica erano 104). I dimessi/guariti crescono di 13.379 unità, arrivando a 5.133.272 mentre gli attualmente positivi diventano 1.125.052 (54.515 in più rispetto a ieri) di cui 1.111.368 in isolamento domiciliare. I contagi totali in Italia dall’inizio della pandemia sono 6.396.110.
Anche ieri la regione con più casi è stata la Lombardia, in netta crescita (+13.421), seguita da Emilia Romagna (+8.014), Toscana (+6.952), Campania (+6.653) e Veneto (6.468). E proprio il governatore leghista del Veneto, Luca Zaia, ha annunciato che la Regione con un’incidenza di casi Covid di 820 ogni 100.000 abitanti e un Rt di 1,19, l’occupazione delle aree medica non critica del 19,5% e quella delle terapie intensive del 18,6%, vicino alla soglia critica del 20, «sarà almeno due settimane in giallo». Zaia ha però sottolineato che è proprio l’occupazione delle aree mediche, ancora lontana dal 30%, a non consentire il passaggio di fascia.
Un dato da record arriva dalla Sicilia dove, nella settimana appena conclusa, i nuovi positivi al Covid sono stati 27.814, il 136,6% in più rispetto alla settimana precedente e oltre il triplo rispetto a 14 giorni fa con un aumento anche del rapporto fra tamponi positivi e tamponi effettuati, passato dal 5,1% all’8,7%. Nel frattempo, secondo il report vaccini aggiornato a ieri mattina, le dosi somministrate in Italia sono 111.570.154. Il totale con almeno una dose è pari a 48.074.990 (89% della popolazione over 12), il numero di persone che hanno completato il ciclo vaccinale si attesta a 46.397.916 (85,91% degli over 12) mentre il totale dose addizionale/richiamo o booster si attesta a 19.906.208 (il 64,21% della popolazione potenzialmente oggetto). Per quanto riguarda la platea 5-11 anni sono 337.597 i bimbi con almeno una dose (9,23 %).
«Il fabbisogno di vaccini per il mese di gennaio verrà assicurato dalle dosi di Pfizer e Moderna nella disponibilità della struttura commissariale» ha assicurato il commissario per l’emergenza Francesco Paolo Figliuolo. «Nel complesso, i quantitativi sono in grado di esprimere una potenzialità di 26 milioni di somministrazioni».
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Domani Cdm. Si alza l’asticella, ma nel settore privato sarà un’introduzione graduale. Ineluttabile la restrizione per la Pa.Lieve frenata della curva dei positivi ai tamponi molecolari, ricoveri ancora su. Tra 5-10 giorni, invece, diversi modelli matematici prevedono il picco di Omicron.Lo speciale contiene due articoli.Come la donzelletta «al dì di festa», il governo si appresta ad approvare spensierato l’obbligo vaccinale per tutti i lavoratori. Si deciderà domani pomeriggio, nel Consiglio dei ministri previsto «in sul calar del sole». Riassuntino. Prima fu il green pass. Poi arrivò il super green pass. Infine giunge, con usuale lietezza, l’ultra green pass: la carta verde più potente che ci sia. Sarà necessaria per buscarsi la pagnotta, sia nel pubblico che nel privato, a dispetto di conclamata inutilità e inesauribili incongruenze. Per lavorare non basterà più il tampone negativo: procedura già prolissa, diventata improba con l’esplosione dei positivi. O puntura o niente. La nuova imposizione varrà per i circa 950.000 dipendenti pubblici fino a oggi esentati, a differenza di forze dell’ordine, scuola e sanità. Ben più vasta la platea dei privati da precettare. Mario Draghi ragiona però su un obbligo graduale, benché inesorabile. Vuole evitare ulteriori patemi nella maggioranza, soprattutto in vista dell’imminente voto sul Quirinale, per cui resta favoritissimo.Bisogna schivare, insomma, l’inciampo occorso con il decreto dello scorso 30 dicembre. Il premier voleva la definitiva stretta, erga omnes, per i lavoratori. Ma poi sono prevalsi i dubbi di Lega e 5 stelle. Adesso però, anche a causa del pressing di Confindustria e sindacati, l’asticella è destinata ad alzarsi ulteriormente. A un nonnulla dell’arma finale: inoculazione per tutti, dai 18 anni in su. Un ineluttabile passo alla volta, però. Nella spasmodica attesa del Consiglio dei ministri di domani, si ragiona ancora sul da farsi. L’ipotesi che sembra più probabile è comunque la corsa a tappe nel settore privato. Ovverossia: introdurre il vincolo per settori, sperando di non penalizzare ulteriormente il mondo produttivo. Alcuni comparti già arrancano. Come i trasporti. L’impennata dei contagi e le sterminate quarantene costringono a casa milioni di asintomatici. Mentre s’avvicina il prossimo 10 gennaio, quando ci vorrà il super green pass anche per salire sui mezzi pubblici. Altro caos garantito. Difatti Francesco Del Deo, presidente dell’Associazione nazionale Comuni isole minori, chiede ora deroghe per i trasporti marittimi e aerei, «unico collegamento possibile con il resto della nazione». Altrimenti, si rischia l’esilio forzato per i residenti non vaccinati. Difficile, però, che il governo ascolti l’appello dei confinati. Qualche temporanea cautela potrebbe resistere solo per l’obbligo vaccinale nel privato, appunto. Per i dipendenti pubblici, invece, le nuove restrizioni sembrano ineluttabili. D’altronde, il settore ha un implacabile alfiere: Renato Brunetta, ministro al ramo statale e fautore dell’ultra green pass ai lavoratori di ogni ordine e grado. Se Draghi dovesse davvero ascendente al Colle, rimane tra i papabili per Palazzo Chigi, quale membro anziano dell’esecutivo. Inarrivabile esegeta del premier, negli ultimi tempi s’è ulteriormente distinto tra gli infervorati. Il green pass è «la più grande manovra di politica economica del governo». Meglio ancora: «È una misura geniale». Fino all’apoteosi: «Grazie al certificato, boom di immunizzati».Assieme a Brunetta, scalpitano Pd, Leu e Italia viva: serve l’obbligo vaccinale, altroché. Per tutti e alla svelta. Il resto dei forzisti sembra un filino più cauto. A partire dal Cavaliere, che ha bisogno di tenere unito il centro destra in vista della già tribolata corsa per il Colle. Dunque, s’avanza un compromesso che non intacca la sostanza: vincolo immediato per il pubblico, progressivo per il privato. Le sibilline parole del sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, sembrano confermarlo: «C’è un confronto aperto all’interno della maggioranza, ma confido che Draghi saprà mettere in campo una sintesi». Quindi? «Prevedo che si arrivi a un’estensione del super green pass, magari graduale, per tutti i lavoratori». Perché? «Può essere una misura che, in un certo senso, può aiutare a convincere una parte di quei cinque milioni di italiani che non si sono ancora vaccinati».Beh, a dire il vero, numeri alla mano, la sequela di obblighi surrettizi, nonostante i promettenti annunci, non ha portato all’ipotizzato exploit delle prime dosi. Né tantomeno alla sicurezza, come assicurava il premier, di trovarsi solo in compagnia di «persone non contagiose». Dichiarazioni, magari in buona fede, che ora rintoccano surreali. L’Italia, grazie alla prodigiosa escalation dei green pass, dal semplice di vecchio conio al nascente supersonico, non sta meglio dei Paesi senza restrizioni. Vedi l’Inghilterra. Quando il primo ministro, Boris Johnson, diceva che bisognava fare circolare il virus, lo consideravano un pericoloso svitato. Adesso anche in Italia, con l’abolizione della quarantena per i vaccinati, sembrano della stessa spericolata idea. Sul green pass, invece, niente retromarce. Altroché. Domani, l’ultimo atto. Proprio mentre in Finlandia i temerari al governo hanno sospeso il lasciapassare sanitario fino al 20 gennaio 2022. Con la più disarmante delle motivazioni: non serve a frenare i contagi. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/governo-greenpass-obbligo-vaccinale-lavoratori-2656211807.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="contagiati-il-doppio-in-una-settimana" data-post-id="2656211807" data-published-at="1641246551" data-use-pagination="False"> Contagiati, il doppio in una settimana Sono 68.052 ieri in Italia i nuovi casi di coronavirus (domenica erano stati 61.046). Così sono almeno 6.396.110 il numero di persone che hanno contratto il virus Sars-CoV-2 (compresi guariti e morti) dall’inizio dell’epidemia. Rispetto a una settimana fa, i positivi sono più che raddoppiati: lunedì 27 dicembre erano 30.810, seppure con 343.000 tamponi effettuati. Secondo le analisi del matematico Giovanni Sebastiani, dell’Istituto per le applicazioni del calcolo M. Picone del Cnr, «in Italia potrebbe arrivare fra 5-10 giorni il picco di contagi dell’attuale ondata pandemica alimentata dalla variante Omicron: è quanto lascia presupporre la lieve frenata della curva dei positivi ai tamponi molecolari registrata negli ultimi quattro giorni, un trend da confermare con i dati dei prossimi 2-3 giorni e che potrebbe risentire fra due o tre settimane degli effetti della riapertura delle scuole e dello shopping per i saldi». Ieri i morti sono stati 140, domenica erano 133 portando così il totale delle vittime da febbraio 2020 a 137.786. Secondo i dati del bollettino quotidiano del ministero della Salute, i tamponi molecolari e antigenici effettuati ieri sono stati 445.321 contro i 278.654 del giorno precedente facendo scendere il tasso di positività al 15,2%, rispetto al 21,9% di domenica. Il numero dei ricoveri con sintomi nei reparti ordinari sale a 12.333, rispetto al giorno prima 577 in più mentre i pazienti in terapia intensiva sono diventati 1352, 32 in più, con 103 ingressi del giorno (domenica erano 104). I dimessi/guariti crescono di 13.379 unità, arrivando a 5.133.272 mentre gli attualmente positivi diventano 1.125.052 (54.515 in più rispetto a ieri) di cui 1.111.368 in isolamento domiciliare. I contagi totali in Italia dall’inizio della pandemia sono 6.396.110. Anche ieri la regione con più casi è stata la Lombardia, in netta crescita (+13.421), seguita da Emilia Romagna (+8.014), Toscana (+6.952), Campania (+6.653) e Veneto (6.468). E proprio il governatore leghista del Veneto, Luca Zaia, ha annunciato che la Regione con un’incidenza di casi Covid di 820 ogni 100.000 abitanti e un Rt di 1,19, l’occupazione delle aree medica non critica del 19,5% e quella delle terapie intensive del 18,6%, vicino alla soglia critica del 20, «sarà almeno due settimane in giallo». Zaia ha però sottolineato che è proprio l’occupazione delle aree mediche, ancora lontana dal 30%, a non consentire il passaggio di fascia. Un dato da record arriva dalla Sicilia dove, nella settimana appena conclusa, i nuovi positivi al Covid sono stati 27.814, il 136,6% in più rispetto alla settimana precedente e oltre il triplo rispetto a 14 giorni fa con un aumento anche del rapporto fra tamponi positivi e tamponi effettuati, passato dal 5,1% all’8,7%. Nel frattempo, secondo il report vaccini aggiornato a ieri mattina, le dosi somministrate in Italia sono 111.570.154. Il totale con almeno una dose è pari a 48.074.990 (89% della popolazione over 12), il numero di persone che hanno completato il ciclo vaccinale si attesta a 46.397.916 (85,91% degli over 12) mentre il totale dose addizionale/richiamo o booster si attesta a 19.906.208 (il 64,21% della popolazione potenzialmente oggetto). Per quanto riguarda la platea 5-11 anni sono 337.597 i bimbi con almeno una dose (9,23 %). «Il fabbisogno di vaccini per il mese di gennaio verrà assicurato dalle dosi di Pfizer e Moderna nella disponibilità della struttura commissariale» ha assicurato il commissario per l’emergenza Francesco Paolo Figliuolo. «Nel complesso, i quantitativi sono in grado di esprimere una potenzialità di 26 milioni di somministrazioni».
L’argento è ai massimi storici a oltre 60 dollari l’oncia superando i fasti del 1979 o del 2011. Oltre 45 anni fa l’inflazione fuori controllo, la crisi degli ostaggi in Iran e l’invasione sovietica dell’Afghanistan spinsero il prezzo dell’oro a triplicare, mentre l’argento salì addirittura di sette volte. Dopo quel picco, entrambi i metalli entrarono in una lunga fase di declino, interrotta solo dalla sequenza di crisi finanziarie iniziata con il crollo del mercato immobiliare statunitense nel 2007, proseguita con il fallimento di Lehman Brothers nel 2008 e culminata nella crisi del debito europeo tra il 2010 e il 2012. In quel periodo l’oro raddoppiò, mentre l’argento quasi quadruplicò.
A differenza dei grandi rally del passato, l’ultimo anno non è stato caratterizzato da eventi catastrofici paragonabili. E allora perché un rally dei «preziosi»? Parte della spiegazione risiede nelle preoccupazioni degli investitori per una possibile pressione politica sulla Federal Reserve, che potrebbe tradursi in inflazione più elevata con tassi più bassi, uno scenario tradizionalmente favorevole ai metalli preziosi. Un’altra parte deriva dagli acquisti di oro da parte delle banche centrali, impegnate a ridurre la dipendenza dal dollaro. Oggi il metallo giallo rappresenta circa il 20% delle riserve ufficiali globali, superando l’euro (16%). Il congelamento delle riserve russe dopo l’invasione dell’Ucraina ha incrinato la fiducia nel dollaro come valuta di riserva, rafforzando l’attrattiva dell’oro e, per effetto di contagio, anche dell’argento.
Lo sblocco di 185 miliardi di euro di asset russi congelati sta già producendo effetti profondi sull’architettura finanziaria globale e sulla gestione delle riserve da parte delle banche centrali. Secondo Jefferies, il dibattito sulla possibile monetizzazione di queste riserve rappresenta un precedente di portata storica e costituisce uno dei principali motori dell’accelerazione degli acquisti di oro da parte delle banche centrali, iniziata nel 2022.
Il problema è innanzitutto di fiducia. Per i mercati globali il segnale è già stato colto. Il congelamento delle riserve russe nel 2022 è stato il “trigger” - lo stimolo - che ha spinto molti Paesi, soprattutto al di fuori del G7, a interrogarsi sulla sicurezza delle proprie attività denominate in valute occidentali. La risposta è stata un accumulo senza precedenti di oro. I dati del World Gold Council mostrano che tra il terzo trimestre del 2022 e il secondo del 2025 le banche centrali hanno acquistato 3.394 tonnellate di metallo prezioso, con tre anni consecutivi oltre la soglia delle 1.000 tonnellate.
Questo movimento strutturale si è intrecciato con altri fattori macroeconomici che hanno sostenuto una spettacolare corsa dell’oro. Tra il 2024 e il 2025 i prezzi sono raddoppiati, spinti dagli acquisti ufficiali, dai tagli dei tassi della Federal Reserve, da un dollaro più debole, dai dubbi sull’indipendenza della banca centrale statunitense e dal ritorno massiccio degli investitori negli Etf.
Altro fattore scatenante di oro e argento è il debito. Quello globale sfiora ormai la soglia dei 346mila miliardi di dollari, segnala l’Institute of International Finance (IIF), che nel suo ultimo rapporto evidenzia come, a fine settembre, l’indebitamento complessivo abbia raggiunto i 345,7 trilioni, pari a circa il 310% del Pil mondiale. Secondo l’IIF, «la maggior parte dell’aumento complessivo è arrivato dai mercati sviluppati, dove l’ammontare del debito ha segnato un un rapido aumento quest’anno».
Più debito e più sfiducia sulle regole finanziarie portano alla fuga però dai titoli di Stato, come emerge dai rendimenti. Quelli dei bond pubblici globali a 10 anni e oltre sono balzati al 3,9%, il livello più alto dal 2009. I rendimenti obbligazionari mondiali (gli interessi che si pagano) sono ora 5,6 volte superiori al minimo registrato durante la pandemia del 2020. Trainano il rialzo le principali economie, tra cui Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Canada, Germania e Australia. Per dire, il rendimento dei titoli di Stato tedeschi a 30 anni è salito al 3,46%, il livello più alto da luglio 2011. Quando l’argento toccò un picco.
L'era del denaro a basso costo per i governi sembra finita. Vediamo come finisce questa corsa del «silver» e del «gold».
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Ansa
Secondo quanto riferito, i militari della Bundeswehr saranno impiegati principalmente in attività di ingegneria militare. Un portavoce del dicastero ha spiegato che il loro compito consisterà in «attività di ingegneria», che potrebbero includere «la costruzione di fortificazioni, lo scavo di trincee, la posa di filo spinato o la costruzione di barriere anticarro». Sempre secondo il ministero, il dispiegamento non richiederà però un mandato parlamentare, poiché «non vi è alcun pericolo immediato per i soldati legato a un conflitto militare».
Ma se il pericolo non c’è allora perché inviarli oltretutto senza passare dal Parlamento? Il rafforzamento delle difese lungo il confine orientale dell’Alleanza si inserisce in un contesto segnato dal protrarsi della guerra in Ucraina e dall’intensificarsi delle operazioni militari russe sul terreno. Secondo un rapporto analitico dell’intelligence britannica datato 13 dicembre, rilanciato da Rbc, le forze russe stanno tentando di avanzare nell’area di Siversk, nella regione di Donetsk, approfittando delle difficili condizioni meteorologiche. Londra smentisce però le dichiarazioni di Mosca sul controllo totale della città. Gli analisti ritengono che reparti russi siano riusciti a infiltrarsi nella zona centrale sfruttando la nebbia, mentre le Forze di difesa ucraine continuano a presidiare i quartieri occidentali, a conferma che i combattimenti sono ancora in corso anche se la città risulta ormai in gran parte perduta e per tentare di riconquistarla sarebbero necessarie nuove riserve. L’intelligence britannica sottolinea inoltre come Siversk rappresenti da tempo un obiettivo strategico per Mosca. Il controllo della città, spiegano gli analisti, consentirebbe alle forze russe di aprire un corridoio verso centri urbani più grandi e decisivi del Donetsk, come Sloviansk e Kramatorsk, che restano sotto il controllo ucraino. Il rapporto segnala inoltre una capacità limitata delle truppe ucraine di condurre operazioni di raid localizzate nella parte settentrionale di Pokrovsk e sottolinea come le forze russe continuino a subire perdite consistenti lungo l’intera linea del fronte. Secondo le stime di Londra, nel 2025 il numero complessivo di morti e feriti tra le fila russe potrebbe arrivare a circa 395.000 unità.
Sul piano umanitario ed energetico, l’Ucraina sta affrontando le conseguenze degli ultimi attacchi russi contro le infrastrutture elettriche. Dopo i bombardamenti notturni, oltre un milione di utenze sono rimaste senza corrente. Le squadre di emergenza hanno però già avviato gli interventi di ripristino. «Attualmente oltre un milione di utenze sono senza elettricità. Ma le squadre di riparazione, sia di UkrEnergo che degli operatori del sistema di distribuzione, hanno già avviato i lavori di riparazione per garantire la fornitura ai consumatori. Spero che oggi riusciremo a riparare la maggior parte di ciò che è stato interrotto durante la notte», ha dichiarato Vitaliy Zaychenko, presidente del cda dell’operatore pubblico della rete elettrica, citato dall’agenzia statale Ukrinform. Zaychenko ha aggiunto che le situazioni più critiche si registrano nelle regioni di Odessa, Mykolaiv e Kherson, confermando come il conflitto continui a colpire in modo diretto la popolazione civile e le infrastrutture essenziali del Paese.
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Donald Trump (Ansa)
Insomma, se di nuovo attaccato, in soccorso del Paese di Volodymyr Zelensky scenderebbero gli Stati membri dell’Alleanza. Probabilmente - come nel caso dell’organizzazione nordatlantica - non ci sarebbero automatismi e sarebbero necessarie prima delle consultazioni politiche. La Russia, però, sarebbe avvisata. E la novità è che anche gli Stati Uniti, benché recalcitranti a impegnarsi per Kiev e per il Vecchio continente, hanno accolto il lodo Meloni.
Axios, citando fonti dell’amministrazione americana, ha scritto che la Casa Bianca sarebbe pronta a dare il suo assenso, sottoponendo comunque l’intesa al voto del Congresso. «Vogliamo offrire agli ucraini», ha dichiarato un funzionario Usa, «una garanzia di sicurezza che non sia un assegno in bianco da un lato, ma che sia sufficientemente solida dall’altro».
La definizione dello scenario postbellico sarebbe uno dei tre accordi da firmare separatamente: uno per la pace, uno per la sicurezza, uno per la ricostruzione. L’esponente dell’esecutivo statunitense considera positivo che, per la prima volta, la nazione aggredita abbia mostrato una visione per il dopoguerra. A dispetto dell’apparente stallo dei negoziati, peraltro, il collaboratore di Donald Trump ha riferito ad Axios che, negli Usa, l’apertura di Zelensky almeno a un referendum sullo status dei territori occupati viene considerata «un progresso». All’America sarebbe stato giurato che gli europei sosterrebbero il capo della resistenza, se decidesse di mandare in porto la consultazione.
Steve Witkoff e Jared Kushner si sarebbero confrontati su piano per creare una zona demilitarizzata a ridosso del fronte, insieme ai consiglieri per la sicurezza di Ucraina, Germania, Francia e Regno Unito. I passi avanti sarebbero stati tali da convincere Trump a spedire il genero e l’inviato speciale in Europa. Entrambi, in vista del vertice di domani, sono attesi oggi a Berlino per dei colloqui con rappresentanti ucraini e tedeschi. Domani, invece, i delegati di The Donald vedranno il cancelliere, Friedrich Merz, Macron e il premier britannico, Keir Starmer. Al summit parteciperanno anche altri leader Ue e Nato, tra cui Giorgia Meloni. Reduce, a questo punto, da un successo politico e diplomatico.
Un’accelerazione delle trattative potrebbe aiutarla a trarsi d’impaccio pure dalle difficoltà interne: i malumori della Lega per il decreto armi e l’intervento a gamba tesa del Colle sulla necessità di sostenere Kiev. La reprimenda di Sergio Mattarella poteva certo essere diretta contro il Carroccio, che infatti ieri ha risposto, con toni insolitamente duri, tramite Paolo Borchia: al capo dello Stato, ha lamentato l’eurodeputato, «piace far politica». A giudicare dai commenti di Matteo Salvini e Claudio Borghi, però, sembra improbabile una crisi della maggioranza. Ma la coincidenza davvero interessante è che l’inquilino del Quirinale ha pronunciato il suo discorso appena dopo il faccia a faccia tra Meloni e Zelensky, cui il nostro premier avrebbe fatto presente l’inevitabilità di «concessioni territoriali dolorose». Ieri è toccato ad Antonio Tajani smentire le presunte pressioni italiane affinché l’Ucraina accetti le condizioni del piano di Trump. «Sui territori», ha precisato il ministro degli Esteri, seguito a ruota da Guido Crosetto, «la decisione è solo degli ucraini». Fatto sta che, pure sull’utilizzo degli asset russi - una partita delicatissima, nella quale nemmeno la posizione della Germania è priva di ambiguità - Roma sta cercando di disinnescare le mine piazzate dalla Commissione europea, che sarebbero di intralcio alla pace.
Chi, intanto, si sta riaffacciando nella veste di mediatore è Recep Tayyip Erdogan. Teme che il Mar Nero, nel quale Ankara mantiene interessi vitali, diventi «un campo di battaglia», come ha detto ieri il Sultano. Non a caso, Kiev ha accusato Mosca di aver colpito un cargo turco che trasportava olio di girasole. Erdogan ha garantito che «la pace non è lontana» ed espresso apprezzamenti per l’iniziativa di The Donald. «Discuteremo il piano anche con il presidente degli Stati Uniti Trump, se possibile», ha annunciato. Con Vladimir Putin, ha aggiunto il presidente, «abbiamo parlato degli sforzi della Turchia per raggiungere la pace. Entrambi riteniamo positivo il tentativo di impostare un dialogo per porre fine al conflitto. Trump si è attivato e noi siamo al suo fianco, i nostri contatti con gli Usa sono continui».
Ieri, sono stati trasferiti in Ucraina quasi tutti i prigionieri liberati dalla Bielorussia in cambio dello stop alle sanzioni statunitensi, compresa l’oppositrice al regime Maria Kolesnikova. Pure questo è un piccolo segnale. Se ne attende qualcuno dall’Europa. Prima che la guerra diventi la sua tragica profezia che si autoavvera.
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