2020-01-19
L’unico lavoro difeso dalla sinistra è quello sulla pelle degli immigrati
Repubblica affranta per gli operatori dei centri profughi finiti a spasso dopo che Matteo Salvini ha chiuso i porti. E per trovare loro un nuovo impiego, l'esecutivo studia un'altra sanatoria, ispirata alle idee di Emma Bonino.Mise assediato da crisi aziendali che rischiano di lasciare in strada migliaia di operai. Tavoli fissati a regionali avvenute: i giallorossi non vogliono rischiare di perdere voti.Lo speciale contiene due articoli.Si dice che, ormai da tempo, la sinistra italiana non si occupi più di lavoro. E in effetti, se guardiamo i cinque punti proposti da Nicola Zingaretti giorni fa per rilanciare il Pd, viene da pensare che sia vero. L'illustre segretario ha parlato di ambiente, di differenze di genere, di salute, educazione, semplificazione. Ma quell'antica è bistrattata parola - lavoro - proprio ha evitato di citarla. Tuttavia non dobbiamo essere ingiusti. Bisogna anzi riconoscere che ai puri di cuore del progressismo italico alcune forme di lavoro interessano parecchio: tutte quelle riguardanti i migranti. Da giorni, infatti, sale da sinistra uno straziante lamento: gli operatori dei centri di accoglienza, a causa dei decreti Sicurezza voluti dall'orrendo Salvini (e che l'attuale governo non ha ancora cancellato), rischiano di perdere il posto. Ieri, a leggere Repubblica, c'era da farsi spezzare il cuore: poiché il numero di stranieri inseriti nel sistema dell'accoglienza è passato da circa 168.000 a 90.000, si stima che «15.000 operatori del terzo settore, quasi tutti giovani under 35 italiani» saranno lasciati a casa a causa della chiusura dei centri di accoglienza. In aggiunta, il giornale proponeva la storia strappalacrime di Federica, 35 anni, mediatrice culturale, licenziata per via della chiusura dei progetti Sprar. Insomma, chi si oppone all'immigrazione di massa non soltanto è razzista-fascista-xenofobo, ma pure nemico dei giovani e del lavoro. Quale dovrebbe essere la soluzione secondo gli illuminati amici progressisti? Ovvio: cancellare i decreti salviniani e far ricominciare daccapo la girandola dell'accoglienza indiscriminata. Forse a sinistra non si rendono conto di quanto cinismo trasudi da ragionamenti di questo tipo. Cercano di far passare l'idea che i sovranisti cattivi danneggino una marea di persone, ma trascurano alcuni particolari non del tutto irrilevanti. Già il fatto che il settore dell'accoglienza in questi anni abbia impiegato migliaia di persone è semplicemente folle. Significa che qualcuno ha voluto edificare un intero sistema basato sullo sfruttamento della sofferenza per creare qualche impiego (e così addolcire una pillola altrimenti fetida). Negli anni di Renzi e Gentiloni, quando gli sbarchi erano alle stelle, da ogni parte proliferavano corsi di formazione, corsi universitari, master, progetti regionali tutti dedicati alla creazione di professionisti dell'accoglienza. Il piano era chiaro: trasformare l'Italia in un campo profughi a cielo aperto e spingere un bel po' di disoccupati a diventare guardiani del campo. E non stiamo nemmeno parlando di persone assunte dallo Stato, ma di gente impiegata da associazioni e cooperative, la cui unica qualifica, talvolta, era quella di conoscere una lingua africana. Chi scrive ha partecipato a un paio di corsi di formazione di quel tipo, e ha avuto occasione di parlare a lungo con alcuni giovani professionisti dell'accoglienza contrattualizzati da cooperative. A parte lo stipendio ridicolo, le condizioni di lavoro in cui parte di loro si trovava immersa erano al limite del degrado. Vi sembra questo un modo di creare occupazione? Semmai oggi bisognerebbe prendersela con chi ha pensato di mettere in piedi questo meccanismo vergognoso, non con chi ha cercato di abbatterlo. Dobbiamo considerare, per altro, che il numero di impieghi dell'accoglienza dipende dal numero di migranti irregolari che entrano. Per avere tanti impieghi servono tanti sbarchi. Quindi tanti morti, tanti clandestini, tante coop pronte a fare affari, e tutto il restante indotto a cui siamo da tempo assuefatti. Vogliamo davvero far ripartire il moloch immigrazionista perché i centri di accoglienza chiudono e le coop (o la Caritas) si lamentano? È così che si vuole combattere il business dell'accoglienza? Semmai bisognerebbe pensare a come trovare nuovi posti per gli italiani che dovessero essere lasciati a casa da coop e simili. Ma su questi temi, dicevamo, la sinistra appare freddina. E mentre si lagna per i poveri professionisti dell'immigrazione a spasso, contemporaneamente escogita nuovi modi per danneggiare ulteriormente il mercato del lavoro. Il ministro dell'interno, Luciana Lamorgese, ha fatto sapere giorni fa di essere all'opera per approntare un provvedimento di regolarizzazione dei clandestini. Una bella sanatoria che potrebbe toccare potenzialmente 400.000 persone. Dite un po': secondo voi che cosa andranno a fare tutti costoro una volta che saranno regolarizzati? Una metà è composta di colf e badanti, e l'altra? Beh, è ovvio: è gente che dovrà occupare posti di lavoro, un vero e proprio esercito industriale di riserva che farà la sua parte per abbassare i salari di tutti. Niente male come piano...Se non bastasse la trovata della Lamorgese riguardante la regolarizzazione, ecco l'altra splendida proposta: la campagna «Ero straniero» sostenuta da alcuni esponenti del Pd e lanciata dai radicali (noti per apprezzare parecchio il potenziale sfruttamento dei lavoratori importati). Ieri Avvenire ha offerto il suo contributo alla causa con una commovente intervista a don Virginio Colmegna della Casa della carità di Milano. Il don ovviamente tifa perché la legge di iniziativa popolare che la campagna ha prodotto venga approvata. Non è il solo, del resto sappiamo bene che per la Caritas e altre organizzazioni di ambito cattolico l'accoglienza per anni è stata una manna. In sostanza, anche con «Ero straniero» si parla di una gigantesca regolarizzazione, con una aggiunta: la possibilità di concedere permessi temporanei di lavoro agli stranieri irregolari. Tradotto: un'altra bella infornata di lavoratori a basso costo. Per 15.000 (ammesso che siano davvero così tanti) operatori dell'accoglienza a rischio licenziamento si versano lacrime di sangue. Con le sanatorie, invece, parliamo di 400.000 o 500.000 impieghi da occupare, ma nessuno sembra preoccuparsi. È il motivo è sempre lo stesso: alla sinistra interessa il lavoro a patto che favorisca i migranti.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/gli-unici-lavoratori-che-la-sinistra-ama-sono-quelli-delle-coop-dellaccoglienza-2644855790.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="whirlpool-ilva-ed-embraco-chiamano-il-governo-le-risposte-dopo-le-elezioni" data-post-id="2644855790" data-published-at="1762533811" data-use-pagination="False"> Whirlpool, Ilva ed Embraco chiamano il governo. Le risposte? Dopo le elezioni In Italia funziona così: un'azienda è in crisi, premier, vice premier o ministro competente annunciano il tavolo spiegando che faranno di tutto per salvaguardare i posti di lavoro. La notizia va su tutti i tg. Trascorre una settimana e scoppia un'altra crisi d'azienda che mette a rischio un numero maggiore di posti di lavoro. Ci si dimentica della prima e il governo promette che farà di tutto per aprire un tavolo di crisi al Mise e convincere anche questi azionisti a non chiudere i battenti. Ovviamente arriva un terza crisi, che fa dimenticare le prime due. E avanti così. Fino a che il bubbone esplode. È stato così per Alitalia, dimenticata per «merito» dell'Ilva. E prima ancora con gli operai di Whirlpool e della Ex Embraco. Stesso discorso vale per i dipendenti di Mercatone Uno. E ci fermiamo qui perché la lista è lunghissima. Oltre 150 tavoli di crisi sono ufficialmente aperti al Mise. Nella realtà da ormai troppi mesi si assiste solo al gioco delle parti. Un gioco che spinge il governo a buttare la palla sempre più in là. E a dopo le elezioni. Gli operai della fabbrica Whirlpool di Napoli sono scesi per strada quasi una settimana filata. Oltre al freddo, hanno affrontato anche le tensioni con le forze dell'ordine. Il loro obiettivo era spingere il governo a riaprire le trattative con la proprietà. Trattative interrotte lo scorso 30 ottobre, nonostante tutti i vertici del governo avessero denunciato la posizione della multinazionale di chiudere e lasciare a casa i circa 420 dipendenti e avessero promesso di intervenire subito. D'altronde il gruppo in questione nel 2015 aveva preso dei contributi pubblici e, nonostante gli impegni all'inizio del 2018, aveva annunciato la volontà di delocalizzare. A ottobre del 2018 la proprietà, di fronte alle sigle sindacali, firmava un piano industriale di rilancio. Sei mesi dopo il sindacato, chiedendo all'azienda una verifica di quel piano, scopriva che i dirigenti di Whirlpool in una slide avevano previsto la chiusura dello stabilimento napoletano. Una doccia fredda per i rappresentanti dei lavoratori che, in un durissimo confronto al Mise, mettevano la multinazionale di fronte alla sua palese contraddizione: perché non aveva sollevato quel problema sei mesi prima? Da ottobre scorso i sindacati chiedono al Mise di non tacere e andare avanti. Zero risposte. Solo lo sciopero per strada ha spinto Stefano Patuanelli a fissare una data per riavviare il tavolo. Guarda caso l'agenda si è liberato soltanto il 29 gennaio. Tre giorni dopo le elezioni in Emilia Romagna che sono diventate la boa da superare a ogni costo. Purtroppo altri operai, quelli della Ex Embraco (con sede a Chieri ed ex controllata dalla Whirlpool) al freddo hanno trascorso quasi tre mesi. Per loro si erano impegnati nell'ordine l'ex ministro Carlo Calenda e Luigi Di Maio. Il primo si era scontrato a parole con l'Ue, dal momento che la nuova proprietà israeliana all'improvviso aveva scelto di spostare armi e bagagli in Slovacchia per ottenere nuove agevolazioni fiscali e contributi europei. In pratica, l'allora governo Gentiloni cavalcò la concorrenza dentro l'Ue per additare una causa esterna e per sfilarsi dalle responsabilità. Poi però non è stato fatto nulla, salvo passare il testimone al capo dei grillini che ha fatto ancora peggio, dal momento che ha dimostrato di non sapere nemmeno monitorare lo stato dell'arte degli oltre 150 tavoli aperti. I dipendenti di Mercatone Uno hanno scoperto tramite i social di essere stati licenziati. L'azienda maltese che doveva salvarsi era fallita di nuovo al tribunale di Milano. Gli esperti del Mise, all'epoca guidati dal grillino Giorgio Soria, non se ne erano nemmeno accorti. Succederà la stessa cosa per l'ex Ilva dopo le settimane calde della trattativa con i franco indiani di Arcelor Mittal. Nessuno è in grado di garantire al 100% che non ci saranno esuberi o cassaintegrati. Lo scopriremo dopo le elezioni regionali in Emilia Romagna. Fondamentalmente per i 5 stelle il concetto di tavolo di crisi si riassume in una sorta di do ut des. Nel quale la prima parte della frase è una promessa (lavoro per tutti) e la seconda è una caparra. Mi garantisco un buon ritorno elettorale, poi si vedrà. Basta andare a vedere come è stato gestito il profondo declino della ex Irisbus in Irpinia, e fare il raffronto con i risultati del M5s in zona. A tamponare tra una promessa e l'altra si finisce sempre con l'applicare lo schema degli esuberi e della cassa integrazione. Sacrosanto evitare tragedie familiari, ma usare sempre denaro pubblico invece di strategie vere per rilanciare il Paese serve solo a creare un mostro a cui non resta altro che cominciare a divorare i propri organi interni. La sinistra e i 5 stelle vogliono ridistribuire la ricchezza, ma quasi nessuno ne produce più lungo la Penisola. Esiste solo la ricchezza accumulata dai nostri nonni e genitori. Cercheranno di espropriarla.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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