
L'associazione britannica che insegna agli studenti a «mostrare il cartellino rosso al razzismo» finisce per espellere il regista guru della sinistra radicale dalla giuria di un concorso scolastico. La sua colpa? Accusare di «pulizia etnica» lo Stato d'Israele.Chi di antirazzismo ferisce, di antirazzismo perisce. Si potrebbe commentare così, con una battuta apparentemente paradossale, l'ultima contraddizione di cui si è resa protagonista una cultura solo a parole tollerante nei confronti del regista britannico Ken Loach, che lunedì è stato messo alla porta da un'associazione educativa antirazzista, Show racism the red card, che lo aveva chiamato come giudice di un noto concorso scolastico inglese. Per capire come ciò sia stato possibile, occorre fare un passo indietro, ricordando anzitutto chi sia il personaggio in questione, ossia un vero e proprio idolo della sinistra.Classe 1936, figlio di operai, studi oxfordiani, due Palme d'oro, un Leone d'oro alla carriera e una marea di altri premi, Loach rappresenta infatti per storia e produzione quella che si potrebbe definire la quintessenza del progressismo britannico, essendo, oltre che venerato regista - a detta di alcuni addirittura il più importante d'Europa -, anche un noto esponente della cosiddetta hard left del partito laburista. In tanti anni di militanza, il regista ha avuto più occasioni non solo di condannare il razzismo, ma anche d'indicare quella che ne sarebbe la funzione sociale, a suo dire riconducibile ai «fascisti» al soldo «del capitale».«Il razzismo ha una funzione nella nostra società», aveva a tal proposito dichiarato Loach anni or sono, «e cioè impedirci di identificare il nostro vero nemico. La responsabilità del problema dei senza tetto, della povertà e dello sfruttamento non è delle persone più povere e sfruttate». «Farli diventare il capro espiatorio perché sono neri o marroni o perché vengono da una cultura diversa», aveva inoltre aggiunto, «lascia i veri sfruttatori liberi di agire». Ebbene, nonostante tali nette e ad anche originali prese di posizione, da qualche tempo sul guru radical chic ha iniziato - per un curioso paradosso, quasi un contrappasso - ad addensarsi la nube del pregiudizio. Per la precisione, quella del pregiudizio antisemita.Un primo assaggio lo si è avuto con il film Io, Daniel Blake, interpretato da Dave Johns e premiato a Cannes nel 2016. In quella occasione, Loach ritirò infatti il premio non senza ribadire il suo antirazzismo. «Desidero ribadire nei termini più forti possibili», furono le sue esatte parole, «che non ho mai negato l'Olocausto. Quelli che cercano di imbrogliare accusandomi sanno che ho sempre combattuto contro ogni razzismo, compreso l'antisemitismo, e dubito che tutti possano dire lo stesso». Parole chiare, che però non hanno liberato il regista britannico dalla nomea sul suo conto.Prova tangibile se n'è avuta lo scorso anno, quando l'università di Bruxelles ha avuto l'idea di assegnargli una laurea honoris causa: non l'avesse mai fatto. Ne sono derivate accese polemiche e proteste alle quali si era unito persino il primo ministro belga, Charles Michel, il quale si era dichiarato molto sorpreso e dispiaciuto dal fatto che l'ateneo che egli stesso aveva frequentato da giovane avesse deciso di premiare il regista inglese. In quell'occasione, emersero più chiaramente i motivi di ostilità nei confronti di Ken Loach, in quanto simpatizzante della causa palestinese e reo, in un'intervista diffusa dalla Bbc durante la quale gli era stato chiesto se la negazione dell'Olocausto fosse accettabile, di aver dichiarato: «Tutta la storia è un nostro patrimonio comune da discutere e analizzare: per esempio, la fondazione dello Stato d'Israele, basata sulla pulizia etnica, è lì e dobbiamo discuterla». E veniamo, finalmente, ai giorni nostri, con Srtrc - acronimo che sta per Show racism the red card, «Mostra il cartellino rosso al razzismo» - associazione antirazzista i cui concorsi interessano 474 scuole per un totale di 27.000 giovani, che aveva pensato di affidare a Ken Loach e a Michael Rosen, altro mostro sacro radical chic in quanto romanziere di famiglia ebraica e comunista, i giudizi sugli elaborati studenteschi in materia, ovviamente, di antirazzismo. Nonostante vanti una rispettata attività lunga un quarto di secolo, l'associazione antirazzista non aveva però fatto bene i suoi conti. Infatti, non appena si era diffusa la notizia del coinvolgimento di Ken Loach nel concorso, dal Board of deputies, la più grande e antica organizzazione comunale ebraica nel Regno Unito, si erano levate voci indignate. Ciò nonostante, ancora il 5 marzo tramite i propri canali Srtrc rivendicava di volersi avvalere del regista. Ne era perciò scaturito un vero e proprio braccio di ferro con il citato Board of deputies, la cui vicepresidente, Amanda Bowman, aveva avvertito l'associazione antirazzista che si stava giocando la «fiducia della comunità ebraica».Tutto questo fino a lunedì, quando, come si diceva all'inizio, Srtrc ha diramato una nota con cui ufficializzava, sulla base di non meglio precisate «nuove informazioni», che Ken Loach è stato sollevato dal ruolo di giurato per il quale era stato coinvolto. Ora, al momento non risulta che l'interessato abbia rilasciato alcuna dichiarazione sulla vicenda che comunque, per quanto tutte le idee siano opinabili, a partire ovviamente da quelle di Loach, un insegnamento lo lascia. Ci riferiamo alla dimostrazione delle lampanti contraddizioni di una cultura che non solo si dichiara antidiscriminatoria, ma pretende pure, con tanto di partecipate iniziative nelle scuole, di educare le giovani generazioni alla tolleranza.Sì, peccato che poi, alla prima occasione, quelle stesse associazioni a parole tolleranti tali non si dimostrino affatto. Con il risultato che il cartellino rosso non viene purtroppo mostrato al razzismo, ma solo alla coerenza, questa sconosciuta.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.