2019-03-24
Gli storici smontano l’allarme fascismo: «Nulla a che vedere con gli anni Trenta»
La rivoluzione culturale nazista, l'ultimo libro di Johann Chapoutot ribadisce la convinzione di molti addetti ai lavori: i populisti non sono i nuovi Hitler.Si intitola La rivoluzione culturale nazista l'ultima opera, appena uscita in traduzione italiana, per i tipi di Laterza, del più importante storico vivente del nazionalsocialismo, almeno per quel che riguarda il suo universo ideologico: parliamo del quarantenne Johann Chapoutot, docente di storia tedesca all'Università di Paris III - Sorbonne nouvelle. Rivoluzione e cultura: due termini che per decenni si è stati tentati di non collegare alla parabola di un regime descritto come reazionario e incolto. Chapoutot, già nei suoi testi precedenti, ha invece ritenuto che sia doveroso farlo, e non certo perché guardi di buon occhio un movimento che già nella prima pagina definisce responsabile del «più intenso scatenamento di violenze mai conosciuto nella storia dell'umanità». La critica di Chapoutot al nazismo è radicale, ma ciò nonostante (o forse proprio per questo), lo storico ha ritenuto che ci fosse bisogno di cominciare a prenderne sul serio l'ideologia. Il nazismo, spiega l'autore, è un sistema «normato», cioè risponde a «una normatività assai argomentata ed elaborata», è inscritto in un senso, in una morale, in una filosofia, in una logica. E per quanto queste siano agli antipodi delle norme oggi dominanti, lo storico ha bisogno di entrare in questo sistema di pensiero, se vuole venire a capo dei problemi posti dalla questione nazista. È ciò che Chapoutot ha già fatto nel fondamentale La legge del sangue, uscito in italiano per Einaudi, e nel quale si è confrontato con 1.200 opere e una cinquantina di film tratti dall'immenso corpus ideologico nazionalsocialista. Uno studio così meticoloso porta peraltro l'autore a comprendere l'assurdità dell'odierna propaganda che vorrebbe i vari Matteo Salvini, Donald Trump o Viktor Orbán come novelli Führer. Chapoutot, che certo non è accusabile di essere vicino ai populisti, ha respinto al mittente il parallelo con termini netti: «Il paragone», ha scritto in una raccolta non tradotta in italiano, Comprendre le nazisme, «è permanente senza essere pertinente. Gli anni Trenta sono un periodo di fermentazione della prima guerra mondiale, che è l'esperienza di una violenza di massa inedita nella storia dell'umanità, con 80 milioni di uomini al fronte, società quasi totalmente mobilitate alle loro spalle e più di 10 milioni di morti. E la crisi del 1929 che si propaga dagli Usa all'Europa. Noi non siamo affatto in questo contesto culturale e antropologico. L'opzione del ricorso alla violenza non si pone negli stessi termini. All'epoca, essa è praticata, legittimata dalle leghe di estrema destra e dai gruppi di estrema sinistra. Oggi non succede più, fortunatamente».Il tutto con buona pace di Antonio Scurati, che ancora ieri, su Repubblica, credeva di poter lanciare il suo romanzo spiegandoci che «il fascismo è ancora vivo dentro di noi», nonostante il parere della gran parte degli storici che, anche riguardo all'esperienza italiana, mettono in guardia da attualizzazioni a capocchia. La rivoluzione culturale nazista riprende alcuni dei temi già trattati ne La legge del sangue e in un altro, notevole, volume, Il nazismo e l'antichità, per fornire un quadro sintetico del suddetto sistema di pensiero, tenendo presente che «quelle idee furono in grado di convincere perché, per quanto possa apparirci stupefacente, inaudito e rivoltante dopo Treblinka e Sobibor, ambivano a fornire risposte a domande che i contemporanei si ponevano, o piuttosto a domande che la modernità industriale, urbana, culturale rivolgeva a coloro che la vivevano». Non mera irruzione di una barbarie inspiegabile e aliena nel cuore della modernità illuministica, quindi, ma visione del mondo che nelle contraddizioni della contemporaneità si è incardinata. Al centro di questa visione del mondo, per l'autore, c'era la necessità di salvare il popolo tedesco da un processo di alienazione antropologica e culturale che ne aveva nel corso dei secoli snaturato le caratteristiche originarie. La «rivoluzione culturale nazista» doveva allora decostruire, passo passo, con discorsi e pratiche, l'elemento non germanico incistatosi nella sfera esistenziale tedesca. Da qui tutta una serie di dibattiti come quello sulla possibilità di leggere la Critica della ragion pratica kantiana in termini di «etica nordica», di cui Chapoutot dà conto in un interessante capitolo del libro. Lo storico francese compie quindi il difficile sforzo di cercare di comprendere come pensa un nazista. La storia non si fa con l'indignazione, ma con lo sforzo ermeneutico. Scrive Chapoutot, ancora in Comprendre le nazisme: «Seguire l'ingiunzione di Marc Bloch, “comprendere e non giudicare", ci permette forse di fare ciò che non si fa mai, perché è difficile e imbarazzante per noi: pensare il nazismo». Rompendo con una traduzione che vede il «mattone» biografico su Adolf Hitler come pietra angolare della storia del nazismo, Chapoutot adotta peraltro un approccio quasi strutturalista, pensionando la visione hegeliana che vedeva la storia come la materia forgiata dalle grandi personalità. Ciò non gli ha peraltro impedito di scrivere, insieme a Christian Ingrao, un succinto libretto sulla vita di Hitler, interpretandone però la parabola biografica come un «condensato» delle esperienze di milioni di individui della stessa epoca. Allo stesso modo, lo storico ha relativizzato l'importanza del manifesto ideologico hitleriano: «Il nazismo si fa molto largamente al di fuori del Mein kampf», ha dichiarato. La vera storia del nazismo, forse, deve ancora essere scritta.
Giorgia Meloni e Donald Trump (Ansa)
Il valico di Rafah (Getty Images)