2022-08-31
Gli scontri fra sciiti incendiano Baghdad
Proteste, violenze e morti dopo la decisione «di ritirarsi definitivamente dalla vita politica» di al Sadr, vittorioso alle elezioni 2021, anima della resistenza irachena all’occupazione straniera e nemico dell’Isis. Ma la sua leadership è avversata da iraniani e Usa.Il leader politico e religioso sciita iracheno Muqtada al Sadr ha ordinato alle 15.00 di ieri (le 14.00 in Italia) ai suoi seguaci armati di ritirarsi dalle strade dentro e attorno alla Zona verde di Baghdad, l’area della capitale dove si trovano sia gli edifici governativi sia le sedi diplomatiche straniere. Nel comunicato diffuso dai suoi collaboratori, al Sadr ha confermato la decisione assunta lunedì scorso «di ritirarsi definitivamente dalla vita politica», un fatto che ha scatenato le proteste sfociate nelle violenze dell’altra notte. Il bilancio dei disordini è di almeno 23 morti tra i sostenitori di al-Sadr, uccisi a colpi di arma da fuoco all’interno della Zona verde di Baghdad mentre i feriti sarebbero più di 400. I supporter di al-Sadr si sono scontrati contro l’esercito regolare e gli uomini dell’Hachd al Shaabi, gruppo paramilitare filoiraniano. Il religioso iracheno non è nuovo agli annunci di dimissioni dalla vita politica, uno stragemma al quale ha fatto ricorso anche in passato quando le cose non volgevano a suo favore. La situazione stavolta è più complessa perché prima di lui si era dimesso l’ayatollah Kadhim al Haeriche, supportato anche da molti seguaci di al Sadr, che aveva invitato i suoi sostenitori a restare fedeli alla Guida suprema iraniana Ali Khamenei. Al Sadr ha chiesto pubblicamente scusa al popolo iracheno per gli scontri e durante una conferenza stampa trasmessa dalla televisione irachena ha affermato: «Sono molto rattristato per quello che sta accadendo in Iraq, offro le scuse al popolo iracheno per quello che è successo», ribadendo infine il fatto che «le proteste devono rimanere pacifiche». La decisione di lasciare la vita politica è arrivata dopo che al Sadr ha provato per mesi a scegliere sia il premier (uno sciita) che il capo di Stato (un curdo), cariche attualmente vacanti. Viste le resistenze dentro e fuori dall’Iraq (da parte di iraniani e statunitensi) ad al Sadr non è rimasto altro che alzare sempre di più i toni dello scontro. Prima con l’occupazione fisica dei luoghi del potere, poi è passato al ritiro di tutti i suoi deputati dal Parlamento per poi chiedere lo scioglimento dello stesso. Infine, non essendo riuscito a far uscire l’Iraq dallo stallo politico-istituzionale ha chiesto a tutti i leader politici, lui compreso, di ritirarsi da ogni carica politica. Secondo il generale di divisione Salvatore Polimeno, che ha prestato a lungo servizio in Iraq, «al- Sadr è una delle figure più enigmatiche dello scenario iracheno, difficilmente configurabile in un’ottica occidentale. Figlio di Mohammed Sadeq al Sadr, rispettabile figura tra gli sciiti in tutto il mondo islamico, assassinato a Najaf nel febbraio 1999 presumibilmente per volere del governo di Saddam Hussein, al Sadr ha rappresentato l’anima della resistenza irachena all’invasione angloamericana del 2003 con l’Esercito del Mahdi. Da allora ha segnato nel bene e nel male tutti i momenti degli ultimi 20 anni combattendo sia all’interno contro l’occupazione straniera sia all’esterno contro l’Isis». Anima delle proteste ed interprete delle fazioni più estremiste del popolo iracheno il movimento di al Sadr ha vinto anche le ultime elezioni dell’ottobre 2021. Secondo Polimeno «la sua vittoria invece di portare a una qualche stabilità ha esacerbato gli animi creando quel vacuum di potere da cui sono scaturiti gli eventi di questi giorni, acuitisi a partire dai primi di luglio con una serie di colpi di scena che hanno visto confrontarsi i vari attori istituzionali tra di loro e culminati con l’abbandono della leadership scita da parte dell’ayatollah Kadhim al Haeri a favore dell’ayatollah Ali Khamenei ed in aperto disaccordo con al Sadr». Spettatori non disinteressati alle proteste i 10-15.000 jihadiisti dell’Isis sparsi nel «Siraq». Secondo Shahin Modarres, direttore di Iran Desk del centro studi Itss di Verona, «ci sono alcuni elementi principali che vanno considerati visto l’aumento delle insurrezioni e dei gruppi terroristici. Leadership, finanza, mobilitazione, e vuoto di potere. In questo momento, anche se ci sono ancora numeri preoccupanti di combattenti dell’Isis in Iraq e Siria, l’elemento di leadership che si nutre della legittimità di un leader carismatico è assente. Inoltre, l’Isis ha dovuto affrontare seri problemi di finanziamento perdendo il controllo dei principali traffici di petrolio e patrimonio culturale. A causa della mancanza di un punto di riferimento centrale, la mobilitazione dell’Isis in Iraq non è ormai qualcosa che le forze di sicurezza irachene non possono gestire e a causa della mancanza di equilibrio tra le milizie in Iraq, un vuoto di potere non è una minaccia imminente. Tuttavia, studiando particolari modelli delle reti dell’Isis, questo sembra essere il periodo in cui le forze di sicurezza irachene dovrebbero prestare particolare attenzione alla radicalizzazione e al reclutamento che avviene nelle carceri e nei campi da parte dello Stato islamico. Abbiamo già assistito a tali modelli dopo l’invasione americana dell’Iraq nel 2003», e sappiamo bene come poi è andata a finire, aggiungiamo noi.
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