2020-09-29
Gli intellettuali eroi dell’antifascismo si fanno ancora belli grazie a Mussolini
Antonio Scurati (Archivio Mondadori via Getty Images)
Dai romanzi di Antonio Scurati alla docufiction con Sonia Bergamasco, a sinistra sfruttano l'interesse del pubblico per il Ventennio.Ci tengono sempre a fare la premessa: «Guardi che io sono di sinistra, eh...». Poi, però, s'infilano il costume e si tuffano nel mare nero nerissimo, godendosi come matti le bracciate tra i flutti del passato fascista. In pubblico e sui media non perdono occasione di ribadire la propria fede «democratica», si cingono la fronte con la corona antifascista, talvolta persino firmano appelli sdegnati contro «l'orrore sovranista», affinché la loro superiorità morale sia chiara a tutti. Tuttavia non sono scemi, hanno capito che il fascismo tira, come si dice, e così ne approfittano, seguendo con gusto la corrente. Prendiamo l'attrice Sonia Bergamasco. Intervistata da Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera aderisce perfettamente ai canoni dell'intellettuale di sinistra: si mostra pensosa, rimarca l'appartenenza - ovvio - ma con quella vena di dubbio che consente al progressista di sentirsi libero e appagato, di elevarsi rispetto alle cose del mondo. Dichiara, la Bergamasco, di aver votato No al referendum e di guardare «con speranza ai giovani come Elly Schlein». Insomma, la signora ha tutte le carte in regola. Eppure, guarda un po', interpreterà Margherita Sarfatti in una sorta di docufiction che andrà in onda su RaiStoria. Il concetto viene ribadito già nel titolo: «Io donna di sinistra interpreto Sarfatti, l'amante di Mussolini». A Cazzullo che le domanda se non la imbarazzi interpretare una donna che fu fascistissima, Sonia risponde: «Margherita Sarfatti merita di essere tolta dal letto di Mussolini e restituita a sé stessa». Beh, si può levarla da tutti i letti che volete, ma fascista era, e anche convinta. È interessante, qui, notare i contorni dello psicodramma. Per quale motivo un attore dovrebbe sentirsi a disagio nell'interpretare un personaggio storico? Dopo tutto è il suo mestiere, no? A che cosa servono, dunque, tutte queste scuse non richieste, tutte queste precisazioni sulla fede politica? Viene il sospetto che, in fondo, la Bergamasco si renda conto di una fondamentale incongruenza, a cui partecipa la gran parte degli intellettuali della sinistra italiana. Da una parte, costoro hanno fatto del fascismo il Nemico per eccellenza, sempre in agguato, sempre utile a cementare il fronte progressista. Dall'altra sanno benissimo, i nostri, che questa ossessione nera sfrutta l'attrazione costante (persino morbosa, a tratti) che il pubblico italiano nutre per il regime e tutto ciò che lo circonda. Prendiamo un caso ancora più emblematico, cioè quello di Antonio Scurati. Nel 2019 ha vinto il premio Strega (che gli sfuggiva da anni) grazie a M. Il figlio del secolo (Bompiani), un romanzo su Mussolini. Questo libro, ci informa la biografia ufficiale dell'autore, è rimasto «in vetta alle classifiche per due anni consecutivi [...], è in corso di traduzione in quaranta Paesi e diventerà una serie televisiva». Niente male. La settimana scorsa, Bompiani ha pubblicato M. L'uomo della provvidenza, secondo volume di quella che sarà addirittura una tetralogia che Scurati ha deciso di dedicare al Duce. Diciamolo subito, a scanso di equivoci: i due M, soprattutto il secondo, si leggono con piacere. È difficile staccarsi dalle pagine, viene voglia di andare avanti. Scurati tiene il ritmo, e un po' di confusione su date e fatti non basta a squalificare il suo lavoro. Però non si tratta di romanzi. Non c'è niente di paragonabile, per dire, al capolavoro di Jonathan Littell, La Benevole, una incursione in territorio nazista a cui hanno fatto seguito libri interessanti come Il secco e l'umido. Scurati ha prodotto, appunto, una buona serie tv. Riassume bene i fatti, raccontandoli in modo avvincente, ma la forza dei suoi testi sta praticamente tutta nella potenza di ciò che raccontano, non nella scrittura, nell'invenzione o in chissà quale lettura originale proposta dall'autore. Sui cartelloni che promuovono il secondo M è stampato a caratteri cubitali il giudizio del New York Times, che ha definito il libro «una vera e propria lezione di antifascismo in forma di romanzo». Ma dove starebbe l'antifascismo nella riproposizione giornalistica delle vicende personali e politiche del Duce? Torniamo dunque all'incongruenza in cui già si dibatteva la Bergamasco. M, come tante altre opere simili, fa successo grazie al fascismo e alla fascinazione che ancora esercita. Una fascinazione tutta letteraria, storica, che però gli antifascisti militanti non esitano a tramutare in un pericolo in agguato, salvo poi non farsi scrupoli a sfruttarla per avere successo. Bisogna ammettere che un certo mondo culturale ha appreso perfettamente la lezione di Umberto Eco contenuta in Costruire il nemico (appena ristampato da La Nave di Teseo). «Avere un nemico», scriveva il professore, «è importante non solo per definire la nostra identità, ma anche per procurarci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell'affrontarlo, il nostro». La sinistra intellettuale italiana ha usato la minaccia fascista sempre incombente per costruirsi un nemico, e il primo artefice di questa operazione è stato proprio Eco, salvo poi accusare la destra di essere maestra nell'evocare nemici immaginari al fine di sfruttare le paure del popolo. Ha ragione Paolo Mieli quando scrive (nel suo nuovo e bel saggio La terapia dell'oblio. Contro gli eccessi della memoria, Rizzoli) che «l'Italia è un Paese unico nel non esser capace di consegnare il passato agli storici. Ci sentiamo quasi obbligati a riproporlo ossessivamente annodato alle passioni del presente». La cura che Mieli suggerisce per tale ossessione è, appunto, una salutare dose di oblio, che potremmo tradurre con un invito a lasciare la storia agli storici.Conviene mettersi il cuore in pace: molto probabilmente, in Italia, una cosa simile non avverrà mai, specie per quel che riguarda il fascismo. Il punto è che fa comodo a troppa gente: devono sfruttarlo come arma politica e, allo stesso tempo, cavalcarne la potenza residua per attirare lettori e spettatori. Gli intellettuali hanno creato il Mostro, ora devono tenerlo in vita per fingere di combatterlo. E se nel corso della pantomima ci scappa qualche premio o qualche prebenda, tanto di guadagnato. Dopo tutto, la fila di scrittori (diventati poi) antifascisti a cui il Duce ha fatto l'elemosina era già sterminata durante il Ventennio.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco
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