2022-01-17
La scuola specchio dell’Italia bloccata
Il blocco dell’Italia non è dichiarato, ma è comunque reale. E se non si smette di inseguire i no vax sarà difficile uscirne.Di Patrizio Bianchi, ministro della Pubblica istruzione, nel Pd dicono: non è in malafede, non dice che nella scuola va tutto bene anche se centinaia di migliaia di studenti e professori sono costretti a restare a casa, in Dad, perché vuole nascondere il fallimento del governo. No, Bianchi non è un imbroglione, assicurano i suoi compagni: è solo un incapace, che non ha ancora capito dove sta, quale sia il suo compito, che impegno richieda il suo ruolo. Per giustificare la scelta di un ministro che riesce quasi nell’impresa impossibile di far rimpiangere Lucia Azzolina, ex responsabile della scuola ai tempi di Giuseppe Conte, signora che ha collezionato più di una gaffe, nel Partito democratico danno la colpa a Romano Prodi, che di Bianchi pare sia stato lo sponsor, ma anche a Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia Romagna, della cui giunta il ministro fu assessore. Una cosa è certa: il milieu da cui proviene l’uomo che avrebbe dovuto risollevare l’istruzione dal baratro in cui sprofondò grazie alla ministra grillina, è quello della sinistra bolognese che ruota intorno al Mulino, casa editrice vicina all’ex presidente della Ue e tuttora aspirante presidente della Repubblica, anche se giorno dopo giorno i bagarini delle scommesse quirinalizie danno le sue quotazioni in discesa. Bianchi non era né carne né pesce, né un docente di prima fila, né un politico di seconda fila. Oggi nessuno si sente in obbligo di intestarsi la nomina, ma sta di fatto che nel governo di Mario Draghi venne spacciato come un tecnico. Di area, ma pur sempre un tecnico. E in dodici mesi o quasi, da quando è arrivato ai vertici del ministero con più dipendenti e con più problemi, di tecnico non ha fatto quasi nulla. Al punto che, come dicevo, perfino chi lo ha voluto un po’ se ne vergogna. Nella storia delle Repubblica ci sono stati ministri arroganti, ministri prepotenti, in qualche caso corrotti. No, Bianchi non è nulla di tutto ciò: è semplicemente un ministro di carta velina. Come un tempo in Italia ci fu un Avvocato di panna montata, perfetta definizione di un imprenditore che, pur non avendo fatto nulla, fu sempre considerato un industriale illuminato e geniale, tale da meritarsi l’elezione a presidente di Confindustria, adesso abbiamo il ministro trasparente. Non per le scelte fatte, di cui deve rendere conto agli italiani, ma perché guardandolo nessuno capisce che a cosa serva e che cosa faccia.L’ultima sua apparizione è di oltre una settimana fa. Al fianco del presidente del Consiglio Mario Draghi, si è presentato per spiegare le nuove misure contro la pandemia. A chi si aspettava un rinvio dell’apertura delle scuole, Bianchi ha spiegato che non c’era ragione di ritardare, perché le lezioni sarebbero riprese in sicurezza. Secondo lui, solo una minoranza di docenti avrebbe saltato l’appello e per quanto riguarda gli studenti, solo pochissimi avrebbero dovuto seguire i professori da casa. Una rassicurazione a cui fin dall’inizio quasi nessuno ha creduto, ma alla ripresa delle lezioni dopo Natale, la maggioranza degli italiani con figli ha avuto la certezza che Bianchi aveva parlato a vanvera, senza sapere nulla di ciò che stava accadendo. Pronti via, il tempo di salire in cattedra e molti professori hanno dovuto scendere, per via dei contagi e delle assenze. Del resto, non c’è da essere sorpresi: se dopo due anni di pandemia la sola misura preventiva adottata sono le finestre aperte delle aule per consentire il ricircolo d’aria, si fa fatica a immaginare che le lezioni possano procedere senza interruzioni. Non solo. Se per la riammissione a scuola dopo un periodo di contagio bisogna fare un percorso a ostacoli, si fa fatica a immaginare che le lezioni possano riprendere con regolarità. E infatti non ripartono. Nessuno ha statistiche precise, ma il numero di studenti sospesi nel limbo del tempo e del certificato verde è notevole (secondo Il Messaggero il 70% degli studenti sarebbe in didattica integrata, cosa che rende complicatissimo lo svolgimento delle lezioni).Qualche lettore magari si starà domandando perché io abbia dedicato tanto spazio ai guai del ministro Bianchi e del dicastero a lui affidato. La risposta è semplice: la scuola è lo specchio di ciò che sta accadendo nel Paese, dove grazie alle norme introdotte dal governo si rischia un lockdown di fatto. Il blocco dell’Italia non è dichiarato, né vi sono ordinanze che danno lo stop ai negozi e ai ristoranti, ma di questo passo lo stop sarà nei fatti. Già ora si fa fatica a riaprire i locali e tornare alla normalità, ma se non si smette di inseguire i no vax, per pensare a chi desidera recuperare la vita di tutti i giorni, come accade in Gran Bretagna e anche in molte parti del mondo, sarà difficile lasciarsi alle spalle la pandemia. Soprattutto sarà impossibile raggiungere quei livelli di crescita necessari a far ripartire l’economia anche perché, a forza di fare la fila di fronte alle farmacie per i tamponi, c’è il pericolo di rimanere imbottigliati.Ovviamente Bianchi non ha colpa di tutto ciò. Ma il suo disastro è l’emblema di un disastro del Paese, ostaggio di un pugno di ministri che da Franceschini a Bianchi, invece aiutare l’Italia a superare la pandemia, fanno di tutto per farcela restare, perché - in fondo - lo stato d’emergenza fa male a qualcuno, ma non a tutti. Pensate solo a quante noie parlamentari l’esecutivo ha potuto evitare grazie all’emergenza. Con il voto di fiducia tutto è più semplice. A parte naturalmente la vita degli italiani, costretti a fare la coda non per la tessera del pane, ma per la tessera vaccinale.
Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa (Ansa)
Protagonista di questo numero è l’atteso Salone della Giustizia di Roma, presieduto da Francesco Arcieri, ideatore e promotore di un evento che, negli anni, si è imposto come crocevia del mondo giuridico, istituzionale e accademico.
Arcieri rinnova la missione del Salone: unire magistratura, avvocatura, politica, università e cittadini in un confronto trasparente e costruttivo, capace di far uscire la giustizia dal linguaggio tecnico per restituirla alla società. L’edizione di quest’anno affronta i temi cruciali del nostro tempo — diritti, sicurezza, innovazione, etica pubblica — ma su tutti domina la grande sfida: la riforma della giustizia.
Sul piano istituzionale spicca la voce di Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che individua nella riforma Nordio una battaglia di civiltà. Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rafforzare la terzietà del giudice: per Balboni sono passaggi essenziali per restituire equilibrio, fiducia e autorevolezza all’intero sistema giudiziario.
Accanto a lui l’intervento di Cesare Parodi dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime con chiarezza la posizione contraria dell’Anm: la riforma, sostiene Parodi, rischia di indebolire la coesione interna della magistratura e di alterare l’equilibrio tra accusa e difesa. Un dialogo serrato ma costruttivo, che la testata propone come simbolo di pluralismo e maturità democratica. La prima pagina di Giustizia è dedicata inoltre alla lotta contro la violenza di genere, con l’autorevole contributo dell’avvocato Giulia Buongiorno, figura di riferimento nazionale nella difesa delle donne e nella promozione di politiche concrete contro ogni forma di abuso. Buongiorno denuncia l’urgenza di una risposta integrata — legislativa, educativa e culturale — capace di affrontare il fenomeno non solo come emergenza sociale ma come questione di civiltà. Segue la sezione Prìncipi del Foro, dedicata a riconosciuti maestri del diritto: Pietro Ichino, Franco Toffoletto, Salvatore Trifirò, Ugo Ruffolo e Nicola Mazzacuva affrontano i nodi centrali della giustizia del lavoro, dell’impresa e della professione forense. Ichino analizza il rapporto tra flessibilità e tutela; Toffoletto riflette sul nuovo equilibrio tra lavoro e nuove tecnologie; Trifirò richiama la responsabilità morale del giurista; Ruffolo e Mazzacuva parlano rispettivamente di deontologia nell’era digitale e dell’emergenza carceri. Ampio spazio, infine, ai processi mediatici, un terreno molto delicato e controverso della giustizia contemporanea. L’avvocato Nicodemo Gentile apre con una riflessione sui femminicidi invisibili, storie di dolore taciuto che svelano il volto sommerso della cronaca. Liborio Cataliotti, protagonista della difesa di Wanna Marchi e Stefania Nobile, racconta invece l’esperienza diretta di un processo trasformato in spettacolo mediatico. Chiudono la sezione l’avvocato Barbara Iannuccelli, parte civile nel processo per l’omicidio di Saman, che riflette sulla difficoltà di tutelare la dignità della vittima quando il clamore dei media rischia di sovrastare la verità e Cristina Rossello che pone l’attenzione sulla privacy di chi viene assistito.
Voci da angolature diverse, un unico tema: il fragile equilibrio tra giustizia e comunicazione. Ma i contributi di questo numero non si esauriscono qui. Giustizia ospita analisi, interviste, riflessioni e testimonianze che spaziano dal diritto penale all’etica pubblica, dalla cyber sicurezza alla devianza e criminalità giovanile. Ogni pagina di Giustizia aggiunge una tessera a un mosaico complessivo e vivo, dove il sapere incontra l’esperienza e la passione civile si traduce in parola scritta.
Per scaricare il numero di «Giustizia» basta cliccare sul link qui sotto.
Giustizia - Ottobre 2025.pdf
Continua a leggereRiduci
Terry Rozier (Getty Images)
L’operazione Royal Flush dell’Fbi coinvolge due nomi eccellenti: la guardia dei Miami Heat Terry Rozier e il coach dei Portland Trail Blazers Chauncey Billups, accusati di frode e riciclaggio in un vasto giro di scommesse truccate e poker illegale gestito dalle storiche famiglie mafiose.