2020-10-08
Gli amici delle Ong in cortocircuito. Pressing sul Viminale per lo ius soli
La sinistra voleva discontinuità sul tema dei migranti ma si ritrova a fare i conti con la tragedia di Palermo. E allora, da padre Alex Zanotelli a Elly Schlein, scatta la richiesta di ulteriori fughe in avanti per la cittadinanza.Il quotidiano Repubblica annuncia raggiante in prima pagina: «Meno profughi, più lavoratori». Ma in realtà si riferisce a chi è entrato in Italia irregolarmente in cerca di fortuna.Lo speciale contiene due articoli.Cortocircuito a sinistra: un governo che era nato contro la presunta «ferocia» delle politiche sull'immigrazione di Matteo Salvini, si ritrova a dover maneggiare un caso di patente ed estrema violazione dei diritti umani, la tragica morte del quindicenne Abou, denutrito, con segni sul corpo di precedente tortura, rimasto per dodici giorni sulla nave quarantena Allegra. Il primo lato della questione è fin troppo facile da mettere a fuoco. Stavolta, essendoci la sinistra al potere ed essendo impossibile dare la colpa agli odiati sovranisti, giornaloni e mainstream media tengono bassa la questione, e, quando proprio sono costretti ad affrontarla, la trattano con inconsueta delicatezza e con toni finalmente adeguati, cioè sobri e addolorati. Non serve particolare fantasia per immaginare - a parti invertite - cosa sarebbe accaduto se al Viminale, al posto di Luciana Lamorgese (che ovviamente qui ci guardiamo bene dal colpevolizzare), sedesse ancora il «cattivo» Salvini: la notizia avrebbe occupato ore intere di programmazione televisiva, l'apertura di tutti i telegiornali, le prime pagine dei quotidiani pressoché senza eccezione, con gara di sdegno, corsa alla strumentalizzazione, ampio concorso di intellettuali veri o presunti, e il tentativo (inutile negarlo: sappiamo tutti che sarebbe andata così) di scagliare contro Salvini il corpo martoriato di un ragazzo che invece merita solo rispetto, dolore profondo per una tragedia assoluta, e - per chi crede - il conforto di una preghiera. Nel frattempo Leoluca Orlando, già fiero avversario di Salvini, ha annunciato che, se la Procura dovesse chiedere un rinvio a giudizio per i responsabili della morte di Abou e ci fosse un processo, il Comune di Palermo si costituirà parte civile. Scordandosiche al governo c'è la sua maggioranza. E la cartina tornasole di questa cattiva coscienza si ritrova anche sui social network: per tutta la giornata di ieri (a meno di nostri errori e omissioni sempre possibili) non abbiamo trovato gli interventi dei professionisti dell'indignazione a senso unico, dei twittatori compulsivi, degli intellettuali firma-appelli, dei vipponi anti-Salvini, degli scrittori «impegnati». Non una parola, non una sillaba, non un sospiro: semmai, un eloquente imbarazzo e un rumoroso silenzio.Il secondo lato della questione (e qui sta il cortocircuito) è invece il tono altissimo, il rilancio perenne, l'asticella sempre più innalzata, il gioco al «più uno», la gara all'incontentabilità, su ogni altro aspetto della regolamentazione dell'immigrazione. Il governo fa a pezzi i decreti Salvini (peraltro alle spalle degli elettori, cioè a urne appena chiuse)? Immediatamente, c'è chi scende in campo per gridare che «non basta», che «ci vuole di più», che è «solo una prima e parziale tappa». Tra le prime, Elly Schlein, vicepresidente della giunta dell'Emilia-Romagna, che dà atto al suo governo del risultato («un passo avanti») ma subito alza il tiro: «La legge sulla cittadinanza è superata, ora serve lo ius soli». Intervistata dalla Stampa, lamenta le «tante ambiguità» che restano nella linea di governo e tuona: «Non si possono criminalizzare le Ong». E resta sulle barricate pure padre Alex Zanotelli, anche lui non placato dall'intervento governativo sui decreti Salvini: «Un piccolo passo avanti, ma è davvero troppo poco contro quei decreti, un distillato di razzismo di stato», dice all'Adnkronos. Poi il comboniano passa a psicanalizzare i grillini: «Certo, qualcosa sta cambiando ma credo che tra i 5 stelle ci sia ancora il dissenso da parte dell'anima che ha favorito Salvini. […] È grave che rimanga dentro questa roba, non è tollerabile, bisogna urlarlo con forza. […] Ancora più grave poi continuare a finanziare la guardia costiera libica». Morale: la mobilitazione prosegue, e Zanotelli fa sapere che la prossima settimana (il 14 ottobre) sarà davanti alla Camera per quello che definisce «il digiuno di giustizia con i migranti». L'obiettivo è fin troppo chiaro: creare un clima favorevole al colpo di mano parlamentare, affinché, quando giungerà in Aula per la conversione il decreto legge con cui il governo rivede le norme salviniane, si tenti con emendamenti parlamentari un ulteriore mega rilancio, alzando ancora la posta (con lo ius soli o la variante - più che altro lessicale - dello ius culturae) e conducendo al traguardo un capovolgimento a centottanta gradi delle politiche in materia di immigrazione e cittadinanza. Altro che mero «ritocco» dei decreti, altro che mero «recepimento» dei rilievi con cui Sergio Mattarella aveva accompagnato la promulgazione delle vecchie norme. Ora che la finestra elettorale è chiusa per un bel pezzo, la mobilitazione crescerà per indurre il Pd a fare il colpaccio e per forzare i grillini a ingoiare un rovesciamento integrale di ciò che avevano co-deciso ai tempi del governo gialloblù. Ma proprio questo prevedibilissimo pressing, proprio questa scontata forzatura, proprio questa accelerazione che è già scritta nelle cose, rende ancora più evidente il contrasto con la cortina di silenzio che sta coprendo - a sinistra - la tragica morte del povero Abou. Stavolta, niente hashtag virali e solidali sui social network, niente paginoni umanitari, nessuna mobilitazione politica nazionale, né fisica né online. Per molti, meglio attendere che la terribile notizia sia dimenticata. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/gli-amici-delle-ong-in-cortocircuito-pressing-sul-viminale-per-lo-ius-soli-2648134522.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="piu-clandestini-repubblica-esulta" data-post-id="2648134522" data-published-at="1602118274" data-use-pagination="False"> Più clandestini, «Repubblica» esulta Evviva, arrivano i clandestini. Depurando la notizia della retorica, il titolo di prima pagina di Repubblica di ieri può essere riassunto così. «Meno profughi, più lavoratori. La nuova Italia dei migranti», si legge. Non si capisce bene cosa voglia dire, ma potrebbe sembrare un fatto positivo: in fondo arrivano «più lavoratori», e il lavoro è una cosa buona, no? Il titolo all'interno è più chiaro: «Sbarchi, meno profughi più migranti economici. L'invasione che non c'è». Ah, ecco. I «lavoratori» erano semplicemente i «migranti economici». Cioè gente che non fugge da nessuna guerra e non ha alcun titolo per stare qui, tant'è che anche il tanto strombazzato «nuovo patto di Dublino» prevede che debbano essere rimpatriati. Insomma, arrivano più clandestini, ma Repubblica sembra contenta. Sbarcano meno persone che qualche motivo per partire potrebbero anche avercelo e che magari, una volta cessata l'emergenza umanitaria che li ha fatti fuggire, potrebbero tornare a casa, ma in compenso ci ritroviamo più gente in cerca di fortuna. Eccolo, il successone da sbattere in prima pagina. Ma andiamo a vedere nel dettaglio. Repubblica, dopo aver visionato «i report riservati del governo sull'immigrazione irregolare, riferiti agli ultimi cinque anni e aggiornati a lunedì 5 ottobre» (cosa siano questi «report riservati» non è però chiarissimo), è giunta alla conclusione che «non c'è alcuna emergenza immigrazione, non c'è alcuna invasione», come scrive Fabio Tonacci. Vediamo dunque i numeri: «Gli arrivi sulle coste italiane registrati nel 2020 sono di poco superiori a 24.000, ossia sui livelli del 2018: lontanissimi, dunque, dagli anni veramente difficili del quadriennio 2014-2017 quando si toccò il picco di 181.436 sbarcati (2016), la maggior parte dei quali (162.000) in fuga da un solo Paese, la Libia». Dunque si afferma che non c'è più una «invasione» perché non siamo più sui livelli del quadriennio 2014-2017. Dobbiamo dedurne che in quegli «anni veramente difficili», invece, l'invasione ce l'abbiamo avuta davvero? Ammissione tardiva, ma comunque benvenuta. Si noterà, peraltro, che i nuovi arrivati vanno ovviamente ad aggiungersi a quelli arrivati negli «anni veramente difficili», salvo i pochi rimpatriati e chi è andato nel Nord Europa, quindi non si capisce bene di che cantare vittoria. Oltre al fatto che le espressioni «invasione» ed «emergenza immigrazione» designano concetti politici, non statistici, ed è quindi del tutto opinabile che 24.000 arrivi in 9 mesi rappresentino o meno un'invasione. Ad ogni modo, se i flussi diminuiscono, di chi sarà il merito? Di Minniti, del Covid, di chiunque, ma ovviamente non di Salvini. Il primo calo si ebbe infatti nel 2015, «per effetto della politica di governo dei flussi dell'allora ministro Marco Minniti», spiega Tonacci. Che poi cita Chiara Cardoletti, rappresentante dell'Alto commissariato Onu dei rifugiati per l'Italia: «Le oscillazioni degli ingressi che si sono avute poi tra il 2018 e il 2020 non sono la conseguenza dell'entrata in vigore dei decreti sicurezza di Salvini, ma derivano da fattori esterni, che riguardano ciò che è successo nei Paesi di partenza». Ma non è forse vero che al 5 ottobre del 2019, appena caduti i gialloblù, gli sbarcati erano stati 7.894 e quest'anno sono 24.332, cioè più del triplo? Sì, ma anche qui non c'entra nulla Salvini: ha fatto tutto il Covid. Anzi, per il ricercatore dell'Ispi Matteo Villa, «nell'estate 2019, appena entrato in vigore il decreto sicurezza bis, le partenze dal Nord Africa erano persino aumentate». Tra un po' processeranno Salvini per averli aperti, i porti.