2024-12-16
Giuseppe Cossiga: «Il comparto Difesa è un pilastro degli Stati. La Ue non l’ha capito»
Giuseppe Cossiga (Imagoeconomica)
Il capo dell’associazione delle aziende del settore: «Con banche e centri di ricerca ancora troppe difficoltà legate ai pregiudizi».Il comparto italiano delle aziende che realizzano prodotti per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza riveste un ruolo rilevante nel sistema economico nazionale. Quantunque si tratti di un settore che, oltre a garantire occupazione, innovazione, eccellenza tecnologica e sviluppo, è essenziale per la difesa e la sicurezza del Paese, talvolta i suoi operatori riscontrano uno stereotipo avverso nei loro confronti. Il presidente dell’Aiad, la Federazione delle aziende per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza, Giuseppe Cossiga, ingegnere aeronautico ed ex sottosegretario alla Difesa, è impegnato in un’apertura del mondo della difesa al dialogo con la società. Ci traccia un identikit del comparto? «È un settore molto ampio, perché riunisce l’aeronautica, lo spazio, la difesa, la sicurezza e vari altri segmenti. Riferendoci ad Aiad, stiamo parlando di circa 52.000 addetti diretti, ossia impiegati direttamente dalle aziende, oltre 200.000 se consideriamo l’intera filiera. Le associate sono circa 220, da Leonardo e Fincantieri a piccole realtà, impegnate in aspetti importanti, come la cyber security. Il fatturato è di circa 20 miliardi, in sostanza un punto di Pil, di cui il 60% proviene da commesse militari per la difesa e il 40% da commesse per il mercato civile. Circa i due terzi del fatturato derivano dall’export. Gli investimenti in ricerca e sviluppo sono dell’ordine di 1,5 miliardi di euro l’anno». Grandi gruppi e pmi. La loro localizzazione nella penisola è diffusa? «Leonardo è il colosso nazionale ed è attivo nell’intero spettro del settore. Grandi gruppi vuol dire anche Fincantieri, con presenza importantissima nella cantieristica navale e militare, con quota di fatturato del 30-40%, ma questa è solo una delle sue tre linee di produzione. Poi altre aziende, magari più piccole, hanno una presenza importante, anche per ragioni storiche, ad esempio Elettronica, e Beretta per le armi leggere. La localizzazione è sostanzialmente su tutto il territorio nazionale, sia per particolari caratterizzazioni storiche, sia per ingenti investimenti fatti, compreso il Sud». Talvolta, nell’assetto proprietario delle grandi aziende attive in Italia si notano partecipazioni estere. «Alcune grandi aziende italiane, fondamentali per il tessuto industriale del Paese, hanno partnership con società straniere. Io faccio parte di Mbda, un grande gruppo europeo, in cui Leonardo ha un ruolo di primo piano, anche se non il controllo. Poi, due imprese del settore aerospaziale. Avio Aero, del gruppo statunitense General Electric, specializzata nella realizzazione di motori per aeromobili, impegnata, ad esempio, nel progetto Gcap per un nuovo velivolo caccia multiruolo stealth, di sesta generazione, in cui l’Italia ha un rilevantissimo ruolo internazionale, ha management e produzione interamente italiani. Lo stesso può dirsi per Avio, produttrice di motori per i raggi spaziali, come il motore Vega, controllata da un fondo. Non si deve tuttavia confondere il controllo proprietario con l’esclusivo interesse di Paesi stranieri. Anche le aziende controllate da fondi o da realtà non italiane e, talvolta, non europee, fanno parte, al di là dell’azionista di maggioranza, della spina dorsale delle capacità tecnologiche del nostro Paese». La posizione dell’Italia nelle classifiche internazionali?«Nei vari segmenti del comparto, l’Italia è, costantemente, tra i primi 5-10 Paesi nel mondo. Ad esempio, siamo tra i primi tre grandi produttori mondiali di elicotteri e di missili. Inoltre, l’Italia è anche nei programmi spaziali europei. Ci difendiamo molto bene».I Paesi stranieri da cui giungono le maggiori commesse?«Se facciamo riferimento alla difesa in senso lato, i maggiori acquirenti sono i ricchi Paesi arabi e del Golfo Persico, ma anche i Paesi Iac (Interstate Aviation Committee, ndr). Lavoriamo molto anche in ambito Europa e Nato. Sono segmenti delicati, dove anche il semplice uso del termine “mercato” può essere fuorviante. Il mercato della difesa è fortemente controllato, nonché elemento della politica estera dei Paesi. Quindi, non si vende a chiunque. Tutto avviene in un contesto controllato e diretto».E la posizione di Russia e Cina?«La Russia, nel campo della difesa, è sempre stata un player importante e, in alcuni settori, è all’avanguardia. Noi siamo molto attenti alla qualità e al livello tecnologico. Loro non sempre lo sono. La Cina è un colosso in rapidissima espansione, anche se non ai nostri livelli tecnologici. Prima hanno acquistato una portaerei di produzione russa. Poi hanno fatto una copia, poi hanno prodotto una portaerei tutta loro e ora hanno un piano per costruirne 20, più di quante ne abbiano gli Stati Uniti».Gli Stati Uniti beneficiano di autosufficienza produttiva? «Gli Stati Uniti sono in grado di fare tutto quello che vogliono, per sé e per i loro alleati. Ma, essendo pragmatici, non temono di rivolgersi all’estero. Ciò permette alle aziende italiane al vertice di rifornirli, in primis Leonardo Elicotteri, ma anche Fincantieri, con i progetti di fregata». Come si articola l’import italiano?«Non parliamo d’importazione quando si tratta di prodotti realizzati in cooperazione, parte importante di ciò che facciamo. L’Italia può aver bisogno di importare quando non ha le tecnologie, se ha fretta, se la sua industria nazionale non può soddisfare rapidamente alcune necessità o per questioni legate ad accordi internazionali. Oltre il singolo caso, per contare sui tavoli importanti è necessario mantenere una capacità tecnologica avanzata. È quello che stiamo facendo. In futuro, soprattutto visti gli ingenti investimenti necessari, non ci potrà essere che più cooperazione, soprattutto a livello europeo o come nel Gcap, in cui l’Italia è coinvolta in collaborazione paritetica con Regno Unito e Giappone».Il settore italiano è impegnato anche nel segmento dell’aerospazio.«Miei associati importanti, come ThalesAlenia Spazio o la stessa Avio, sono spesso in tv perché lo spazio è il futuro. E poi, diciamolo, è anche affascinante. L’Italia si è guadagnata un ruolo pionieristico e di leadership a fianco dei più importanti Paesi. Siamo in fase di espansione e sviluppo, anche per progetti che potremmo chiamare disruptive, legati all’ingresso in questo settore di Elon Musk. Tuttavia, se guardiamo i numeri, il comparto difesa, che gode di assai peggiore stampa, è quello più sviluppato e porta i maggiori introiti, anche come conseguenza delle tensioni politiche in corso». Quanto è importante la collaborazione con atenei e centri di ricerca?«È fondamentale, in ambito sia militare sia civile. Le aziende dell’Aiad collaborano oggi strettamente con oltre 60 soggetti, tra università, centri di ricerca ed enti pubblici. Siamo motore di ricerca e innovazione e, tuttavia, dobbiamo ricordare che permane una certa tendenza, anche da parte dei centri di ricerca, a un atteggiamento ideologicamente non molto collaborativo nei confronti delle industrie della difesa. Quando un centro di ricerca collabora con un’azienda della difesa, è spesso oggetto di critiche pubbliche forti. Anche quando leggiamo articoli sul ruolo dell’Italia nell’export militare, il più delle volte si nota una connotazione negativa. In alcuni casi, importanti collaborazioni sono state anche bloccate per queste ragioni». Altre difficoltà, legate allo stereotipo negativo? «Sta diventando difficile anche il rapporto con il mondo bancario, perché l’export per la difesa e la produzione di sistemi d’arma, non è considerato, in vari ambienti, eticamente sostenibile. Però la nostra auto-percezione non è certo quella di essere mercanti di armi o di morte alla Alberto Sordi nel film Fin che c’è guerra c’è speranza. Ci percepiamo invece come uno degli strumenti a disposizione di un Paese democratico per garantire la sicurezza dei cittadini e attori di un sistema legislativamente molto controllato, attenti alle tematiche etiche ma anche di politica e strategia di un singolo Paese. Nessuno si stupisce che un poliziotto abbia in dotazione una pistola. Non capisco perché una democrazia liberale non debba avere forze armate equipaggiate in modo tale da difendere i suoi cittadini». Quali lauree specifiche richiede il settore?«Nelle aziende a più elevato impatto tecnologico, Leonardo in primis, ma anche nelle tante altre, con piccole differenze rispetto a quelle in cui la componente degli operai ad alta qualifica è ancora importante, come Fincantieri, la percentuale di laureati stem, ingegneria, matematica, fisica e altre, varia tra il 60 e il 40%. L’Italia è all’avanguardia anche per gli aspetti di genere. Molti ingegneri donna sono in posizioni apicali. Cito tre nomi. L’ad di Elettronica, la più importante azienda italiana per i sistemi di guerra elettronica, è Domitilla Benigni. Il capo degli ingegneri di Mdba Italia è Stefania Sperandei. La presidente del Cluster tecnologico nazionale dell’aerospazio è Cristina Leone, dirigente di Leonardo».I punti principali che le aziende del settore intendono far presenti alle istituzioni. «Mi farebbe piacere che l’intero mondo istituzionale, e non solo il ministro della Difesa Guido Crosetto, avesse il coraggio di dire che il comparto dell’industria della difesa è uno dei pilastri della nostra democrazia liberale. Chiediamo il coraggio di presentarci per il nostro ruolo, che meritiamo e ci spetta, al servizio allo Stato, e che esso ci sia assicurato anche sui tavoli internazionali. E vorremmo che tutto questo fosse spiegato meglio anche alla Commissione europea che, qualche volta, non siamo certi lo abbia capito».