2024-10-03
Respinge il conflitto in nome del diritto. Così l’Ue è diventata un club di burocrati
Le bandiere dell'Unione europea garriscono al vento. Nel riquadro, la copertina del libro del giurista Agostino Carrino (iStock)
Il difetto dell’Europa per il giurista Agostino Carrino: temendo i dissidi, ha sostituito i poteri arbitrali delle Corti al confronto democratico.È difficile, per chi presti un poco di attenzione al dibattito politico, non rendersi conto del paradosso in cui l’Occidente e in particolare l’Europa si sono imprigionati. Le nostre società sono quelle che più di tutte ripudiano lo scontro, il conflitto e dichiarano di agire al solo fine di garantire ai cittadini una sorta di pace perpetua di stampo kantiano. Eppure viviamo in tempi di laceranti conflitti interni, violenza endemica, isolamento sociale e disinteresse verso il prossimo e - ultimamente - assistiamo anche a una consistente riduzione della possibilità di pensiero ed espressione. In sintesi, per costruire un modo buono e giusto abbiamo rinunciato a una bella fetta di libertà e siamo sottomessi a regimi politici guidati da élite di cui appare evidente l’ostilità nei confronti dei popoli. Come questo sia potuto avvenire lo spiega chiaramente uno splendido saggio di Agostino Carrino appena pubblicato da La Nave di Teseo, intitolato Le ragioni di Creonte. È un testo denso e profondo, della cui complessità è impossibile dare esaustivamente conto qui. Ci limiteremo allora ad affrontarne un aspetto, che a nostro avviso emerge come il più rilevante: la riflessione sulla scomparsa del conflitto. È, conflitto, una parola proibita, che suscita immediata diffidenza nell’ascoltatore, evoca la barbarie di epoche oscure e viene cancellata in nome della civile convivenza basata sulle leggi e del rispetto dei diritti umani universali. A ben vedere, però, senza conflitto non esiste politica, e senza politica non esiste democrazia. Potrebbe essere questa la grande lezione di Carrino, il cui volume merita di essere letto assieme a un altro che ne rappresenta un interessante completamento «da sinistra»: Il paradosso democratico (edizioni Mimesis) di Chantal Mouffe, teorica del populismo sinistrorso.Il ragionamento di Carrino segue le tracce di Carl Schmitt: «Il concetto di politica, com’è noto, deriva da polis», scrive l’autorevole giurista. «Un’altra parola greca che ha una qualche assonanza con quella di polis è polemos. Questa non ha la stessa radice di polis, ma mi piace pensare che tra polis e polemos un qualche nesso vi sia, anche oltre la semplice assonanza fonica. Questo perché la polis e il Politico che è (anche) l’attività di governo hanno indubbiamente, come ha mostrato Schmitt appunto nel suo lavoro sul concetto del Politico, una dimensione conflittuale».Ai giorni nostri si dichiara grottescamente guerra a polemos, e di conseguenza alla politica. Il conflitto tra gruppi portatori di interessi diversi ci spaventa e tentiamo di limitarlo imponendo una visione uniforme: il pensiero unico. «Il Politico è una dimensione concreta, nel senso che si riferisce ad un modo specifico di essere, di essere in una comunità storica, che non a caso viene oggi valutata negativamente in quanto per sua essenza tende a sottrarsi alla prospettiva universalistica che si vorrebbe far valere ovunque senza residui. Tutto ciò che è concreto, infatti, sembra avere oggi, in una sorta di scala gerarchica, una collocazione meno nobile. Ciò che vale sono solo le astrazioni, i principi universali, i grandi valori, le formule buone per tutto e per niente». Eccola qui la scomparsa della politica, che è particolarmente evidente a livello di istituzioni europee, laddove l’Ue è una sorta di megamacchina burocratica che in apparenza rifiuta la politica e la sua azione concreta per fondarsi su regole e diritti veri e presunti la cui applicazione molto spesso risulta problematica se non impossibile, e che in ogni caso trascurano gli interessi concreti delle popolazioni (vedi i deliri sul green). Si tratta, certo, di una finzione: in verità, l’Ue fa politica eccome, nascosta dietro i diritti rappresenta gli interessi di un potere ben preciso - ovvero quello finanziario - ma non può dichiararlo esplicitamente. Siamo, di nuovo, nel pieno del paradosso: per ottenere l’Europa della pace si dichiara guerra ai popoli europei. Come questo avvenga lo chiarisce Carrino. «Ogni società è conflittuale perché divisa: in gruppi, clan, classi. Marx ha ridotto il conflitto a quello di classe perché era l’elemento più evidente entro la formazione capitalistica, ma ogni società storica è conflittuale, essendo nella natura dell’uomo istituire un rapporto che può essere sia amicale sia ostile; persino la differenza sessuale può determinare aggressività», ci dice l’autore. «Poiché però la politica è per sua natura conflitto - come hanno scritto Schmitt, ma anche un’intelligente politologa di sinistra come Chantal Mouffe - ogni società, che non può non essere politica, contiene conflitto, che consente dialettica e progresso. Lo ha insegnato Eraclito, ma anche Cristo: “Non sono venuto a portare pace, ma spada”. Il problema del conflitto e della cultura dell’eccezione, che propongo nel libro contro la cultura della regola astratta, sta nel come lo si riduce: con la cultura (Freud) e con il compromesso (Kelsen) o con l’annientamento del nemico, che paradossalmente è l’obiettivo di tutti coloro che oggi negano l’ontologicità del conflitto?». Il punto è capire perché ci si ostini a negare il conflitto, a nasconderlo. «Solo a causa della sua ipocrita ideologia pacifista - che non ha saputo prevenire il conflitto in Ucraina - l’Occidente non ammette il conflitto», continua Carrino. «Non è vero che le ideologie sono morte: ha trionfato l’ideologia dei diritti, che disconosce l’autonomia degli interessi. L’ideologia trionfante è l’ideologia dell’ultima guerra per abolire tutte le guerre, una menzogna organizzata. Scomparso il cristianesimo, lo si sostituisce con l’ideologia dell’edonismo radicale. Ma non c’è bestia peggiore di chi non riesce a soddisfare il proprio istinto. L’esito fondamentale è quello della cancellazione dell’autorità, che è il presupposto della libertà, non quella soggettiva dell’appagamento egoistico, ma quella dell’obbedienza alle leggi come premessa sia della libertà sia del conflitto, che rende liberi e, se mi si consente una scorrettezza, rende uomini e responsabili». Seguendo questa riflessione (che si estende dalla costituzione di Weimar fino alle teorie odierne) si giunge a comprendere quale sia la attuale condizione dell’Ue. «L’Unione europea è nata contro il Politico in nome del Diritto, anzi dei diritti e della sapienza giudiziaria», spiega Carrino. «All’inizio poteva essere forse anche naturale, dopo due guerre mondiali, ma in tal modo si è imboccato un sentiero cieco, che ha portato all’attuale anonimismo tecno-burocratico. Il vero motore dell’Unione, almeno dal 1963, è la Corte di giustizia, perché l’ideologia europeista - e di ideologia si tratta, non di un progetto politico - è tutt’uno con l’idea che ciò che conta non sono gli interessi, ma i diritti insiti nei princìpi (che ovviamente nascondono gli interessi di alcuni); non a caso le Corti costituzionali non sono più custodi della Costituzione quale decisione politica fondamentale, ma interpreti dei diritti universali ignari del concetto tradizionale di cittadinanza; la prassi di giudizio delle Corti, costituzionali ed europee, è il cosiddetto bilanciamento, metodologia che accresce il potere creativo dei giudici».L’Unione europea è, in buona sostanza, un organismo che rifiuta la politica. «L’antipoliticità dell’Ue non conosce la funzione positiva dei conflitti e per questo può tradursi nell’iperpoliticismo della Von der Leyen, l’epidemiologa esperta in vaccini che tifa per la guerra e la conquista di Mosca (sui cadaveri di migliaia di giovani sacrificati per la maggior ricchezza degli oligarchi ucraini in nome di un indefinito Stato di diritto). Il jus publicum europaeum è morto, ma quel diritto regolava il conflitto, per certi aspetti lo rendeva meno tragico, perché mirava alla pace».Sono, questi, i risultati della cancellazione del conflitto quale fondamento della politica e della sua sostituzione con generici valori tutelati dalle nome Ue e dalle Corti di giustizia. «Ovviamente quando una società si fonda sui valori si dimentica che questi sono tirannici, che cioè non si lasciano mediare», dice Carrino. «Per questo il conflitto, nelle società che inneggiano alla pace, è non solo endemico, ma anche ipocrita, perché rifiuta pregiudizialmente il compromesso politico, che pure è parte essenziale dell’arte politica».Cancellare il conflitto significa, nei fatti, imporre a forza il consenso. Opporsi non è ammesso, chi porta avanti le sue istanze particolari è ferocemente combattuto perché professare valori diversi da quelli apparentemente condivisi non è ammesso. Come dice Chantal Mouffe, c’è un solo modo di fare vivere una democrazia: non tramite il consenso, ma attraverso il confronto agonistico tra visioni diverse. Esattamente quelle che in Occidente non siamo più in grado di accettare.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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